Archives:

Fattore-di-potenza-cos-phi

Fattore di potenza: definizione, formula, significato

Il fattore di potenza rappresenta l’efficienza con cui la potenza elettrica viene utilizzata all’interno di un sistema. Nei sistemi di distribuzione elettrica così come negli impianti industriali, il fattore di potenza assume un ruolo fondamentale in quanto dal suo valore dipendono i costi operativi, la qualità e l’efficienza dell’energia elettrica utilizzata.

In questo articolo, verranno discussi in dettaglio il concetto e le basi matematiche del fattore di potenza, con l’obiettivo di chiarirne il suo significato e le sue applicazioni. Il fattore di potenza rappresenta una misura effettuata alla porta su cui è collegato il carico e quindi dipende dalla tipologia di carico. Il tipo di carico posto sulla porta influenza il valore del fattore di potenza a seconda che sia un carico lineare oppure un carico non lineare. A partire dalla definizione di fattore di potenza, verrà quindi fornita l’espressione matematica nel caso generale in cui il carico è non lineare e successivamente nel caso specifico in cui il carico è lineare.

Comprendere il fattore di potenza è fondamentale perché ottimizzandolo è possibile ridurre i costi energetici ma anche migliorare la stabilità e la qualità della rete elettrica.

Fattore di potenza: definizione e formula

Il fattore di potenza è definito come il rapporto tra la potenza media ed il prodotto di tensione efficace e corrente efficace. Il fattore di potenza è da intendersi riferito alla porta su cui si trova il carico. Discorso analogo vale per la tensione e la corrente efficace che si considera. Il fattore di potenza, PF (Power Factor), per una generica funzione periodica è definito dalla seguente formula.

Definizione di fattore di potenza PF:

    \[    PF := \frac{< p >}{V_{rms}I_{rms}}= \frac{P_{attiva}}{P_{apparente}} \]

Il fattore di potenza è pari al rapporto tra la potenza attiva (misurata in watt) e la potenza apparente (misurata in volt-ampere) di un sistema elettrico. La potenza attiva è quella effettivamente utilizzata per svolgere un lavoro utile, mentre la potenza apparente rappresenta la somma vettoriale della potenza attiva e della potenza reattiva. La potenza apparente non contribuisce direttamente al lavoro svolto ma è comunque necessaria per il funzionamento del sistema.

Fattore di potenza in presenza di carico non lineare

Nella realtà la corrente potrebbe non avere lo stesso andamento sinusoidale della tensione a causa, ad esempio, di un assorbimento non costante da parte del carico. Questo è il caso in cui alla porta di alimentazione è connesso un carico non lineare. Partiamo da queste condizioni per generalizzare l’espressione del fattore di potenza. Di seguito viene mostrato un esempio in cui la tensione (in verde) è sinusoidale mentre la corrente (in rosso) presenta delle distorsioni.

Fattore di potenza in presenza di carico non lineare: grafico dell'andamento di una corrente non sinusoidale a partire da una tensione sinusoidale.
Grafico dell’andamento di una corrente non sinusoidale a partire da una tensione sinusoidale.

Come si può vedere il segnale della corrente, pur essendo periodico è tutt’altro che sinusoidale. Ciò nonostante può essere scomposto in serie di Fourier ovvero essere considerato come una sommatoria di diverse forme d’onda sinusoidali.

Scomposizione armonica di un segnale non sinusoidale
Scomposizione armonica di un segnale non sinusoidale

Il valore efficace Irms di una corrente non sinusoidale è dato dalla radice quadrata della sommatoria dei quadrati delle correnti efficaci delle singole armoniche come mostrato di seguito.

    \[    I_{rms} = \sqrt{ I^{2}_{0} + \sum_{n=1}^{\infty}{ I^{2}...._{n,rms} }    } = \sqrt{ I^{2}_{0} + I^{2}_{1,rms} + I^{2}_{2,rms} + ... + I^{2}_{n,rms}}	 \]

dove I0 rappresenta la componente in continua del segnale mentre I1,rms rappresenta la prima armonica detta anche armonica fondamentale. Questa espressione è il cosiddetto teorema di Parseval secondo cui il valore efficace di una grandezza periodica è la radice quadrata della somma dei quadrati dei valori efficaci di tutte le sue componenti armoniche.

Per comprendere l’espressione del fattore di potenza nel caso di corrente non sinusoidale, vediamo dapprima l’espressione della potenza media < p >.

    \[    < p > = \frac{1}{2 \pi} \int_{0}^{2 \pi} { V sin{(\omega t)} * \sum_{n=0}^{\infty}{(I_{n} sin{(n \omega t + {\phi}_0)}})    } d(\omega t)} \]

Al fine di rendere l’espressione il più possibile generica, è stato introdotto, per indicare la funzione della corrente, il fattore ϕ0 che indica l’angolo di sfasamento della corrente rispetto alla tensione.

Risulta utile portare fuori la sommatoria per osservare un aspetto interessante ovvero che siamo in presenza di funzioni ortogonali.

    \[    < p > = \frac{1}{2 \pi}  { V \sum_{n=0}^{\infty}  I_{n} \int_{0}^{2 \pi} { sin(\omega t)sin{(n \omega t + {\phi}_0)}}} d(\omega t) \]

Si può notare che quando n ≠ 1 il prodotto dei seni è zero in quanto i segnali sono tra loro ortogonali. Per capire questa proprietà si può osservare il grafico seguente in cui n = 2. L’integrale sul periodo [0, π] della funzione sin(ωt) risulta positivo (>0) mentre l’integrale nello stesso periodo della funzione sin(2ωt) è nullo. In maniera analoga questo è valido per qualsiasi n ≠ 1, tuttavia è meno immediato vederlo attraverso un grafico, rispetto al caso n = 2.

Grafico funzione sin(ωt) e sin(2ωt)
Esempio del caso n = 2 | Grafico funzione sin(ωt) e sin(2ωt)

Rimane quindi nell’espressione del valore medio, < p >, la sola componente che si ha per n=1 ovvero la prima armonica del segnale.

A questo punto, tenendo conto che dalla trigonometria è possibile affermare che sussiste la seguente relazione:

    \[    \frac{1}{2 \pi} \int_{0}^{2 \pi} { sin(\omega t)sin{(n \omega t + {\phi})}}} d(\omega t) = \frac{1}{2}cos(\phi) \]

possiamo ottenere una nuova espressione per il valore medio, come di seguito.

    \[    < p > = \frac{VI_{1}}{2} \cos(\phi_{1}) \]

Ricordiamo a questo punto che, nel caso di funzioni sinusoidali, il valore efficace è pari al rapporto tra il valore di picco del segnale e radice di due.

    \[  \begin{split}    V_{rms} = \frac{V}{\sqrt{2}} \Rightarrow V = \sqrt{2} V_{rms} \\    I_{rms} = \frac{I}{\sqrt{2}} \Rightarrow I = \sqrt{2} I_{rms} \end{split} \]

Questa relazione ci permette di esprimere il valore medio della potenza in termini dei valori efficaci di tensione e corrente. Sostituendo le espressioni di V ed I all’interno dell’espressione di < p > otteniamo la formula seguente.

    \[    < p > = \frac{VI_{1}}{2} \cos(\phi_{1})= V_{rms}I_{1rms}\cos(\phi_{1}) \]

Si capisce quindi come la potenza media sia legata unicamente al segnale di tensione del generatore, alla prima armonica della corrente ed all’angolo di sfasamento tra tensione e corrente. In particolare è da notare che il contributo al trasporto di energia è dovuto:

  1. alla sola prima armonica (armonica fondamentale) della corrente quindi tutte le altre armoniche a frequenze diverse non danno alcun contributo alla potenza attiva
  2. solo alla parte di armonica fondamentale in fase con la tensione tramite l’angolo φ1.

Andando a sostituire l’espressione del valore medio all’interno della generica definizione di fattore di potenza troviamo l’espressione del fattore di potenza in presenza di carichi non lineari.

    \[    PF = \frac{V_{rms}I_{1rms}}{V_{rms}I_{rms}}\cos(\phi_{1})=         \frac{       I_{1rms}}{       I_{rms}}\cos(\phi_{1}) \]

Si noti che, maggiore è il contributo della prima armonica del segnale e minore è lo sfasamento tra tensione e corrente, più facilmente il fattore di potenza si avvicina al valore 1.

Fattore di potenza in presenza di carico lineare

Consideriamo ora il caso in cui sulla porta alla quale dobbiamo calcolare il fattore di potenza, abbiamo un carico lineare. Ci troviamo in un regime totalmente sinusoidale ovvero con sia tensione che corrente sinusoidale. In tali condizioni la corrente ha un andamento sinusoidale ma potrebbe avere ampiezza e fase diversi da quelli della tensione. Una situazione di questo tipo è mostrata nell’immagine seguente dove vediamo la corrente sfasata rispetto alla tensione di un angolo φ detto “angolo di sfasamento“.

Fattore di potenza in presenza di carico lineare: grafico dell'andamento di corrente e tensione sinusoidale ed angolo di sfasamento φ
Grafico dell’andamento di corrente e tensione sinusoidale ed angolo di sfasamento φ

In regime totalmente sinusoidale ovvero con sia tensione che corrente sinusoidale, il valore medio della potenza coincide con il prodotto dei valori efficaci di tensione e corrente.

    \[  \begin{split}    < p > & = \frac{1}{2 \pi} \int_{0}^{2 \pi} { V sin{(\omega t)} * {I sin{(\omega t + {\phi}_0)}   } d(\omega t)} \\ & = V_{rms}I_{rms}  \end{split}  \]

Il fattore di potenza per carichi lineari è pari al coseno dell’angolo di sfasamento tra la tensione e la corrente efficace come mostrato nella formula seguente.

    \[    PF = \frac{< p >}{V_{rms}I_{rms}}=         \frac{V_{rms}I_{rms}}{V_{rms}I_{rms}}\cos(\phi_{1}) =         \cos(\phi) \]

In tali condizioni il fattore di potenza ha il suo valore massimo, cioè PF = 1, quando l’angolo di sfasamento è zero ovvero tensione e corrente sono in fase. Questa condizione si verifica (idealmente) in presenza di un carico puramente resistivo.

Il fattore di potenza, in presenza di carichi lineari, assume il valore minimo, PF = 0, quando il carico è puramente reattivo (un induttore oppure un condensatore). In questo caso la corrente è sfasata rispetto alla tensione di un quarto di periodo cioè π/2 (90º), in anticipo (nel caso del condensatore) oppure in ritardo (nel caso dell’induttore).

In condizioni reali, il carico, pur assumendolo lineare, non avrà mai solo la componente resistiva ma, a causa di effetti parassiti e data la non idealità dei componenti, avrà sempre una componente reattiva e quindi sarà inferiore ad 1. Infine, in teoria, si può anche considerare un fattore di potenza negativo ma questo significherebbe che la potenza ha una direzione opposta al carico.

Cosa rappresenta il fattore di potenza?

Il fattore di potenza è una misura dell’efficienza della trasmissione di energia elettrica. Maggiore è il fattore di potenza, migliore è il trasferimento di energia dalla sorgente al carico.

Un fattore di potenza pari ad 1 significa che tutta l’energia messa a disposizione dalla sorgente è utilizzata dal carico per poter svolgere il suo lavoro ovvero la potenza apparente coincide con la potenza attiva.

Un fattore di potenza inferiore ad 1 significa che il carico utilizza solo una parte della potenza che assorbe dalla sorgente per poter svolgere il proprio lavoro. In questi casi si ha una potenza media sulla porta inferiore alla potenza istantanea ovvero la solo una parte della corrente viene utilizzata dal carico. In questi casi la potenza apparente è maggiore della potenza attiva in quanto include anche la potenza reattiva.

Un fattore di potenza alto riduce le perdite di energia nella rete, migliora l’efficienza e riduce i costi. Quando il fattore di potenza è basso, il sistema richiede più corrente per fornire la stessa quantità di potenza attiva, aumentando le perdite e i costi operativi. Nelle industrie, un basso fattore di potenza oltre ad essere inefficiente, comporta costi più alti, poiché il gestore dell’energia elettrica può applicare delle penali. Per migliorare il fattore di potenza, si utilizzano tecniche di correzione del fattore di potenza, come l’installazione di condensatori o reattanze, che riducono la componente reattiva della corrente. Pertanto, la correzione del fattore di potenza è una pratica comune per garantire un uso più efficiente e sostenibile dell’energia.


Conduttore neutro

A cosa serve il conduttore di neutro?

Il conduttore di neutro svolge un ruolo molto importante all’interno di un sistema elettrico. Lo troviamo in tutti i sistemi monofase e, alle volte, anche nei sistemi trifase. Facilmente riconoscibile grazie al suo colore blu, il neutro è un cavo a cui si da spesso poca importanza. Eppure, in qualunque impianto, sistema o circuito elettrico nulla è lasciato al caso in termini di efficienza e non dimentichiamo che anche un singolo cavo può avere un impatto sui costi, soprattutto quando si produce su grande scala. Inteso quindi che, se presente, il conduttore di neutro ha un suo ruolo, a cosa serve il conduttore di neutro? Se ti sei fatto questa domanda, in questo articolo troverai una risposta al ruolo che svolge il conduttore di neutro nei sistemi elettrici. Vedremo che il conduttore di neutro svolge un ruolo fondamentale in un sistema monofase e pregiudica l’efficienza di un sistema trifase.

Cos’è il conduttore di neutro

Il conduttore di neutro è un conduttore di colore blu ed indicato con la lettera “N”. La lettera “N” è tipicamente utilizzata per identificare sia il conduttore che il morsetto predisposto per il collegamento del neutro.

Morsettiera monofase
Morsettiera monofase: conduttore di neutro identificato dal colore blu e punto di connessione indicato con N

Il neutro è posto sempre in prossimità dei conduttori di fase ed il suo colore, oltre ad essere una convenzione, è anche un requisito normativo. Quando troviamo un conduttore blu assieme ai conduttori di fase, sappiamo per certo che è il conduttore di neutro. Fisicamente è un conduttore identico a quelli di fase e tipicamente ha la stessa sezione dei conduttori di fase. Alle volte può avere una sezione inferiore rispetto a quelli di fase ma, in questi casi, sussistono delle prescrizioni cui bisogna attenersi per assicurare la sicurezza del circuito.

Il conduttore elettrico non è comunque un concetto astratto ed è definito nelle norme tecniche nel modo seguente.

Conduttore di neutro: conduttore collegato al punto di neutro di un sistema e in grado di contribuire alla trasmissione di energia elettrica.

Dalla definizione di conduttore di neutro, si può capire come il conduttore di neutro, qualora presente, ha sempre un morsetto dedicato e che svolge un ruolo attivo nella trasmissione di energia elettrica.

A cosa serve il conduttore di neutro?

Il conduttore di neutro serve come percorso di ritorno per la corrente di fase in un sistema monofase oppure serve per mantenere in equilibrio le tensioni sui carichi in un sistema trifase.

Il neutro svolge in particolare due funzioni:

  1. In un sistema monofase è un conduttore a potenziale nullo che serve per creare un percorso che chiuda il circuito;
  2. In un sistema trifase (o in generale in un sistema polifase) limita lo scostamento delle tensioni di fase in presenza di carichi squilibrati.

A cosa serve il conduttore di neutro in un sistema monofase

In un sistema monofase, la corrente di fase che giunge da una sorgente elettrica come un generatore oppure semplicemente la presa elettrica, giunge al carico. Dal carico il circuito si chiude nuovamente sulla sorgente tramite il conduttore di neutro. In tali condizioni, il conduttore di neutro si trova a potenziale nullo e permette il completamento del circuito che dal generatore serve il carico per poi riconnettersi dal carico al generatore. Il collegamento dal generatore al carico è realizzato tramite il conduttore di fase. Il collegamento dal carico al generatore è realizzato tramite il conduttore di neutro.

Nella figura seguente vediamo un semplice circuito costituito da generatore, interruttore e carico. Il generatore è idealmente rappresentato da una presa elettrica residenziale, l’interruttore è posto sul conduttore di fase (in marrone), il carico, in questo caso, è una lampadina. Il conduttore di fase è rappresentato in marrone ed il neutro in blu.

Ruolo del neutro in un circuito monofase - interruttore off ed assenza di corrente
Ruolo del neutro in un circuito monofase – interruttore off ed assenza di corrente

Nella configurazione appena mostrata l’interruttore è posto su OFF, questo significa che il circuito è aperto e non circola alcuna corrente.

Nella immagine seguente invece vediamo il comportamento dello stesso circuito quando l’interruttore è acceso.

Ruolo del neutro in un circuito monofase – interruttore on e presenza di corrente

E’ importante notare che sul carico (la lampadina) ora è presente una differenza di potenziale e quindi scorre della corrente. La corrente sul conduttore di fase ha lo stesso valore della corrente sul conduttore di neutro.

A cosa serve il conduttore di neutro in un sistema trifase

In un sistema trifase il conduttore di neutro serve come percorso di ritorno, verso il centro stella del generatore, per la corrente di squilibrio dovuta alla presenza di carichi non bilanciati.

Il conduttore di neutro non è fondamentale in un sistema trifase ed infatti non è sempre presente ma risulta estremamente utile in presenza di carichi non bilanciati. In un sistema trifase la presenza di un conduttore di neutro è riscontrabile solo in presenza di un collegamento a stella. Quando generatore e carico sono collegati a stella, è possibile inserire un conduttore di neutro collegando i relativi centri stella di generatore e carico. In un sistema con collegamento a triangolo non è disponibile un punto di collegamento per il neutro.

sistema trifase con neutro
Collegamento a stella con neutro tra generatore (a sinistra) ed un generico carico (a destra)

In presenza di generatore e carico a stella, la corrente che scorre sul neutro è data dalla somma delle correnti che alimentano le impedenze. Sia E la tensione del generatore, Z l’impedenza del carico e ricordando che il centro stella è a potenziale nullo, la corrente sul conduttore di neutro è espressa dalla relazione seguente.

    \[    I_N = I_1 + I_2 = I_3 =  \frac{E_1}{Z_1} + \frac{E_2}{Z_2} + \frac{E_3}{Z_3} \]

A partire dalla relazione tra le correnti si possono avere due possibili situazioni:

  1. IN = 0. La corrente sul neutro è nulla solo in presenza di carico equilibrato ovvero quando le tre impedenze sono uguali (Z1 = Z2 = Z3).
  2. IN ≠ 0. In presenza di carico non equilibrato il potenziale sul neutro non è più nullo e scorre una corrente che avrà intensità tanto più alta quanto maggiore è lo squilibrio sul carico. Il potenziale del neutro non coincide con il centro stella. Lo squilibrio di una parte del carico è parzialmente compensato da quello del neutro che, aumentando il proprio potenziale, limita la differenza di potenziale sui carichi.

Un aumento dell’impedenza del conduttore di neutro, dovuto sia all’usura dei collegamenti che a rotture accidentali, può causare un significativo spostamento del punto neutro. Questo fenomeno genera elevate variazioni di tensione, che si possono manifestare come sovratensioni o sottotensioni sui carichi, provocando potenzialmente possibili malfunzionamenti dell’intero sistema elettrico.

Cosa succede se viene a mancare il neutro?

Il conduttore di neutro ha compiti diversi a seconda che si trovi in un sistema monofase o trifase ed anche se il sistema trifase non è equilibrato. A partire da queste tre casistiche vediamo cosa succede se viene a mancare il neutro.

  • Se viene a mancare il neutro in un sistema monofase il circuito che alimenta il carico a partire dal generatore risulta aperto. Questo porta a non disporre di quella differenza di potenziale che permette al carico di funzionare e, non essendoci più alcun collegamento tra il carico ed il generatore, non scorre alcuna corrente.
  • Se viene a mancare il neutro in un sistema trifase equilibrato, il centro stella rimane a potenziale nullo e non scorrerebbe corrente sul neutro. In tali condizioni il conduttore di neutro non svolge alcuna funzione e quindi finché il carico è equilibrato, il conduttore di neutro è inutile e potrebbe essere rimosso.
  • Se viene a mancare il neutro in un sistema trifase non equilibrato, le tensioni di fasi possono essere fortemente diverse portando tra loro causando una elevata inefficienza del sistema e possibili guasti sui carichi.

pesi e misure sistema internazionale SI

Grandezze fondamentali, derivate, prefissi del sistema SI

Le grandezze fondamentali così come le derivate, sono gli elementi costituenti il Sistema Internazionale di Unità (SI) e rappresentano le dimensioni essenziali da cui derivano tutte le altre misurazioni. Queste grandezze sono definite con precisione e basate su costanti universali e forniscono una base che consente misurazioni coerenti e accurate in tutti i contesti scientifici, industriali e quotidiani. Di conseguenza, sono fondamentali per mantenere chiarezza e affidabilità nelle misurazioni in tutto il mondo. Avere un sistema di grandezze e relative unità di misura internazionalmente riconosciuto facilita lo scambio di informazioni tecniche, lo sviluppo di progetti tecnici e commerciali in un contesto internazionale.

Il sistema SI attualmente riconosce sette quantità fondamentali ciascuna associata ad un’unità base unica, rigorosamente definita sulla base di costanti fisiche immutabili. Queste definizioni consentono precisione e riproducibilità rendendo possibile la condivisione degli standard di misurazione a livello globale.

In questo articolo analizzeremo ciascuna grandezza fondamentale, la definizione, il significato e il ruolo del sistema SI. Le quantità fondamentali rappresentano un linguaggio condiviso per la ricerca scientifica, l’innovazione tecnica e la cooperazione globale, garantendo che le misurazioni siano universalmente riconosciute.

Sistema internazionale di misura

Il Sistema Internazionale di Unità (SI), noto in francese come Système International d’Unités, è lo standard di misurazione più accettato e riconosciuto nel mondo e fornisce un quadro coerente per le grandezze fisiche e le unità di misura. Il sistema SI è coordinato dall’Ufficio internazionale dei pesi e delle misure (BIPM), in francese Bureau International des Poids et Mesures. Il BIPM è costituito da oltre 60 stati membri (attualmente 64) che lavorano insieme per tutti gli aspetti che riguardano la metrologia e le unità di misura.

Il sistema SI si basa su un insieme di sette unità fondamentali: tempo, lunghezza, massa, intensità di corrente elettrica, temperatura, quantità di sostanza ed intensità luminosa. Queste unità fondamentali fungono da base su cui derivano tutte le altre misurazioni.

Oltre a queste unità di base, il sistema SI comprende una serie di unità derivate, che si formano combinando le unità fondamentali. Ad esempio, l’unità di forza, il newton, deriva dalle unità base di massa, lunghezza e tempo. Il sistema SI incorpora anche prefissi per rappresentare multipli o frazioni di unità, come kilo- per mille o milli- per un millesimo, consentendo una comunicazione precisa delle scale di misurazione.

Il sistema SI è riconosciuto da tutto il mondo ed adottato dalla stragrande maggioranza degli Stati. Fanno eccezione, ad oggi, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Canada, Birmania (Myanmar) e Liberia che riconoscono il sistema SI ma adottano principalmente un proprio sistema metrico. Nei paesi anglosassoni ad esempio, Stati Uniti e Regno Unito, si utilizza prevalentemente un sistema metrico basato sul Sistema imperiale britannico.

Grandezze fondamentali

Le grandezze fondamentali sono gli elementi costitutivi del sistema SI, non possono essere ulteriormente scomposte e, dalla combinazione di queste si definiscono le grandezze derivate.

Affinché possano essere universalmente riconoscibili e soprattutto riproducibili, le grandezze fondamentali sono definite a partire da costanti universali. Dal 2019 è stato deciso di utilizzare le costanti per poter garantire precisione e riproducibilità di ogni singola grandezza fondamentale.

Il sistema internazionale SI riconosce sette grandezze fondamentali basate, ognuna, su sette costanti universali. Per ogni grandezza il sistema SI associa e definisce una unità di misura.

Tabella grandezze fondamentali

Le sette costanti universali sono:

  1. Frequenza della transizione iperfine del cesio;
  2. Velocità della luce nel vuoto;
  3. Costante di Planck;
  4. Costante di Boltzmann;
  5. Numero di Avogadro;
  6. Carica elettrica elementare;
  7. Efficienza luminosa.
Costante universaleSimboloValoreUnità di misura
Frequenza della transizione iperfine del cesioΔνCs9 192 631 770Hz = 1 / s
Velocità della luce nel vuotoc299 792 458m / s
Costante di Planckh6 626 070 15 x 10-34J * s = kg * m2 * s-1
Costante di Boltzmannk1 380 649 x 10-23J / K = kg * m2 * s-2 * K-1
Numero di AvogadroNA6 022 140 76 x 10231 / mol
Carica elettrica elementaree1 602 176 634 x 10-19C = A * s
Efficacia luminosa
Kcd
683lm / W = cd * kg-1 * m-2 * s3 * sr

Le sette grandezze fondamentali sono:

  1. Intervallo di tempo;
  2. Lunghezza;
  3. Massa;
  4. Temperatura;
  5. Quantità di sostanza;
  6. Intensità di corrente elettrica;
  7. Intensità luminosa.

Ad ogni grandezza fondamentale è associata una unità di misura che è definita usando una delle costanti fondamentali.

Unità di misura delle grandezze fondamentali SI
Unità di misura delle grandezze fondamentali SI

Grandezze derivate

Le quantità derivate, invece, sono ottenute dalle relazioni tra le grandezze fondamentali. Attraverso queste relazioni è possibile esprimere una gamma più ampia di misurazioni. Le quantità derivate includono unità come velocità, forza ed energia, ciascuna delle quali è essenziale in tutti i campi della scienza.

Grandezza derivataNomeSimboloEquivalenza unità di misura
Angolo pianoradianterad//
Angolo solidosteradiantesr
//
frequenzahertzHZs-1
forzanewtonNkg * m * s-2
sforzo / pressionepascalPaN/m2 = kg * m-1 * s-2
energia / lavoro / calorejouleJN*m = kg * m-1 * s-2
potenzawattWJ / s = kg * m-2 * s-3
carica elettricacoulombCA * s
Differenza di potenziale elettrico / tensionevoltVW / A = kg * m-2 * s-3 * A-1
Capacità elettricafaradFC / V = kg-1 * m-2 * s4 * A2
Resistenza elettricaohmΩV / A = kg * m2 * s-3 * A-2
Conduttanza elettricasiemensSA / V = kg-1 * m-2 * s3 * A2
Flusso magneticoweberWbV * s = kg * m2 * s-2 * A-1
Densità di flusso magneticoteslaTWb / m2 = kg * s-2 * A-1
InduttanzahenryHWb / A = kg * m2 * s-2 * A-2
Temperatura Celsiusgrado CelsiusºCK
Flusso luminosolumenlmcd * sr
Illuminamentoluxlxlm / m2 = cd * sr * m-2
Attività di un radionuclidebecquerelBqs-1
dose assorbita di radiazionigrayGyJ / kg = m2 * s-2
dose equivalentesievertSvJ / kg = m2 * s-2
Attività cataliticakatalkatmol * s-1

Prefissi

Il sistema SI, per facilitare l’utilizzo delle grandezze e relative unità di misura ha convenuto definire un set di prefissi per riferirsi a multipli e sottomultipli di tutte le grandezze riconosciute. Ad ogni fattore moltiplicativo corrisponde un prefisso da anteporre al nome dell’unità di misura. Si considerano i multipli di 10 da 10-30 a 1030 secondo la tabella seguente.

FattoreNomeSimbolo
10-30quectoq
10-27rontor
10-24yoctoy
10-21zeptoz
10-18attoa
10-15femtof
10-12picop
10-9nanon
10-6microµ
10-3millim
10-2centic
10-1decid
101decada
102hectoh
103kilok
106megaM
109gigaG
1012teraT
1015petaP
1018exaE
1021zettaZ
1024yottaY
1027ronnaR
1030quettaQ

Il nome di un prefisso va usato insieme al nome dell’unità di misura ed allo stesso nome il simbolo del prefisso insieme a quello dell’unità di misura. Se ad esempio vogliamo indicare un millesimo di volt, useremo l’espressione millivolt oppure il simbolo mV. Fa eccezione a questa regola il chilogrammo dato che il nome stesso include un prefisso. Nel caso del chilogrammo, kg, si fa riferimento all’unità di misura dei grammi, g insieme ad eventuali prefissi per indicare multipli e sottomultipli.


Volt, ampere, watt, voltampere, voltampere reattivo

Quando si progetta oppure analizza un sistema elettrico è di fondamentale importanza avere padronanza dei concetti di tensione, corrente e potenza. Questi concetti sono espressi tramite le unità di misura denominate volt, ampere, watt, voltampere e voltampere reattivo e rappresentano la base per poter comprendere il funzionamento di qualsiasi circuito o dispositivo elettrico. Sebbene siano termini familiari, entrati nel linguaggio comune, non sempre è chiaro il loro significato nonostante siano alla base di qualsiasi progettazione elettrica. Conoscere questi concetti è la base per affrontare lo studio di qualsiasi sistema elettrico e permette di avere consapevolezza su vari aspetti come la selezione ed il dimensionamento dei componenti, la sicurezza elettrica, il consumo energetico e la conformità alle norme tecniche di progettazione.

Comprendere le differenze tra volt (V), ampere (A), watt (W), voltampere (VA) e voltampere reattivo (var) è fondamentale in diversi ambiti come quello elettrico, elettronico, energetico ma è anche utile nella quotidianità per valutare l’acquisto di un qualsiasi dispositivo elettrico, per capirne i consumi oppure semplicemente per capire il significato di quanto indicato nell’etichetta di un elettrodomestico. In questo articolo andremo a mostrare il significato di volt, ampere, watt, voltampere e voltampere reattivo le differenze tra queste grandezze, le unità di misura e le relazioni esistenti.


Cos’è l’Ampere (A)

L’ampere, indicato con il simbolo A, è l’unità di misura della corrente elettrica o, per meglio dire, dell’intensità di corrente. L’ampere rappresenta la quantità di carica elettrica che attraversa una superficie in un intervallo di tempo tempo. Essendo quindi l’intensità di corrente elettrica espressa come il rapporto tra una quantità di carica elettrica ed un intervallo di tempo si capisce come l’ampere corrisponde a coulomb/secondo ovvero A = C/s.

L’ampere prende il suo nome da André-Marie Ampère, fisico e matematico francese del XIX secolo. Il “Sistema internazionale di unità di misura“, SI, per poter definire in maniera quantitativa l’unità di misura A, utilizzò inizialmente le risultanze dell’esperimento condotto da André-Marie Ampère. Nel 1820 il fisico francese notò che due fili conduttori, percorsi da corrente presentano delle forze attrattive se la corrente che li attraversava aveva lo stesso verso, mentre erano presenti delle forze repulsive se attraversati da correnti di verso opposto.

Definizione di ampere sino al 2019
Definizione di ampere sino al 2019

La relazione matematica tra la forza in gioco tra i due conduttori e l’intensità di corrente che li attraversa va sotto il nome di Legge di Ampère e venne utilizzata da SI fino al 2019 per definire l’unità di misura ampere nel modo seguente:

L’intensità di corrente elettrica che, se mantenuta in due conduttori lineari paralleli, di lunghezza infinita e sezione trasversale trascurabile, posti a un metro di distanza l’uno dall’altro nel vuoto, produce tra questi una forza pari a 2*10−7 N per metro di lunghezza.

Nel 2018, alla Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure, venne deciso di cambiare la definizione di ampere per esprimere l’unità di misura dell’intensità di corrente elettrica attraverso le unità fisiche di carica elementare (e) e tempo (s). La carica elementare è espressa in A*s e corrisponde ad e = 1.602176634 x 10–19 A*s.

L’ampere, dal 2019 e secondo quanto stabilito da SI, è definito come il flusso dell’inverso di carica elementare al secondo:

    \[    e * C = 1.602176634^{10-19} A*s; \]

e è espressa in coulomb e quindi si ha coulomb = ampere * secondi. Esplicitando ampere risulta quanto segue:

    \[    1 A = \frac{e}{1.602176634^{10-19}}*[s^{-1}] = \frac{C}{s}; \]

L’ampere è una grandezza fondamentale definita dal “Sistema internazionale di unità di misura”, SI, in termini della carica elementare e. L’unità di misura ampere rappresenta il flusso di carica elementare che attraversa un conduttore al secondo.

Cos’è il Volt (V)

Il volt è l’unità di misura del potenziale elettrico ed è indicata secondo il sistema SI, con il simbolo V. Rappresenta la differenza tra il potenziale che possiamo trovare agli estremi di un conduttore quando questo è attraversato da un campo elettrico. Da un punto di vista fisico un volt esprime il lavoro compiuto dal campo elettrico per spostare una carica unitaria all’interno di un conduttore da un punto ad un altro.

    \[    1 V = \frac{J}{C} = \frac{m^2 * kg}{s^2 * C} \]

Assumendo vA il potenziale al punto A e vB il potenziale al punto b è possibile esprimere la differenza di potenziale in termini del vettore del campo elettrico E lungo la linea l ovvero:

    \[ v_{AB} = v_A - v_B = \int_{A}^{B} E dl \]

Da notare che l’integrale di linea non dipende dalla linea stessa bensì dal valore che il potenziale assume nei punti A e B. Per un campo elettrico stazionario ovvero irrotazionale, la differenza di potenziale tra due punti è indipendente dal percorso che unisce questi punti.

Cos’è il watt (W)

Il watt rappresenta l’unità di misura della potenza attiva nel sistema SI e si indica con il simbolo W.

In condizioni di segnali periodici, la potenza attiva è il valor medio sul periodo della potenza istantanea.

    \[ P = \frac{1}{T} = \frac{j}{s} \int_{0}^{T}{pdt} \]

dove p è la potenza istantanea definita come il prodotto della tensione istantanea v e la corrente istantanea i.

    \[ p = v*i \]

In condizioni di segnali sinusoidali, la potenza attiva è la parte reale della potenza complessa.

    \[ P_{attiva} = Re\{P_{complessa}\} \]

In termini di grandezze elettriche il watt può essere espresso come il prodotto tra tensione e corrente.

    \[ W = V * A \]

Il watt esprimere la potenza come la quantità di lavoro necessario nell’unità di tempo e può essere espresso in termini di joule / secondo. Possiamo esprimere l’equivalenza di watt ad altre unità di misura watt come mostrato di seguito.

    \[ W = \frac{j}{s} = \frac{kg *m^2}{s^3}  \]

Cos’è il voltampere (VA)

Il voltampere è l’unità di misura della potenza apparente nel sistema SI e si indica con il simbolo VA. La potenza apparente ha valori complessi ed è il prodotto della tensione efficace tra due terminali e della corrente efficace che scorre sul componente o circuito servita da suddetti terminali.

    \[ P_{apparente} =V_{eff}*I_{eff} \]

In continua la potenza apparente coincide con la potenza attiva ovvero è il prodotto tra tensione e corrente. La potenza apparente in condizioni sinusoidali è il modulo della potenza complessa.

    \[ P_{apparente} = |P_{complessa}|= \sqrt{P_{attiva}^2 + P_{reattiva}^2} \]

Il voltampere può essere espresso attraverso altre unità di misura come di seguito.

    \[ VA = \frac{kg *m^2}{s^3} \]

Si noti che voltampere e watt sono dimensionalmente identici.

Cos’è il voltampere reattivo (var)

Il voltampere reattivo, nel sistema SI, è l’unità di misura della potenza reattiva e si indica con var.

La potenza reattiva è la parte immaginaria della potenza complessa.

    \[ P_{reattiva} = Im\{P_{complessa}\} \]

essendo:

    \[ P_{complessa} = P_{attiva} + jP_{reattiva}} \]

Il voltampere reattivo può essere espresso attraverso altre unità di misura come di seguito.

    \[ var = \frac{kg *m^2}{s^3} \]

Si noti che watt, voltampere, voltampere reattivi, essendo tutte misure di potenza e sebbene esprimano grandezze che diverse, sono dimensionalmente espresse nella stessa maniera.

Che differenza c’è tra volt, ampere, watt, voltampere e voltampere reattivo?

Ecco una spiegazione delle differenze tra volt (V), ampere (A), watt (W), voltampere (VA) e voltampere reattivo (var):

  1. volt (V)Tensione:
  • Il volt [V] è l’unità di misura della differenza di potenziale elettrico o tensione. Rappresenta il lavoro necessario per muovere le cariche elettriche in un circuito.
  1. ampere (A)Corrente:
  • L’ampere [A] è l’unità di misura dell’intensità di corrente elettrica. Rappresenta la quantità di carica elettrica che scorre attraverso un conduttore per unità di tempo. L’ampere è una grandezza fondamentale del sistema SI.
  1. watt (W)Potenza reale:
  • Il watt [W] è l’unità di misura della potenza attiva (detta anche potenza reale), cioè la quantità di energia effettivamente utilizzata o generata per compiere lavoro. Si ottiene moltiplicando tensione per corrente ed equivale alla quantità di lavoro su unità di tempo.
  1. voltampere (VA)Potenza apparente:
  • Il voltampere è l’unità di misura della potenza apparente. È il prodotto di tensione efficace e corrente efficace in un circuito. In alternata è il modulo della potenza complessa.
  1. voltampere reattivo (var)Potenza reattiva:
  • Il var è l’unità di misura della potenza reattiva, che è associata agli elementi reattivi di un circuito in alternata, come induttori e condensatori. Questi elementi accumulano e rilasciano energia ciclicamente, senza compiere lavoro utile. Sebbene non faccia lavoro utile, la potenza reattiva influisce sul dimensionamento dei componenti del sistema (come trasformatori e conduttori), poiché aumenta la corrente totale che il sistema deve gestire. In alternata indica la parte immaginaria della potenza complessa.


Diodo Zener: a cosa serve e come funziona?

Il diodo Zener è un particolare tipo di diodo e, più in generale, un particolare tipo di dispositivo a semiconduttore molto utilizzato nei circuiti elettronici. È un componente utilizzato in particolar modo in applicazioni che richiedono una regolazione della tensione oppure protezione dalle sovratensioni.

Il diodo Zener, proprio come un diodo normale, è un componente a semiconduttore che basa il suo funzionamento sulla giunzione p-n. Diversamente dal diodo normale, il diodo Zener è realizzato tramite una giunzione p-n ad alto drogaggio . Inoltre, diversamente da un normale diodo, il diodo Zener è progettato per condurre corrente sia in polarizzazione diretta che in condizioni di polarizzazione inversa.

Leggendo un circuito è facile imbattersi in un diodo Zener, tipicamente quando c’è necessità di fornire livelli stabili di tensione ad un ramo del circuito oppure un componente. Avrai notato che lo Zener nei circuiti ha simbolo leggermente diverso da quello del normale diodo e probabilmente ti sei chiesto perchè. In questo articolo andremo ad esaminare il funzionamento del diodo Zener, vedremo come funziona e a cosa serve.

Cos’è il diodo Zener

Diodo Zener
Diodo Zener: la banda nera indica il catodo, al lato opposto è l’anodo

Il diodo Zener è un componente costruito in materiale semiconduttore che, attraverso la giunzione p-n, permette alla corrente di fluire dall’anodo al catodo e viceversa.

Il diodo Zener è un particolare tipo di diodo in grado di condurre corrente non solo in polarizzazione diretta, come gli altri diodi, ma anche in polarizzazione inversa.

Diodo Zener in polarizzazione diretta ed inversa
Diodo Zener: verso di tensione e corrente in polarizzazione diretta ed inversa

Ricordiamo brevemente cosa si intende per polarizzazione diretta ed inversa. Polarizzazione diretta significa che il potenziale applicato al catodo è maggiore di quello applicato all’anodo. Polarizzazione inversa significa che il potenziale applicato all’anodo è maggiore di quello applicato al catodo.

Un diodo (non Zener), è in grado di condurre unicamente quando si trova in polarizzazione diretta e superata una certa tensione di soglia. Al di sopra di questa soglia, il diodo permette che una corrente fluisca dall’anodo al catodo. In polarizzazione inversa ed al di sotto della tensione di soglia, il diodo non conduce e si comporta come un circuito aperto, non permettendo alcun passaggio di corrente. Se si applicasse una tensione inversa ad un diodo non Zener e questa raggiungesse il valore della tensione di breakdown, idealmente il diodo comincerebbe a condurre una corrente inversa. Tuttavia, per come sono fisicamente realizzati, un diodo normale polarizzato in inversa si romperebbe a causa dell’incapacità di dissipare tutta la potenza.

Il diodo Zener è in grado di condurre corrente in polarizzazione diretta esattamente come un diodo normale (non Zener). Caratteristica principale del diodo Zener è che può condurre (e sostenere) una corrente anche quando si trova in polarizzazione inversa ed in particolare nella regione di breakdown, superato una certo valore di tensione di Zener.

Da un punto di vista costruttivo, il diodo Zener è realizzato imponendo un alto drogaggio in entrambe le zone della regione p-n. Questo significa che la regione p avrà una alta densità elettroni ed in maniera analoga la regione n avrà una alta concentrazione di lacune. I valori tipici della densità di atomi nei semiconduttori a basso drogaggio è dell’ordine di 1016 atomi/cm3 mentre, nei semiconduttori ad alto drogaggio la densità di atomi è dell’ordine di 1018 atomi/cm3.

In virtù dell’alto drogaggio con cui è realizzato il diodo Zener è facilmente realizzabile il fenomeno di breakdown detto anche di rottura del dielettrico. Il fenomeno di breakdown è dovuto all’effetto valanga ed all’effetto Zener. L’elevato drogaggio permette che, al crescere della tensione inversa e superata una certa tensione detta tensione di breakdown, il diodo Zener possa condurre corrente anche molto elevata ad una tensione pressoché costante.

Come funziona il diodo Zener?

Il funzionamento del diodo Zener è basato sul cosiddetto effetto breakdown ed effetto Zener. Quando si applica una tensione inversa, cioè dall’anodo al catodo, e questa supera una certa soglia detta tensione di Zener, il diodo Zener è in grado di condurre corrente. L’effetto Zener si ha quando il campo elettrico all’interno del semiconduttore è tale da provocare il movimento di elettroni per effetto tunnel dalla banda di valenza della regione p a quella di conduzione della regione n. A seconda del livello di drogaggio con cui è realizzato il diodo Zener, quest’ultimo presenta un livello di tensione di Zener dell’ordine di pochi Volt oppure centinaia di Volt. In teoria, l’effetto Zener si realizzerebbe anche in un diodo normale cioè a basso drogaggio ma il diodo nella pratica si romperebbe prima di raggiungere la tensione inversa necessaria per il breakdown non riuscendo a dissipare la potenza in gioco.

Caratteristica del diodo Zener

La caratteristica tensione-corrente del diodo Zener è la rappresentazione grafica di come si comporta il diodo in termini di tensione applicata ai suoi estremi e di corrente che scorre attraverso di esso.

Caratteristica tensione-corrente del diodo Zener
Caratteristica tensione-corrente del diodo Zener

Nella zona di polarizzazione diretta, il diodo Zener si comporta come un diodo normale ovvero se la tensione applicata tra catodo ed anodo supera una certa soglia il diodo è attraversato da corrente. Nei diodi in silicio la soglia di tensione per la conduzione di corrente è tipicamente di circa 0,7 V. Superata tale soglia il diodo si comporta come un circuito chiuso permettendo che scorra una corrente. Idealmente questa corrente aumenta in maniera esponenziale all’avvicinarsi della tensione applicata al valore di soglia.
Nella zona di polarizzazione inversa, al crescere della tensione (negativa), il diodo Zener, per tensioni minori di zero si trova in una zona di interdizione in cui non conduce corrente finché non si raggiunge il valore di tensione di Zener. Superata la tensione di Zener, avviene un passaggio di corrente che idealmente esponenziale mantenendo un valore di tensione nell’intorno del valore della tensione di Zener.
La possibilità di poter operare, ovvero di condurre corrente all’applicazione di una tensione inversa è la caratteristica chiave del diodo Zener.

Simbolo diodo Zener

Il simbolo del diodo Zener è mostrato nella figura seguente.

Diodo Zener simbolo
Diodo Zener simbolo

Parametri del diodo Zener

I parametri che caratterizzano principalmente il diodo Zener e che possiamo trovare nel datasheet del produttore sono i seguenti.

Parametri caratteristici del diodo Zener
Significato dei parametri caratteristici del diodo Zener
  • IZ: corrente di test. É la corrente utilizzata dal produttore del diodo come riferimento per gli altri parametri.
  • VZ: tensione inversa di breakdown. Valore di tensione inversa che occorre applicare al diodo per far fluire una corrente pari alla corrente di test IZ.
  • rZ: resistenza differenziale. Il valore di resistenza che assume il diodo Zener quando attraversato da una corrente pari alla corrente di test IZ.
  • IZK: il valore minimo della corrente inversa a partire dal quale si può ritenere, in buona approssimazione, la caratteristica tensione-corrente del diodo Zener, lineare. Alla corrente IZK corrisponde un valore di tensione VZK.

Un altro parametro che si può trovare nella scheda dati e sicuramente molto importante è quello della potenza massima che il diodo Zener è fisicamente in grado di dissipare in presenza di una tensione VZmax ed una corrente IZmax .

A cosa serve il diodo Zener?

Il diodo Zener all’interno dei circuiti serve a regolare o limitare la tensione in ingresso ad un determinato livello. Il diodo Zener viene usato perché può lavorare sia in polarizzazione diretta che in inversa. La caratteristica principale del diodo Zener è quella di condurre in polarizzazione inversa una volta superata la tensione di breakdown di Zener ma anche in polarizzazione diretta quando la tensione in ingresso è superiore alla tensione di soglia. Questa caratteristica lo rende un componente unico ed è una ottima soluzione per applicazioni che richiedono una limitazione controllata della tensione. Vediamo di seguito i principali configurazioni circuitali in cui è utilizzato il diodo Zener.

Circuito limitatore con un diodo Zener

In questa configurazione circuitale, lo Zener è posto in parallelo al carico in uscita. È possibile comandare il carico con una tensione quasi costante. Nella figura seguente viene mostrato il circuito limitatore ad un solo diodo Zener e l’andamento della tensione in uscita rispetto alla tensione in ingresso.

Funzionamento di un circuito limitatore con un diodo Zener
Funzionamento di un circuito limitatore con un diodo Zener

Come si può notare osservando la funzione caratteristica ingresso-uscita di questo circuito, la tensione in uscita sarà limitata dalla tensione Zener VZ quando il diodo è in polarizzazione inversa e dalla tensione di soglia Vγ quando il diodo è in polarizzazione diretta.

Supponiamo di avere una tensione di ingresso sinusoidale ovvero una alimentazione in alternata. Quando la tensione VIN è positiva, il diodo Zener è in polarizzazione inversa ed in uscita avremo una tensione che al massimo sarà pari alla tensione di Zener VZ. Quando la sinusoide in ingresso assume valori negativi, il diodo Zener sarà in polarizzazione diretta e quindi la tensione in uscita sarà limitata dalla tensione di soglia in diretta Vγ. Per valori intermedi il diodo sarà interdetto e quindi la tensione in uscita sarà pari a quella in ingresso.

Riassumendo, per un circuito limitatore con un solo diodo Zener posto in parallelo al carico possiamo distinguere questi casi:

IngressoUscitaFunzionamento
VIN > VZVOUT = VZil diodo Zener conduce in inversa
-Vγ < VIN < VZVOUT = VINil diodo Zener non conduce
VIN < -Vγ VOUT = -Vγil diodo Zener conduce in diretta
Caratteristica ingresso-uscita del circuito limitatore con un diodo Zener

In questa tipologia di circuito, per qualsiasi tensione in ingresso, la tensione di uscita non supererà mai i valori di -Vγ e di VZ ed è quindi importante scegliere adeguatamente il diodo. Il dimensionamento della resistenza posta in ingresso serve a limitare la corrente che fluisce sul diodo Zener in maniera tale da preservare il corretto funzionamento del diodo nei limiti di corrente stabiliti dal produttore del componente.

Circuito limitatore con due diodi Zener

In questa configurazione circuitale si utilizzano due diodi Zener posti in antiserie (in serie ma orientati in maniera opposta tra loro) ed in parallelo al carico. La combinazione dei due diodi Zener in antiserie fa sì che uno di questi lavori in polarizzazione diretta e contemporaneamente l’altro funzioni in polarizzazione inversa. Ne risulta che sul carico posto in uscita viene applicata una tensione che al massimo sarà pari alla tensione di Zener sommata alla tensione del diodo in polarizzazione inversa.

Funzionamento di un circuito limitatore con due diodi Zener
Funzionamento di un circuito limitatore con due diodi Zener

Data una tensione in ingresso sinusoidale, la tensione in uscita sarà come quella di ingresso ma “filtrata” dei valori superiori od inferiori ad un certo limite. Il limite superiore è dato dalla somma della tensione Zener del diodo DZ1 con la tensione di soglia del diodo DZ2 (VZ1 + Vγ2). Il limite inferiore è dato dalla somma della tensione Zener del diodo DZ2 con la tensione di soglia del diodo DZ1 (-VZ2 – Vγ1). In condizioni intermedie almeno uno dei diodi non sarà in conduzione e quindi la tensione in uscita sarà pari a quella in ingresso. A seconda delle esigenze che si possono avere sulla tensione che occorre fornire al carico, è possibile prevedere due diodi con tensione di Zener differente.

Riassumendo, per un circuito limitatore con due diodi Zener, in antiserie tra loro e posti in parallelo al carico possiamo distinguere questi casi:

IngressoUscitaFunzionamento
VIN > VZ1 + Vγ2VOUT = VZ1 + Vγ2DZ1 in inversa e DZ2 in diretta
-VZ2 – Vγ1 < VIN < VZ1 + Vγ2VOUT = VINDZ1 e DZ2 non sono in conduzione
VIN < -VZ2 – Vγ1 VOUT = -VZ2 – Vγ1DZ2 in inversa e DZ1 in diretta
Caratteristica ingresso-uscita del circuito limitatore con due diodi Zener in antiserie

Considerando che si utilizzino due diodi Zener con caratteristiche costruttive identiche, è possibile assumere che in tale circuito, per qualsiasi valore di tensione in ingresso, la tensione di uscita non potrà mai superare i valori di VZ + Vγ e di -VZ – Vγ.

Diodo Zener: vantaggi e svantaggi

Il diodo Zener è un componente a semiconduttore in grado di condurre corrente quando si trova in polarizzazione inversa. È utilizzato in tutte quelle applicazioni che richiedono di regolare o limitare la tensione in ingresso ad un carico in maniera determinata. Questa caratteristica lo rende un componente unico nel suo genere, tuttavia presenta anche degli svantaggi. Vediamo di seguito quali sono i principali vantaggi e quali i limiti nell’utilizzo di un diodo Zener.

Vantaggi del diodo Zener

I principali vantaggi nell’uso del diodo Zener sono:

  • Componente semplice, a basso costo
  • Facile da integrare in un circuito grazie alle sue dimensioni contenute
  • Possibile limitare la tensione ad un valore prestabilito e assicurare protezione dalle sovratensioni

Svantaggi del diodo Zener

I principali limiti nell’uso del diodo Zener sono:

  • Valori alti di tolleranza sulla tensione, ovvero la possibile deviazione che si può verificare rispetto alla tensione nominale dichiarata. Questo rende lo Zener poco preciso e quindi poco utile rispetto a regolatori più complessi
  • Limitata potenza nominale. Lo Zener ha tipicamente una bassa capacità di dissipare il calore senza danneggiarsi e questo ne limita l’utilizzo in applicazioni a bassa potenza.
  • Dipendenza dalla temperatura che ne può limitare fortemente le prestazioni

Il diodo Zener in breve

Riassumendo, il diodo Zener è un componente progettato per lavorare in condizioni di polarizzazione inversa ma è in grado di condurre anche in polarizzazione diretta. È un dispositivo a semiconduttore realizzato tramite un alto drogaggio della regione p-n. È un componente molto versatile, di facile impiego e molto utile quando occorre fornire una tensione di riferimento ad un carico. Il diodo Zener è poco adatto ad applicazioni ad elevata potenza a causa della sua inefficienza nel dissipare calore.


Differenza tra corrente continua (DC) e corrente alternata (AC)

Quando si parla di corrente (ma anche di tensione) si è soliti sentire questa parola insieme ad un’altra cioè “alternata” oppure “continua”. Altre volte si può sentire parlare di “alimentazione in continua” oppure “alimentazione in alternata”.

Ma cos’è l’alternata e cosa la continua? Se ti sei fatto questa domanda allora sei nel posto giusto. Cominciamo col dire che esistono solo due tipi di corrente elettrica e sono: continua ed alternata. Nel caso della continua si è soliti utilizzare l’espressione “corrente continua” oppure la sigla c.c. in italiano (d.c. in inglese – direct current). Per l’alternata si usa l’espressione “corrente alternata” oppure la sigla c.a. in italiano (a.c. in inglese – alternate current) In questo articolo partiremo dal concetto di corrente elettrica per capire cosa si intende per alternata, cosa per continua e vedremo quali sono le differente tra questi due concetti. Ai fini del concetto di continua ed alternata, valgono le stesse considerazioni sia per la corrente che per la tensione elettrica.

Definizione di corrente elettrica

La corrente elettrica è definita come il movimento di cariche elettriche all’interno di un conduttore. La corrente elettrica rappresenta il flusso di cariche che muovendosi attraversano una superficie. Le cariche elettriche possono essere gli elettroni ovvero particelle cariche negativamente (-) oppure i protoni cioè particelle cariche positivamente (+). Il conduttore attraversato da tale flusso può essere un qualsiasi materiale solido, liquido o gassoso.

Verso della corrente elettrica
Verso della corrente elettrica all’interno di un conduttore per moto di cariche elettriche positive (+) e moto di cariche elettriche negative (-)

Se si considera un qualsiasi circuito, la corrente è il flusso di cariche che attraversa il cavo elettrico. Affinché si possa generare della corrente, ovvero un flusso di cariche elettriche, è necessario che tra gli estremi del conduttore vi sia una differenza di potenziale. Quando si parla di corrente elettrica si fa tipicamente riferimento al movimento degli elettroni cioè delle cariche negative. Per convenzione la direzione della corrente elettrica è quella delle cariche positive cioè opposta alla direzione di spostamento degli elettroni.

Si definisce intensità della corrente elettrica che attraversa un conduttore, la quantità di carica che attraversa una sezione del conduttore in un determinato intervallo di tempo. L’espressione matematica che descrive l’intensità di corrente è la seguente:

    \[    i = \frac{dq}{dt}       \]

L’unità di misura dell’intensità di corrente è l’Ampere (A) che corrisponde a Coulomb (C) su secondi (s).

    \[    [i] = A = \frac{C}{s} \]

Quali sono i due tipi di corrente elettrica?

Andamento corrente continua e corrente alternata
Andamento corrente continua e corrente alternata

Ci sono due tipi di corrente:

  1. corrente continua detta c.c. in italiano oppure d.c. in inglese (direct current) e
  2. corrente alternata detta c.a. in italiano oppure a.c. in inglese (alternate current.

Entrambi i tipi di corrente elettrica indicano la presenza di un flusso di cariche. Nel caso della corrente continua, tali cariche si muovono sempre nella stessa direzione. Nella corrente alternata le cariche elettriche cambiano periodicamente direzione passando continuamente da una direzione positiva ad una negativa.

Corrente continua c.c. (direct current d.c.)

La corrente continua è un tipo di corrente che assume un valore di intensità costante nel tempo. Nel grafico seguente è mostrato l’andamento di una corrente continua (o di una tensione continua).

Andamento della corrente continua

Dal grafico si evince che la corrente continua assume lo stesso valore in ogni istante di tempo. L’espressione della corrente continua è quindi una costante.

    \[    i(t) = k; \]

Un esempio di sorgente di alimentazione in grado di fornire al carico una corrente continua è la batteria.

Esempi di sorgenti di alimentazione continua: pila, batteria, pannello fotovoltaico
Esempi di sorgenti di alimentazione continua: pila, batteria, pannello fotovoltaico

Tuttavia esistono altre sorgenti di alimentazione continua a cui si pensa di meno ma che sono oramai molto diffuse come tutte quelle derivanti dai pannelli fotovoltaici.

I fabbricanti e coloro che mettono sul mercato dispositivi elettrici sono sempre tenuti, per legge, ad indicare sul dispositivo il tipo di alimentazione, sia in ingresso che eventualmente, in uscita. L’alimentazione in continua viene indicata dalla sigla c.c. (oppure d.c. in inglese) oppure dal simbolo seguente.

Simbolo corrente continua
Simbolo corrente continua –
IEC 60417-5031

Nella corrente continua, il flusso di cariche elettriche si muove all’interno del conduttore sempre nella stessa direzione e nella stessa quantità.

Corrente alternata c.a. (alternate current a.c.)

La corrente alternata è quella corrente che assume valori di intensità diversi nel tempo. L’andamento della corrente alternata (o tensione alternata) è quello mostrato in figura.

Andamento corrente alternata

Come si può vedere, il segnale assume il valore zero al tempo zero per poi aumentare al passare del tempo (e successivamente diminuire e di nuovo aumentare).

L’andamento della corrente alternata può essere espresso dalla equazione matematica della sinusoide ovvero:

    \[    i(t) = I_{0} * sin(\omega t + \Phi) \]

Un esempio di sorgente di alimentazione in alternata è la presa di corrente che ci fornisce l’alimentazione di rete in alternata (230 V, 50 Hz). In tutti i dispositivi elettrici che richiedono in ingresso (o forniscono in uscita) una tensione in alternata, questa viene indicata dalla sigla c.a. (oppure a.c. in inglese) oppure dal simbolo seguente, seguito dall’informazione sulla frequenza.

Simbolo corrente alternata
Simbolo corrente alternata –
IEC 60417-5031

Nella corrente alternata, il flusso di cariche elettriche varia continuamente direzione in ogni istante di tempo.

valori e tipi di alimentazione su un alimentatore commerciale
Indicazione dei valori e tipi di alimentazione in ingresso ed uscita su un alimentatore commerciale

Come si può vedere, nella figura di cui sopra, sono indicati il valore e la tipologia di alimentazione richiesta in ingresso ed in uscita. Si può notare che in questo caso il fabbricante del dispositivo ha indicato la tipologia di tensione in ingresso ed in uscita tramite i simboli rispettivamente di corrente alternata e corrente continua.

Differenza tra corrente continua e alternata

La differenza tra corrente continua e corrente alternata è l’andamento del segnale dell’intensità di corrente che nel caso di corrente continua è costante mentre nella corrente alternata varia nel tempo.

La corrente alternata e la corrente continua presentano entrambe dei vantaggi e degli svantaggi che rendono la scelta di una tipologia di segnale, rispetto all’altro, vincolata al tipo di applicazione richiesta. Altre differenze tra corrente alternata e continua sono:

  • Direzione del flusso di carica elettrica. Nella corrente continua il flusso di carica è sempre nella stessa direzione mentre nella corrente alternata varia nel tempo. Nella corrente continua la variazione della direzione della carica porta a quella che è chiamata potenza reattiva ovvero un flusso di carica che non va a servire direttamente il carico ma torna parzialmente indietro, nella direzione della sorgente rendendo quindi meno efficiente la distribuzione di energia al carico.
  • Immagazzinamento dell’energia elettrica. A differenza della corrente alternata, la corrente continua può essere fornita al carico sfruttando dei dispositivi in grado di conservare la carica come la batteria oppure i condensatori.
  • Distribuzione elettrica. La distribuzione dell’energia elettrica lungo le reti nazionali ha inizio nelle centrali elettriche e viene trasportata da apposite linee per arrivare alle case o alle industrie. Le linee di distribuzione devono coprire l’intero territorio nazionale e quindi sono molto lunghe. La distribuzione dell’energia elettrica avviene tramite livelli di tensione particolarmente elevati al fine di ridurre le perdite di potenza e viene sempre effettuata con tensione alternata. Questo perché se si usasse tensione in continua la potenza dissipata sarebbe più elevata e richiederebbe conduttori con sezioni più grandi e quindi più materiale elettrico ovvero costi elevatissimi. Il vantaggio, in termini di efficienza nella distribuzione dell’energia elettrica, nell’utilizzare tensione in alternata è tale da rendere trascurabile la necessità di dover introdurre convertitori per alimentare dispositivi in continua.
  • Disturbi elettromagnetici. La corrente alternata, in particolar modo a frequenze elevate è spesso responsabile della generazione di disturbi elettromagnetici. Un esempio di questo è dato dagli alimentatori switching. L’utilizzo di corrente alternata è particolarmente utile ed efficiente negli alimentatori a commutazione, detti anche alimentatori switching. Questi alimentatori vengono tipicamente utilizzati per fornire corrente continua a partire da una sorgente in alternata (ma eventualmente anche in continua). L’alimentatore switching è un dispositivo elettronico in grado di regolare la tensione in uscita andando a commutare ad altissima frequenza il segnale in ingresso. Questo porta notevoli vantaggi in quanto gli alimentatori switching sono molto efficienti e di dimensioni contenute. Tuttavia, a frequenze così elevate (kHz ma anche MHz), i fronti d’onda delle tensioni e correnti alternate sono particolarmente ripidi generando elevati livelli di energia che possono facilmente portare ad interferenze elettromagnetiche. Tali interferenze possono essere tali da perturbare il normale funzionamento dei dispositivi che si trovano in prossimità dell’alimentatore, compresi il carico e l’alimentatore stesso.

Cosa si intende per elettronica di potenza

Tutti i sistemi e circuiti elettrici richiedono energia elettrica per poter funzionare. Tale energia elettrica viene trasmessa da una sorgente ad un carico. La trasmissione avviene facendo uso delle tecniche e dei componenti che rientrano nell’ambito di applicazione di una disciplina denominata elettronica di potenza.

L’elettronica di potenza è un sottoinsieme dell’elettronica e gioca un ruolo fondamentale poiché la troviamo ovunque, all’interno di un dispositivo come per esempio il caricabatterie oppure nei sistemi di generazione elettrica come quelli dei pannelli solari oppure delle turbine eoliche. Ogni dispositivo elettrico richiede alimentazione per poter funzionare e l’elettronica di potenza riguarda tutti quegli aspetti che permettono all’energia elettrica di poter alimentare un qualsiasi carico.

Cosa si intende per elettronica di potenza? In questo articolo verranno presentati gli aspetti principali che riguardano l’elettronica di potenza incluso il suo significato e le sue applicazioni tipiche. Se hai sempre sentito parlare di elettronica di potenza ma non hai mai capito bene di cosa si tratta, questo articolo è quello che fa per te.

Cosa significa elettronica di potenza

L’elettronica di potenza è la disciplina che studia come gestire, elaborare e convertire l’energia elettrica. L’elettronica di potenza è quella parte dell’elettronica che riguarda di tutte quelle tecniche di progettazione circuitale che permettono, tramite l’utilizzo di componenti (di potenza) di controllare e manipolare l’energia elettrica. Obiettivo dell’elettronica di potenza è quello di far giungere in maniera controllata l’energia elettrica dalla sorgente al carico sulla base di quanto richiesto dalla stessa tipologia di carico.

Sulla base di quanto detto si può comprendere come l’elettronica di potenza riguardi quell’elettronica che si trova in una posizione intermedia tra una sorgente capace di generare dell’energia elettrica e un carico che richiede tale energia elettrica per poter funzionare. In generale, il carico, per poter funzionare non richiede soltanto dell’energia elettrica ma richiede che questa energia gli arrivi con particolari caratteristiche che sono quelle che il carico richiede per poter funzionare in maniera corretta ed efficiente.

A cosa serve l’elettronica di potenza

L’elettronica di potenza serve a garantire che l’energia elettrica che proviene da una sorgente venga trasmessa al carico che la richiede nella forma richiesta ed in maniera efficiente. L’obiettivo è quindi che il carico possa funzionare bene, come previsto e senza danneggiarsi. L’energia elettrica, infatti, dopo essere stata trasmessa dal generatore, prima di giungere al carico attraversa diverse fasi in cui viene manipolata e convertita. L’elettronica di potenza permette che l’energia elettrica giunga al carico esattamente nella forma e nelle specifiche richieste dal carico per funzionare.

Ne deriva che l’elettronica di potenza gioca un ruolo chiave nella trasmissione dell’energia con un impatto importante sulle performance e sul funzionamento di qualsiasi dispositivo o componente elettrico. I circuiti di potenza hanno inoltre un impatto importante nella progettazione dei dispositivi elettrici ed elettronici in quanto, nonostante la crescente miniaturizzazione dei singoli componenti ed integrati, rappresentano sempre quella parte del circuito più grande in termini di volume richiesto.

Applicazioni dell’elettronica di potenza

L’elettronica di potenza è presente in qualsiasi circuito elettrico che richiede di essere alimentato e quindi la troviamo praticamente ovunque, all’interno dei dispositivi elettrici che utilizziamo nella quotidianità come a valle dei grandi generatori di energia elettrica per la distruzione elettrica residenziale ed industriale.

Esempi di applicazione dell'elettronica di potenza
Esempi di applicazione dell’elettronica di potenza

Di seguito alcuni esempi di applicazione dell’elettronica di potenza.

  • Dispositivi portatili come computer, telefoni, caricabatterie, power bank
  • Convertitori, alimentatori da laboratorio, convertitori di potenza nelle centrali di distribuzione dell’energia elettrica
  • Inverter per la regolazione dell’energia elettrica all’interno di elettrodomestici come lavatrici, condizionatori ed inverter per sistemi eolici, fotovoltaici
  • Amplificatori radio-frequenza, raddrizzatori, etc.

Componenti e dispositivi di potenza

I principali componenti nell’ambito dell’elettronica di potenza e quindi più utilizzati nei circuiti che modulano l’energia elettrica sono componenti a semiconduttore. I componenti prevalentemente utilizzati nell’elettronica di potenza sono:

  • Diodo
  • Tiristore
  • Transistor bipolare BJT
  • Transistor ad effetto di campo MOSFET
  • Transistor bipolare a gate isolato IGBT

Questi componenti vengono tipicamente utilizzati, in combinazione con altri componenti, per realizzare dispositivi più complessi come:

  • Raddrizzatore: convertitore da alternata a continua (AC/DC). Tipicamente utilizzati per alimentare dispositivi portatili.
  • Inverter: convertitore da continua ad alternata (DC/AC). Utile soprattutto quando si vuole modulare in maniera efficiente la tensione alternata in uscita e la relativa frequenza.
  • Convertitore DC/DC: convertitore da continua a continua. La conversione del livello di tensione, più alto o più basso può essere richiesta per alimentare un circuito secondario oppure una porzione del circuito. Sono convertitori DC/DC i convertitori boost, buck-boost, split-pi.
  • Convertitore AC/AC: convertitore da alternata ad alternata. I valori di tensione e frequenza in uscita variano sulla base di come è realizzato il convertitore.

Valore efficace (RMS): significato e dimostrazione

In ambito elettrico ed elettronico si fa spesso riferimento al valore efficace di una grandezza elettrica sia essa la corrente oppure la tensione. Chiunque si sia trovato a gestire grandi o piccoli progetti elettrici, per passione, studio o lavoro, si sarà sicuramente imbattuto in espressioni come “corrente efficace”, “tensione efficace” oppure sigle come “eff”, “rms”.

Il concetto di valore efficace è utilizzato nella trattazione dei segnali periodici ovvero quando la grandezza elettrica di riferimento assume l’andamento che si ripete nel tempo ad ogni periodo di tempo. Un esempio particolare di segnale periodico è il segnale sinusoidale. Sono segnali sinusoidali tutti quelli, ad esempio, che riguardano l’alimentazione di rete. Il valore efficace (RMS) di una grandezza elettrica è tipicamente utilizzato dove, nell’ambito di un circuito in regime alternato, è necessario ed utile fare un confronto rapido con un circuito in regime di corrente continua.

In questo articolo verranno forniti e spiegati di concetti di base relativi al valore efficace, la derivazione matematica ed il significato. In ambito elettrico, così come in tantissimi altri ambiti, conoscere e capire il significato del gergo tecnico è fondamentale per poter comprendere al meglio il funzionamento atteso o previsto di un circuito e le relative specifiche da soddisfare.

Cosa si intende per valore efficace?

Si consideri una funzione periodica come la corrente / tensione alternata di rete. Il valore efficace è il valore che avrebbe un segnale costante per erogare la stessa potenza media del segnale periodico.

Prendiamo ad esempio, un semplice circuito costituito da un generatore di tensione alternata ed un carico resistivo.

Schema di un circuito in alternata con generatore e carico
Schema di un circuito in alternata con generatore e carico

La tensione alternata che attraversa il carico fa circolare una corrente anch’essa alternata che produce una dissipazione di potenza. Considerando infatti il carico resistivo, quando la tensione attraversa il carico, si genera una potenza (P = V*I) che verrà dissipata in calore per effetto Joule. Il valore efficace di una tensione alternata è il valore che avrebbe una tensione continua per produrre la stessa potenza media nello stesso circuito (sullo stesso carico).

Equivalenza di potenza tra circuito in alternata ed in continua
Equivalenza di potenza tra circuito in alternata ed in continua

A partire dalla definizione stessa di valore efficace si comprende come questo sia uno strumento particolarmente utile quando, nell’analisi dei circuiti, occorre confrontare segnali in alternata (variabili nel periodo) e segnali in continua (costanti).

Definizione matematica di valore efficace (RMS)

Per definire il valore efficace occorre partire dal concetto di funzione periodica.

Una funzione periodica è una funzione che si ripete nel tempo ad intervalli definiti. Si definisce funzione periodica x(t) una funzione i cui valori nel tempo variano secondo l’equazione seguente.

    \[    x(t) = x(t+ kT); \]

dove T è chiamato periodo della funzione periodica ed indica il tempo minimo perché i valori della funzione si ripetano. Esempi di funzioni periodiche sono quelli mostrati nella figura seguente.

Esempi di funzione periodica
Esempi di funzione periodica

A partire da una generica funzione periodica si definiscono:

  • valore medio Xmedio nel periodo T;
  • valore efficace Xeff, detto anche RMS (Root Mean Square).

Il valore medio di una funzione periodica x(t) nel periodo T è definito dalla seguente formula:

    \[    <x(t)> = \frac{1}{T} \int_{0}^{T}x(t)dt} \]

Il valore medio è la media dei valori che può assumere la funzione in un periodo. La formula del valore medio equivale alla somma di tutti i valori della funzione nel periodo diviso il numero di istanti che compongono il periodo.

Il valore efficace Xeff di una funzione periodica x(t) è definito dalla seguente formula:

    \[    X_{eff} = \sqrt{\frac{1}{T} \int_{0}^{T}x^2(t)dt} \]

La formula è esattamente il significato di RMS ovvero la radice quadrata (root) della media (mean) del quadrato (square) della funzione periodica x(t). In altre parole, per ottenere il valore efficace di una funzione periodica occorre considerare dapprima il quadrato della funzione periodica (che sarà sempre una funzione positiva), calcolare la media sul periodo ed infine farne la radice quadrata.

Il significato del valore efficace risiede nella relazione che sussiste tra valore medio e valore efficace di una funzione periodica. Si ha che il valore medio del quadrato della funzione periodica è uguale al quadrato del valore efficace della stessa funzione periodica, come mostrato dalla formula seguente.

    \[    <x^2(t)> = X_{eff}^2 \]

La potenza media dissipata da un circuito in alternata è la stessa che si avrebbe in un circuito in continua con corrente pari alla corrente efficace (a parità di carico). La potenza media (Pmedia)in un circuito in alternata può essere espressa dalla seguente relazione:

    \[    P_{media} = I_{eff}^2 Z_i = \frac{V_{eff}^2}{Z_i} \]

Valore medio e valore efficace di una funzione periodica non dipendono dal tempo ma sono semplicemente uno scalare. Il valore efficace è sempre un valore maggiore oppure uguale al valore medio.

Dimostrazione valore efficace (RMS) di una funzione sinusoidale

Si consideri una sinusoide come, ad esempio, la funzione seno s(t). La sinusoide è una funzione continua e periodica nel tempo ovvero è un segnale la cui ampiezza varia in un intervallo di tempo detto periodo e si ripete sempre nella stessa maniera. L’andamento della funzione s(t) è rappresentato nel grafico seguente.

Grafico del segnale sinusoidale
Grafico del segnale sinusoidale

La sinuoside s(t) è descritta dalla seguente funzione sinusoide

    \[    s(t) = S_{max} * sin(\omega t) \]

dove

Smax : ampiezza ovvero il massimo valore di s(t) in un periodo

ω : velocità angolare

La velocità angolare è funzione della frequenza a cui la funzione di ripete e può essere a sua volta descritta in funzione del periodo T poiché rappresenta il numero di periodi in un intervallo di tempo pari a 2π.

    \[    \omega = \frac{2 \pi}{T} \]

Andando a sostituire la formula della velocità angolare ω all’interno della funzione s(t), otteniamo quanto segue.

    \[    s(t) = S_{max} * sin(\frac{2 \pi}{T} t) \]

Vediamo ora come calcolare il valore efficace di una funzione sinusoidale quale s(t).

  1. Sostituiamo, all’interno dell’espressione matematica del valore efficace, l’espressione generica della funzione periodica x(t) con la funzione s(t).

(1)   \begin{equation*}     S_{eff} = \sqrt{\frac{1}{T} \int_{0}^{T}{  S_{max}^2 * sin^2(\frac{2 \pi}{T} t) dt}} \end{equation*}

  1. Il quadrato del valore di picco Smax non varia rispetto a t e quindi possiamo portarlo fuori dall’integrale.

(2)   \begin{equation*}     S_{eff} = \sqrt{\frac{S_{max}^2}{T} \int_{0}^{T}{sin^2(\frac{2 \pi}{T} t) dt}} \end{equation*}

A questo punto possiamo sostituire il quadrato del seno con la relativa espressione presa dalle identità trigonometriche e mostrata di seguito.

(3)   \begin{equation*}     sin^2(\alpha) = \frac{1-cos(2\alpha)}{2} \end{equation*}

  1. Sostituiamo la formula in (3) all’interno dell’equazione (2).

(4)   \begin{equation*}     S_{eff}=\sqrt{\frac{S_{max}^2}{2T}\int_{0}^{T}{(1-cos(\frac{4\pi}{T}t))dt}} \end{equation*}

  1. Risolviamo l’integrale tenendo presente che:

(5)   \begin{equation*}     \int_{0}^{T}{ dt} } = T \end{equation*}

e che:

(6)   \begin{equation*}     \int_{0}^{T}{cos(\frac{4\pi}{T}t) dt}  = \frac{T}{4\pi}[sin(4\pi)-sin(0)] \end{equation*}

risulta:

(7)   \begin{equation*}     \int_{0}^{T}{ (1-cos(\frac{4\pi}{T}t))  dt} } = T \end{equation*}

Infine andiamo a sostituire la (7) nella (4). Ne deriva che la formula del valore efficace (valore RMS) di una funzione sinusoidale è la seguente:

    \[    S_{eff} = \frac{S_{max}}{\sqrt{2}} \]

Segnale sinusoidale e valore efficace
Segnale sinusoidale e valore efficace

Il valore efficace di una funzione sinusoidale è quindi pari a 0,7071 volte l’ampiezza del segnale.

Quando si utilizza il valore efficace?

Il valore efficace di una funzione periodica si utilizza per poter confrontare agilmente la potenza erogata da un circuito in alternata con quella in un circuito in continua. Il contenuto di energia di un segnale periodico varia nel tempo poiché la stessa funzione periodica varia. In questo contesto riferirsi al valore efficace facilita il paragone tra la potenze di circuiti con sorgenti diverse.

Nella pratica, in tutti i contesti in cui è presente un segnale in alternata, ci si riferisce sempre, per convenzione, al valore efficace di quel segnale. Ad esempio sappiamo che nella nostra rete elettrica residenziale viene fornita una tensione di 230 V. Questi 230 Volt sono il valore efficace della tensione. Se ne deduce che la tensione di alimentazione residenziale fornita dal distributore di energia elettrica è un segnale sinusoidale con ampiezza di circa 325 V (230*0,7071), frequenza di 50 Hz e valore efficace di 230 V.

Tutti gli strumenti di misura in ambito elettrico che analizzano segnali in alternata forniscono sempre il valore efficace del segnale. In tutte le norme tecniche, anche laddove non specificato, quando ci si riferisce a segnali in alternata, il valore che viene indicato è sempre un valore efficace.


Monofase vs trifase

Differenza tra monofase e trifase

I sistemi di energia elettrica nelle reti di distribuzione sono classificati in sistemi monofase e trifase. I sistemi monofase e trifase svolgono un ruolo cruciale nel fornire elettricità dalle centrali di generazione agli utenti finali, siano essi residenziali, commerciali o industriali.

I sistemi monofase e trifase differiscono significativamente sotto diversi aspetti come quelli realizzativi e di utilizzo ma entrambi hanno in comune di essere utilizzati per l’erogazione dell’energia elettrica. I sistemi monofase, comunemente presenti negli ambienti residenziali, forniscono energia a quelle utenze che richiedono livelli di potenza contenuti. Al contrario, i sistemi trifase sono parte integrante dell’industria pesante e leggera in quanto permettono la distribuzione efficiente di elevati livelli di potenza, tipicamente richieste da questo tipo di utenze.

Questo articolo mette in luce la differenza tra monofase e trifase, esaminandone le configurazioni elettriche, i meccanismi di erogazione dell’energia, l’efficienza e i casi d’uso tipici.

Cosa si intende per monofase?

Un sistema elettrico monofase è un tipo di sistema di alimentazione a corrente alternata basato su una singola forma d’onda che varia nel tempo in maniera sinusoidale.

Segnale sinusoidale
Segnale sinusoidale

Ecco alcuni aspetti chiave e usi dei sistemi monofase:

  1. Definizione. Il sistema monofase è un sistema di distribuzione dell’energia elettrica in corrente alternata a singola fase ovvero dotato di un unico conduttore attivo.
  2. Fasi: Il sistema monofase è costituito da una singola fase e due conduttori: il conduttore di fase ed il conduttore di neutro. Quando il sistema monofase è alimentato, il conduttore di fase è attraversato da una tensione e quindi una corrente alternata che può essere rappresentata da una forma d’onda sinusoidale. L’intensità della corrente dipende dalla potenza richiesta dal carico.
  3. Tensione. Il conduttore di fase del sistema monofase è attraversato da una tensione di ampiezza pari a circa 230 V e frequenza costante di 50 Hz e trasmette la corrente al carico ad esso collegato. Il conduttore di neutro è a potenziale nullo ed ha la funzione di chiudere il circuito che alimenta il carico facendo passare la corrente di ritorno.
  4. Applicazione. Il sistema monofase è tipicamente utilizzato per distribuire alimentazione elettrica ad applicazioni residenziali, commerciali o dell’industria leggera, dove il carico totale è relativamente basso ovvero la potenza richiesta ha valori contenuti.
  5. Vantaggi: la progettazione e l’implementazione dei sistemi monofase sono piuttosto semplici poiché richiedono unicamente di collegare il conduttore di fase e quello di neutro. I sistemi di distribuzione elettrica monofase sono per questo facili da installare e manutenere e quindi convenienti per ambiti residenziali a bassa richiesta di potenza.

Cosa si intende per trifase?

Un sistema elettrico trifase è un tipo di sistema di alimentazione a corrente alternata ampiamente utilizzato per la generazione, la trasmissione e la distribuzione di energia elettrica.

Schema semplificativo di utilizzo di un sistema trifase
Schema semplificativo di utilizzo di un sistema trifase

E’ tipicamente destinato alla fornitura di energia in ambienti industriali e commerciali.

Andamento delle tre funzioni sinusoidali in un sistema trifase
Andamento delle tre funzioni sinusoidali in un sistema trifase

Ecco gli aspetti chiave e gli utilizzi dei sistemi trifase:

  1. Definizione. Il sistema trifase è un sistema di generazione, trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica alternata trifase ovvero dotata di tre conduttori attivi.
  2. Fasi. Il sistema trifase è costituito da tre fasi e può essere realizzato tramite almeno tre conduttori. Nel sistema trifase sono sempre presenti tre conduttori attivi, uno per ogni fase, ed eventualmente un conduttore di neutro. La presenza del conduttore di neutro dipende dal tipo di sistema trifase. Nel caso di sistema trifase simmetrico ed equilibrato, il neutro non viene utilizzato in quanto inutile poiché la corrente che vi circolerebbe sarebbe nulla.
  3. Tensione. Ogni conduttore di fase è attraversato da una tensione di 230 V. Tra le fasi è presente una tensione di 400 V pari a √3 volte la tensione tra fase e neutro (230 * 1,732 ≈ 400). Esistono diversi tipi di sistema trifase, il più diffuso è quello bilanciato. Nel sistema trifase bilanciato le fasi sono sincronizzate e sfasate tra loro di 120º. Questo sfasamento permette che in ogni istante sia possibile erogare potenza elettrica stabilmente.
  4. Applicazione. Il sistema trifase è tipicamente utilizzato nella generazione, trasmissione e distribuzione di energia elettrica. Il sistema trifase è utilizzato in combinazione con generatori per la parte di generazione elettrica, trasformatori che elevano la tensione per la trasmissione sulle linee a grandi distanze ed infine trasformatori che abbassano la tensione e la riportano ai valori stabiliti per gli utilizzatori di 230 V tra fase-neutro, 400 V tra fase-fase.
  5. Vantaggi. i sistemi trifase forniscono un trasferimento di potenza costante al carico, sono adatti a realizzare un’efficiente distribuzione dell’energia su lunghe distanze. A partire da questi aspetti i sistemi trifase sono essenziali per le applicazioni industriali e commerciali grazie alla loro capacità di fornire grandi quantità di energia in modo efficiente e affidabile.

Qual è la differenza tra monofase e trifase?

La differenza principale tra monofase e trifase risiede nella configurazione, nell’erogazione di potenza, nell’efficienza e nelle applicazioni tipiche. Ecco un confronto dettagliato:

  1. Erogazione di potenza:
    • Monofase: adatto per applicazioni a bassa potenza.
    • Trifase: adatto per applicazioni di potenza più elevata e più efficiente su lunghe distanze.
  2. Installazione e costi:
    • Monofase: più semplice ed economico da installare.
    • Trifase: più complesso e costoso da installare ma offre vantaggi in termini di efficienza a lungo termine.
  3. Efficienza:
    • Monofase: meno efficiente, soprattutto su lunghe distanze.
    • Trifase: più efficiente, con erogazione di potenza più fluida ai macchinari pesanti.
  4. Utilizzo:
    • Monofase: residenziale ed industria leggera.
    • Trifase: Industriale ed industria leggera (es. officine).
  5. Conduttore di neutro:
    • Monofase: il neutro nel sistema monofase è fondamentale perché serve a creare un percorso di ritorno per la corrente che arriva al carico attraverso il conduttore di fase. Il conduttore di neutro permette infatti di chiudere il circuito che trasmette potenza al carico.
    • Trifase: il neutro serve a creare un percorso di ritorno per la corrente di squilibrio nel sistema trifase squilibrato. In questo caso il neutro del carico è posto allo stesso potenziale del neutro del trasformatore a monte, permettendo di ristabilire la simmetria tra le tensioni di linea. Qualora il sistema sia equilibrato, il conduttore di neutro non ha alcuna utilità.

In sintesi, l’energia elettrica monofase è ideale per uso residenziale e commerciale leggero grazie alla sua semplicità e ai costi inferiori. Al contrario, l’energia elettrica trifase è preferita per le applicazioni industriali e commerciali di grandi dimensioni dove l’efficienza, una maggiore capacità di potenza ed una erogazione più fluida sono cruciali.

Quando conviene il trifase?

In molteplici applicazioni è tipicamente utilizzato il sistema trifase. Di seguito i principali contesti in cui si predilige esclusivamente il sistema trifase:

  1. Trasmissione di potenza su linee elettriche. La trasmissione di potenza dalla sorgente, come da esempio una centrale idroelettrica, all’utilizzatore, richiede che la corrente percorra lunghe distanze. Proprio in virtù di queste distanze, diviene importante prendere in considerazione diversi fattori quali ad esempio il costo dei materiali per realizzare le linee elettriche. A parità di potenza richiesta dal carico, rispetto al sistema monofase, nel sistema trifase questa potenza è distribuita su tre cavi e questo permette di utilizzare dei cavi più sottili con minore dissipazione per effetto Joule e generalmente più facili da installare, gestire e manutenere. Il sistema monofase richiede 2 cavi (fase + neutro) mentre il sistema trifase richiede minimo 3 cavi (3 fasi + eventuale neutro). Nonostante necessiti un cavo in più è possibile dimostrare che un sistema trifase richiede circa un quarto di volume di rame in meno rispetto al sistema monofase per poter fornire ad un carico una determinata potenza. Questo permette indirettamente anche di ridurre i costi di manutenzione poiché cavi con sezioni inferiori richiedono collegamenti e componenti più semplici e garantiscono maggiore affidabilità.
  2. Erogazione fluida di potenza. Nel caso del sistema monofase, considerando che abbiamo una sola fase, abbiamo che la tensione attraversa lo zero 50 volte al secondo, considerando in Europa la frequenza dell’alimentazione di rete di 50 Hz. Questo può sembrare un aspetto trascurabile ed in effetti lo è finché l’energia richiesta dal carico è ridotta. In presenza invece di carichi elevati, questi buchi di tensione / corrente possono portare a bruschi e ripetuti arresti nel funzionamento del carico che si traduce in inefficienza, aumentato rumore / vibrazioni (ad esempio per organi meccanici mobili in continuo arresto e ripristino) e maggiore possibilità di guasto. Nei sistemi trifase le tre fasi sono sfasate tra loro quindi quando una fase attraversa lo zero, le altre saranno in un punto diverso della sinusoide ed il carico quindi sarà meno influenzato dall’attraversamento dello zero di una singola fase in quanto potrà assorbire sempre un livello di potenza costante. Maggiore è il carico ed il relativo assorbimento di potenza, maggiore questo aspetto è rilevante in termini di efficienza e di affidabilità del circuito nel suo complesso.
  3. Motori elettrici ad alta potenza. I motori ad alta potenza ovvero quelli che vedono movimentare carichi importanti come avviene solitamente nell’industria sono quasi esclusivamente alimentati da sistemi trifase. Questo avviene da una parte perché è necessario avere una erogazione della potenza fluida ma anche perché in questo caso si ha una semplificazione importante dal punto di vista progettuale. In un sistema trifase infatti, essendo le tre fasi sfasate tra loro di 120º, si crea un campo magnetico rotante che induce delle correnti nel rotore, si genera una coppia che quindi permette una rotazione costante in una specifica direzione. Al contrario, un motore alimentato da un sistema monofase, richiede che venga creato uno sfasamento nell’avvolgimento secondario per poter innescare il movimento rotativo. L’avvio di un motore monofase tipicamente si realizza con un condensatore oppure tramite un controllo di potenza elettronico a monte del motore monofase. Nel caso di motori elettrici ad alta potenza l’utilizzo di sistemi trifase semplifica notevolmente il progetto in quanto non occorre includere circuiti per l’avvio del motore.


Monofase Vs trifase in breve

La differenza tra monofase e trifase risiede negli aspetti realizzativi e nella destinazione d’uso dei singoli sistemi.

I sistemi monofase sono più semplici e sufficienti per applicazioni residenziali e commerciali leggere, mentre i sistemi trifase forniscono maggiore efficienza, stabilità ed erogazione di potenza, rendendoli essenziali per applicazioni industriali e commerciali di grandi dimensioni. La scelta tra monofase e trifase dipende dai requisiti di potenza, da considerazioni sull’efficienza e dalle esigenze applicative specifiche.


Trasformatore: cos’è e come funziona

I trasformatori sono componenti fondamentali per la trasmissione e la distribuzione efficiente dell’energia elettrica. Consentono la fornitura efficiente di elettricità su lunghe distanze, l’isolamento tra i circuiti e la regolazione della tensione per varie applicazioni. In questo articolo verranno presentati i principi di funzionamento ed i diversi tipi di trasformatore.

Cos’è il trasformatore

Il trasformatore è un componente elettrico passivo che trasferisce l’energia elettrica da un circuito ad un altro attraverso l’effetto dell’induzione elettromagnetica. In quanto componente passivo, la potenza erogata al circuito a valle sarà inferiore a quella ricevuta poiché una parte dell’energia elettrica verrà dissipata, ad esempio in calore (effetto Joule). Il trasformatore è quindi una macchina elettrica statica ovvero un dispositivo in grado di convertire un tipo di energia elettrica in ingresso, in questo caso una tensione alternata, in un tipo diverso cioè una tensione alternata con un valore diverso. È definita “statica” data l’assenza di elementi mobili.

trasformatore come doppio bipolo
Rappresentazione del trasformatore come doppio bipolo

Il trasformatore si comporta a tutti gli effetti come un doppio bipolo costituito da due porte, una di ingresso ed una di uscita che permette il trasferimento di potenza senza che i relativi circuiti siano fisicamente collegati tra loro.

Come è fatto il trasformatore

Il trasformatore è costituito da un nucleo, tipicamente di materiale ferromagnetico, attorno al quale ci sono degli avvolgimenti. Gli avvolgimenti sono separati tra loro ed isolati dal nucleo in maniera tale da evitare situazioni di corto circuito.

Elementi costituenti un trasformatore
Elementi costituenti un trasformatore

Gli elementi di cui è fatto il trasformatore sono:

  • Avvolgimenti: gli avvolgimenti primari e secondari sono realizzati in filo di rame o alluminio.
  • Nucleo: il nucleo magnetico aiuta a concentrare il campo magnetico e migliorare l’efficienza. Il nucleo di un trasformatore tipicamente può essere realizzato a colonne oppure a mantello.
  • Isolamento: garantisce che gli avvolgimenti e il nucleo non vadano in cortocircuito. L’isolamento di un trasformatore è tipicamente realizzato a secco in aria, a secco in resina oppure in olio minerale.
  • Involucro: protegge i componenti interni dai fattori ambientali.

Una considerazione in più riguarda il nucleo del trasformatore che fisicamente è realizzato tramite la sovrapposizione di lamerini metallici come mostrato nella figura seguente.

Struttura di un nucleo costituito da lamierini sovrapposti
Struttura di un nucleo costituito da lamierini sovrapposti

I lamerini sono sovrapposti tra loro e separati da uno strato isolante. Hanno uno spessore che tipicamente varia tra 0,2 mm e 0,5 mm dipendentemente dalla frequenza a cui si vuol far lavorare il trasformatore. Questa modalità costruttiva serve a ridurre lo svilupparsi di correnti parassite sugli avvolgimenti.

Simbolo trasformatore

Il simbolo del trasformatore in accordo ad IEC 60417 è mostrato nella figura seguente

Simbolo trasformatore - IEC 60417
Simbolo trasformatore – IEC 60417

Tipicamente però i vari programmi CAD per redigere gli schemi elettrici realizzano il trasformatore con il simbolo seguente.

Simbolo trasformatore con nucleo in ferro
Simbolo trasformatore con nucleo in ferro

Di seguito un estratto da uno schema elettrico dove è possibile notare il simbolo del trasformatore ed attorno allo stesso le relative informazioni.

Trasformatore in uno schema elettrico
Trasformatore in uno schema elettrico

Dall’immagine si può notare come all’interno di uno schema elettrico vengano tipicamente riportati i valori della tensione sul primario (in questo caso 400 V) e quelli sul secondario (200 V) oltre al valore di potenza nominale e le connessioni di terra.

In letteratura, ed in particolare nell’ambito dell’analisi dei circuiti si è soliti fare riferimento al trasformatore ideale. Il simbolo del trasformatore ideale è mostrato di seguito.

Simbolo trasformatore ideale
Simbolo trasformatore ideale

Il trasformatore ideale è un concetto puramente teorico ovvero si considera il comportamento del trasformatore e si escludono imperfezioni dei materiali o fenomeni parassiti presenti nella realtà.

Come funziona un trasformatore

Consideriamo un trasformatore monofase in cui il circuito primario è alimentato da una tensione alternata mentre il circuito secondario è collegato un carico che per semplificare considereremo lineare. Il funzionamento del trasformatore può essere descritto schematicamente come di seguito:

  1. la corrente alternata (quindi variabile nel tempo) che circola sull’avvolgimento primario genera un campo magnetico variabile.
  2. le linee di flusso del campo magnetico generatosi nel circuito primario provocheranno una variazione nel campo magnetico del vicino avvolgimento secondario ovvero una forza elettromotrice (fem).
  3. La forza elettromotrice presente nel secondario porta ad un flusso di corrente sul carico collegato.

Nella figura seguente viene mostrata la distribuzione del flusso magnetico generato nell’avvolgimento primario ed indotto nell’avvolgimento secondario.

Distribuzione del flusso magnetico nel trasformatore
Distribuzione del flusso magnetico nel trasformatore

Come mostrato in figura, il flusso magnetico generatosi nel primario si sviluppa in due componenti che sono:

  • flusso magnetico principale: all’interno del nucleo ed attraverso entrambi gli avvolgimenti
  • flusso magnetico di dispersione: parzialmente all’interno del nucleo e parzialmente in aria attraverso l’avvolgimento primario oppure l’avvolgimento secondario.

Il funzionamento del trasformatore viene anche rappresentato attraverso le equazioni caratteristiche del trasformatore ideale ovvero le relazioni che sussistono tra tensione in ingresso ed uscita e tra corrente in ingresso ed uscita, valide nel caso (non reale) in cui trascuriamo l’effetto di perdite dovute alle caratteristiche dei materiali, dell’isolamento, effetti parassati etc.

Le equazioni caratteristiche del trasformatore ideale sono le seguenti:

Equazioni caratteristiche del trasformatore ideale
Equazioni caratteristiche del trasformatore ideale

Il funzionamento del trasformatore è quindi idealmente descritto dalla proporzionalità tra tensione di ingresso e quella di uscita e tra la corrente di ingresso e quella di uscita. Tale proporzionalità dipende dal rapporto tra il numero di spire sul primario e quello sul secondario. Il funzionamento del trasformatore ideale dipende dal numero di spire e sono possibili tre casi:

  1. N1=N2; l’avvolgimento primario e quello secondario hanno lo stesso numero di spire. In questo caso la tensione in uscita dal trasformatore ha lo stesso valore della tensione in ingresso.
  2. N1>N2; l’avvolgimento primario ha più spire di quello secondario. La tensione in uscita ha un valore inferiore a quella in ingresso mentre la corrente in uscita sarà minore di quella in ingresso.
  3. N1<N2; l’avvolgimento primario ha meno spire di quello secondario. La tensione in uscita ha un valore superiore a quella in ingresso mentre la corrente in uscita sarà maggiore di quella in ingresso.

Da queste considerazioni si può dedurre che la potenza assorbita sul primario (V1(t)*i1(t)) è uguale alla potenza assorbita sul secondario (V2(t)*i2(t)). Questo significa che, in condizioni ideali, il trasformatore è in grado di trasferire tutta la potenza del primario sul secondario, indipendentemente dal numero di spire. Al variare del rapporto tra numero di spire su primario e secondario, la tensione e la corrente in uscita cambieranno ma il loro rapporto sarà sempre identico.

Infine occorre ricordare che il flusso magnetico si genera a causa della variazione di corrente nel tempo (corrente alternata) e quindi, nel caso di corrente continua non si ha nessun trasferimento di potenza dal primario al secondario.

Tipi di trasformatore

I trasformatori si distinguono sulla base del loro funzionamento, modalità realizzativa ed in generale sulla base livelli dei tensione fornita in uscita rispetto al livello di tensione in ingresso.

Ecco alcune delle principali tipologie di trasformatori elettrici.

Trasformatore elevatore (trasformatore step-up)

Trasformatore elevatore di tensione (trasformatore Step-up)
Trasformatore elevatore di tensione (trasformatore Step-up)
  • Funzione: aumenta la tensione dall’avvolgimento primario a quello secondario. Questo viene garantito attraverso un numero di spire sul secondario maggiore rispetto a quelle sul primario.
  • Applicazione: utilizzato nelle centrali elettriche per aumentare la tensione per la trasmissione su lunghe distanze. Aumentare la tensione spesso è utile per la distribuzione di energia elettrica in quanto aumentando la tensione si diminuisce la corrente corrente e quindi si può ridurre la sezione dei cavi utilizzati.

Trasformatore abbassatore (trasformatore di step-down)

Trasformatore abbassatore di tensione (trasformatore Step-down)
Trasformatore abbassatore di tensione (trasformatore Step-down)
  1. Funzione: diminuisce la tensione dalla bobina primaria a quella secondaria. Questo viene garantito attraverso un numero di spire sul primario maggiore rispetto a quelle sul secondario.
  2. Applicazione: abbassa la tensione per un utilizzo sicuro nelle case e nelle aziende dopo la trasmissione. Tipicamente utilizzato per portare la tensione al valore desiderato per l’applicazione specifica.

Trasformatore di isolamento

Trasformatore di isolamento
Trasformatore di isolamento
  • Funzione: fornisce isolamento elettrico tra i circuiti primario e secondario senza modificare i livelli di tensione.
  • Applicazione: Garantisce la sicurezza dei circuiti a valle assicurando la stessa potenza dell’avvolgimento in ingresso. Utilizzato principalmente in tutte quelle applicazioni in cui si vuole garantire l’isolamento galvanico tra parti diverse del circuito come ad esempio nei dispositivi medici.

Autotrasformatore

Tipi di autotrasformatore
Tipi di autotrasformatore
  • Funzione: utilizza un singolo avvolgimento che funge sia da primario che da secondario, con una presa per regolare la tensione. A seconda di dove è posizionata la presa, varia il numero di spire sul secondario e quindi si può realizzare un autotrasformatore elevatore od abbassatore. Nel caso la presa sia variabile e quindi è possibile impostare la tensione in uscita andando a modificare il numero di spire, l’autotrasformatore prende il nome di Variac.
  • Applicazione: utilizzato nella regolazione della tensione e per applicazioni che richiedono leggere regolazioni della tensione.

Trasformatore di potenza

  • Funzione: trasferire la potenza dal primario al secondario. I trasformatori sono denominati di potenza tipicamente per distinguerli da altri trasformatori con applicazioni specifiche come quelli di misura.
  • Applicazione: utilizzato nelle reti di trasmissione elettrica per aumentare o diminuire le alte tensioni e gestire potenze elevate.

Trasformatore di misura

Trasformatore di misura di tensione e corrente
Trasformatore di misura di tensione e corrente
  • Funzione: include trasformatori di tensione e trasformatori di corrente e servono per la misurazione dei parametri elettrici.
  • Applicazione: tipicamente utilizzati quando i valori di tensione e corrente da misurare sono molto elevati come nelle linee di distribuzione elettrica. Nel trasformatore di tensione il primario viene collegato ai punti su cui si vuole misurare la tensione mentre il secondario viene collegato ad un Voltmetro. Nel trasformatore di corrente il primario viene collegato in serie al circuito su cui si vuole misurare la corrente mentre il secondario viene collegato ad un Amperometro. I trasformatori di misura vengono progettati sulla base della portata dello strumento cui sono collegati che generalmente è inferiore ai valori elettrici che si vuole misurare.

Trasformatore monofase

Trasformatore monofase a colonna ed a mantello
Trasformatore monofase a colonna ed a mantello
  • Funzione: Progettato per sistemi di alimentazione monofase.
  • Applicazione: comunemente utilizzato in applicazioni residenziali e piccole imprese.

Trasformatore trifase

Trasformatore trifase a colonna ed a mantello
Trasformatore trifase a colonna ed a mantello
  • Funzione: Progettato per funzionare con sistemi di alimentazione trifase.
  • Applicazione: utilizzato nella distribuzione di energia industriale e commerciale di grandi dimensioni.

Trasformatore ad olio

Trasformatore ad olio
Trasformatore ad olio
  • Funzione: utilizza olio per il raffreddamento e l’isolamento. L’olio è solitamente olio minerale e serve a dissipare il calore.
  • Applicazione: comune in applicazioni ad alta potenza e impianti industriali. Viene utilizzato in tutte quelle situazioni in cui le potenze in gioco creano della dissipazione di calore importante che potrebbe danneggiare il trasformatore stesso e quindi l’olio serve ad aiutare la dissipazione del calore e preservare il funzionamento del trasformatore.

Trasformatore a secco

  • Funzione: utilizza l’aria per il raffreddamento e l’isolamento, senza olio.
  • Applicazione: adatto per installazioni interne, edifici commerciali e aree sensibili dal punto di vista ambientale. Tipicamente utilizzato nella maggior parte delle applicazioni in cui i valori di potenza da trasferire sono contenuti.

Il trasformatore elettrico: spiegazione semplice

Il trasformatore è un dispositivo elettrico progettato per trasferire energia elettrica tra due o più circuiti attraverso l’induzione elettromagnetica. È costituito da bobine (avvolgimenti) primarie e secondarie avvolte attorno ad un nucleo magnetico.o progettato per trasferire energia elettrica tra due o più circuiti attraverso l’induzione elettromagnetica. È costituito da bobine (avvolgimenti) primarie e secondarie avvolte attorno ad un nucleo magnetico. I trasformatori possono aumentare (trasformatore elevatore) o diminuire (trasformatore abbassatore) i livelli di tensione in ingresso a seconda del numero di spire di cui sono dotati gli avvolgimenti. Il trasformatore elettrico è impiegato perchè permette la distribuzione efficiente di elettricità su lunghe distanze, l’isolamento tra i circuiti e la regolazione della tensione per varie applicazioni nelle reti elettriche, nei dispositivi elettronici e nei macchinari industriali.


Consenso ai cookie con Real Cookie Banner