I termistori PTC ed i termistori NTC sono dei resistori variabili sensibili alle variazioni di temperatura. La differenza tra termistori PTC ed NTC è che si comportano in maniera opposta. Questo li rende adatti ad applicazioni diverse. È quindi importante capirne le differenze per poter operare una corretta selezione dei componenti all’interno dei circuiti che richiedono il rilevamento, la compensazione e la protezione al variare della temperatura.
Il termistore PTC aumenta la propria resistenza elettrica all’aumentare della temperatura e vengono solitamente utilizzati per la protezione dalla sovracorrente. Al contrario il termistore NTC diminuisce la propria resistenza elettrica con l’aumentare della temperatura, rendendoli adatti ad applicazioni che richiedono il rilevamento oppure la compensazione della temperatura come nei sensori, nei termostati e nei termometri.
Comprendere la differenza tra termistori PTC e termistori NTC permette di selezionare il componente più appropriato per una determinata applicazione. Che l’obiettivo sia rilevare la temperatura, limitare la corrente o fornire protezione del circuito, la scelta tra termistori PTC e NTC è fondamentale per garantire il corretto funzionamento di un circuito e preservarne l’efficienza e la longevità.
Termistore PTC in breve
Il termistore PTC (Positive Temperature Coefficient) è dotato di un coefficiente di temperatura positivo il che fa sì che aumenti il proprio valore di resistenza elettrica all’aumentare della temperatura. Sono principalmente utilizzati con funzione di protezione ad esempio degli avvolgimenti dei motori. Tipicamente, in caso di un guasto può avvenire una prolungata sovracorrente che porta ad un innalzamento della temperatura. In queste situazioni il termistore PTC agisce come un fusibile autoripristinabile in quanto, quando la temperatura si innalza, il termistore aumenta rapidamente la propria resistenza ostacolando il flusso di corrente e quando poi la temperatura si riabbassa, automaticamente diminuisce la resistenza e permette alla corrente di fluire.
Esistono principalmente di due tipi di termistori PTC: i termistori detti silistori ed i termistori detti switching. La differenza tra i due risiede nei componenti con cui sono realizzati. I silistori sono realizzati con silicio adeguatamente drogato e questo conferisce una caratteristica resistenza-temperatura piuttosto lineare. I termistori switching sono realizzati in materiale ceramico con l’aggiunta di altri materiali come il titanato di bario.
Termistore NTC in breve
Il termistore NTC (Negative Temperature Coefficient) è realizzato per avere un coefficiente di temperatura negativo. Questa caratteristica del materiale che lo compone permette al termistore NTC di diminuire la propria resistenza elettrica all’aumentare della temperatura. Sono tipicamente realizzati in ossido di metallo come il ferro oppure il titanio. Quelli più diffusi sono quelli in cui l’elemento termistore è incapsulato in resina epossidica ma vengono realizzati anche all’interno di un rivestimento in vetro per assicurarne la protezione da agenti esterni. A temperature non troppo elevate offrono una certa resistenza il che li rende adatti a proteggere i componenti da eventuali picchi rapidi di corrente. All’aumentare della temperatura, il termistore NTC diminuisce il valore di resistenza permettendo il flusso di corrente. Sono molto utilizzati in applicazioni per il rilevamento della temperatura.
Differenza tra termistori PTC e termistori NTC
La principale differenza tra termistori PTC e termistori NTC è come cambiano la propria resistenza elettrica al variare della temperatura. Questa differenza risiede nella tipologia di materiali con cui vengono realizzati e questo comporta caratteristiche ed utilizzi diversi per ogni tipo di termistore.
Differenza tra termistore PTC e termistore NTC – Caratteristica tipica resistenza-temperatura
Le principali differenza tra termistori PTC e termistori NTC sono:
Caratteristica Resistenza-temperatura:
Termistore PTC: la resistenza elettrica aumenta all’aumentare della temperatura. Questa caratteristica è quasi lineare nei termistori PTC realizzati in silicio dopato, detti silistori mentre è fortemente non lineare nei termistori PTC switching. Quando il termistore si riscalda, la resistenza del materiale con cui è realizzato aumenta e questo limita il flusso di corrente. Questa caratteristica li rende ideali come protezione dalle sovracorrenti oppure per l’autoregolazione degli elementi riscaldanti.
Termistore NTC: la resistenza elettrica diminuisce all’aumentare della temperatura. Questa caratteristica è ottenuta utilizzando materiali semiconduttori come ossido di metallo. Grazie all’utilizzo di tali materiali, quando il termistore si riscalda, aumenta il numero dei portatori di carica nella banda di conduzione permettendo una riduzione del valore di resistenza e quindi un aumento del flusso di corrente. Per questa caratteristica sono spesso utilizzati nella sensoristica per il rilevamento della temperatura oppure per limitare eventuali picchi della corrente di spunto.
Coefficiente di temperatura:
Termistore PTC: ha un coefficiente di temperatura positivo ovvero il valore di resistenza elettrica aumenta all’aumentare della temperatura.
Termistore NTC: ha un coefficiente di temperatura negativo ovvero diminuisce il valore di resistenza elettrica all’aumentare della temperatura.
Applicazioni:
Termistore PTC::
Protezione dalle sovracorrenti: in presenza di una corrente superiore ai valori nominali, la temperatura tende ad aumentare. In questa situazione il termistore PTC, aumentando la propria resistenza, riduce il flusso di corrente.
Autoregolazione di elementi riscaldanti: in tutti quei dispositivi con elementi riscaldanti come ad esempio i termoventilatori, il termistore PTC agisce con finalità di controllo della temperatura. Quando la temperatura va oltre quella prevista, il termistore regola la corrente che scorre riportando di conseguenza la temperatura ai livelli attesi.
Fusibile autoripristinabile: quando la corrente è oltre i limiti attesi, la temperatura aumenta ed il termistore PTC agisce come un fusibile che interrompe il circuito. Quando la temperatura si abbassa, il termistore PTC abbassa il valore di resistenza e ripristina automaticamente il flusso di corrente.
Termistore NTC::
Rilevamento della temperatura: la variazione della resistenza del termistore NTC permette una misura indiretta della temperatura secondo le specifiche del materiale di cui è costituito. Per questo è molto utilizzato nei termometri digitali e nelle sonde termiche dove si ha la necessità di una misura accurata della temperatura.
Protezione dalla corrente di spunto: il termistore NTC è dotato di una certa resistenza quando non scorre corrente. Per questo viene spesso utilizzato all’interno dei circuiti di alimentazione, a monte dei motori. La corrente di spunto si verifica all’accensione dei circuiti in particolar modo in presenza di grandi carichi capacitivi o induttivi. La corrente di spunto ha intensità elevata ma una durata contenuta. In questi casi il termistore NTC offre una resistenza adeguata a limitare gli effetti della corrente di spunto. Una volta che la corrente si è stabilizzata il termistore NTC offre bassa resistenza e quindi non impatta sulla potenza finale assorbita.
Compensazione della temperatura: il termistore NTC è spesso impiegato per preservare la stabilità termica all’interno dei circuiti poichè la sua caratteristica permette di compensare eventuali variazioni indotte dalla temperatura.
Comportamento all’accensione:
Termistore PTC: all’accensione il termistore PTC offre una bassa resistenza che permette alla corrente di fluire. La resistenza aumenta quando il termistore PTC si riscalda rendendolo utile come protezione dalla sovracorrente.
Termistore NTC: all’accensione il termistore NTC offre una resistenza piuttosto alta che limita il flusso di corrente. Una volta che si riscalda, il termistore NTC diminuisce la propria resistenza risultando efficiente in termini di erogazione di potenza richiesta.
Reazione alla variazione di temperatura:
Termistore PTC: caratterizzato da un rapido incremento della resistenza oltre un certo limite di temperatura. Risulta adatto in cui è importante non superare una certa soglia di temperatura per proteggere il circuito ed i suoi componenti.
Termistore NTC: offre una variazione graduale della resistenza alla variazione di temperatura. Questo ne facilita l’utilizzo in applicazioni dove è richiesta una misura precisa della temperatura oppure un controllo del livello di riscaldamento.
Tabella riassuntiva delle differenze tra termistore PTC ed NTC
Caratteristica
Termistore PTC
Termistore NTC
Coefficiente di temperatura
Positivo
Negativo
Comportamento all’aumentare della temperatura
La resistenza elettrica aumenta all’aumentare della temperatura
La resistenza elettrica diminuisce all’aumentare della temperatura
Applicazioni principali
Protezione dalle sovracorrenti, fusibile ripristinabile, autoregolazione di elementi riscaldanti
Misura della temperatura, compensazione della temperatura, protezione dalla corrente di spunto
Usi tipici
Protezione dei circuiti, circuiti con elementi riscaldanti, protezione termica dei motori
Termometri digitali, protezione dei circuiti di alimentazione, protezione per l’avvio dei motori, protezione per la carica e scarica delle batterie
Comportamento all’accensione
Bassa resistenza iniziale che aumenta al crescere della temperatura.
Alta resistenza iniziale che diminuisce al crescere della temperatura.
Ogni tipo di termistore è realizzato con materiali diversi che ne assicurano un diverso comportamento al variare della temperatura. A seconda della loro caratteristica resistenza-temperatura trovano impiego in un grande spettro di applicazioni elettriche ed elettroniche. Le piccole dimensioni, il basso costo e la loro elevata sensibilità li rende tra i componenti più diffusi in tutte le applicazione che hanno come parametro la temperatura.
Il termistore a coefficiente di temperatura positivo (PTC) è un resistore che aumenta la resistenza all’aumentare della temperatura. È utilizzato in svariate applicazioni elettroniche principalmente con funzioni di regolazione della temperatura e di protezione.
I termistori PTC sono spesso utilizzati nei dispositivi di protezione da sovracorrente, dove agiscono come fusibili autoripristinanti. Questa caratteristica autoripristinante rende i termistori PTC più affidabili ed economici rispetto ai fusibili tradizionali. Inoltre, i termistori PTC sono ampiamente utilizzati per come regolatori di temperatura e protezione dalla sovratemperatura.
Nella progettazione elettronica e nella sicurezza dei circuiti, è essenziale comprendere il comportamento e la funzionalità dei termistori PTC che sono un componente indispensabile nella applicazioni dove la temperatura è un parametro critico.
Cos’è il termistore PTC
Il termistore PTC è un resistore variabile con coefficiente di temperatura positivo. Questo termistore aumenta la propria resistenza elettrica all’aumentare della temperatura. È un termistore realizzato tipicamente in materiale ceramico semiconduttore drogato con atomi di titanato di bario. La presenza del titanato di bario o materiali simili realizza fisicamente la proprietà del termistore PTC di aumentare la resistenza con la temperatura. Il titanato di bario infatti a temperatura ambiente presenta una struttura del reticolo cristallino tetragonale. Tale struttura facilita il movimento delle cariche elettriche e quindi la conduttività del materiale. All’aumentare della temperatura, il titanio di bario cambia la propria struttura reticolare che diventa cubica, diventa più marcata la presenza di una barriera di potenziale e di conseguenza aumenta rapidamente il valore di resistenza elettrica.
Termistore PTC funzionamento
Il termistore PTC funziona aumentando la propria resistenza elettrica all’aumento della temperatura. Tale aumento di temperatura limita il flusso di corrente che attraversa il conduttore o raggiunge il dispositivo proteggendolo da sovracorrente e surriscaldamento.
Tipica caratteristica Resistenza – Temperatura nel termistore PTC
Al diminuire della temperatura si riduce il valore di resistenza permettendo il normale flusso di corrente. Questo principio di autoregolazione rende il termistore PTC adatto ad applicazioni che richiedono la protezione dei circuiti, la protezione dei motori oppure per regolare il funzionamento di elementi riscaldanti.
Come funziona un termistore PTC:
Proprietà dei materiali. I termistori PTC sono solitamente realizzati in materiali ceramici con coefficiente di temperatura positivo, come il titanato di bario o altri ossidi metallici. Questi materiali vengono scelti perché la loro resistenza elettrica aumenta all’aumentare della temperatura.
A basse temperature. A basse temperature, come ad esempio quando il circuito è stato appena messo in funzione, il termistore PTC è a bassa temperatura ed ha una resistenza relativamente bassa. In queste condizioni la corrente scorre liberamente attraverso il termistore come se fosse un normale resistore.
All’aumentare della temperatura. Quando il termistore PTC è attraversato da corrente oppure in presenza di un riscaldamento esterno, la sua temperatura aumenta e, superata una certa temperatura di soglia, la sua resistenza aumenta esponenzialmente. Questo avviene perché, a livello molecolare, si modifica la struttura del reticolo cristallino del materiale ceramico ostacolando il flusso dei portatori di carica (elettroni). L’aumento del valore di resistenza porta ad una riduzione del flusso di corrente proteggendo così il resto del circuito da sovracorrente o dall’eccessivo surriscaldamento.
Autoregolazione. Una delle caratteristiche principali dei termistori PTC è l’autoregolazione. Il termistore, quando si riscalda, aumenta la sua resistenza riducendo il flusso di corrente che lo attraversa. Questa diminuzione di corrente, in assenza di fattori esterni, ne provoca il raffreddamento. Al diminuire della temperatura, la resistenza si riduce nuovamente, consentendo il flusso di più corrente. Ciò crea un ciclo, in cui il termistore regola automaticamente la propria temperatura e il flusso di corrente. Questo permette di mantenere, ad esempio, gli elementi riscaldanti ad una temperatura costante.
Ripristino. Una volta che il termistore si raffredda e la sua resistenza torna a un valore inferiore, la corrente può nuovamente fluire liberamente attraverso il circuito. Questo processo è chiamato di autoripristino e rende i termistori PTC utili per proteggere i circuiti da condizioni di sovracorrente senza la necessità di sostituire un fusibile o altri dispositivi di protezione. Il termistore si comporta come un fusibile autoripristinabile.
Applicazioni tipiche per un termistore PTC sono la protezione dalla sovratemperatura, la limitazione della sovracorrente ed il riscaldamento autoregolato. Tipiche temperatura di lavoro per i termistori PTC in silicio sono nell’intervallo di temperature comprese tra -50 ºC fino a 120 ºC.
Tipi di termistore PTC
I termistori PTC si dividono in due grandi famiglie: silistori e switching. Di seguito vediamo le caratteristiche principali.
Tipica caratteristica Resistenza – Temperatura nel silistore
Silistore: questo tipo di termistore PTC è realizzato in materiale semiconduttore, tipicamente il silicio. Questo silicio è sottoposto a drogaggio per caratterizzarne la risposta alla temperatura. Presenta una caratteristica resistenza-temperatura quasi lineare e per questo si presta ad essere utilizzato nei sensori.
Tipica caratteristica Resistenza – Temperatura nel termistore switching
Switching PTC: i termistori PTC switching sono realizzati con materiali che contengono bario che ne conferisce una caratteristica resistenza temperatura particolarmente non lineare. Sono la tipologia di termistori più diffusa. I termistori PTC switching sono chiamati così perché rimangono stabili a temperature “normali” ma poi, giunto ad una certa soglia che dipende dal materiale, agiscono come un interruttore innalzando rapidamente il proprio valore di resistenza elettrica. Questa caratteristica li rende molto utili per la protezione dei circuiti.
Caratteristica tensione-corrente
La caratteristica tensione-corrente del termistore PTC ha un andamento che dipende dal meccanismo di autoriscaldamento del termistore (self-heating) che a sua volta dipende dal tipo di materiale utilizzato. Il meccanismo di autoriscaldamento è quel fenomeno che si verifica quando il termistore, per effetto della corrente che lo attraversa, si riscalda. L’eventuale variazione di resistenza che ne deriva non è quindi dovuta ad una variazione della temperatura ambientale ma semplicemente alla dissipazione di calore del termistore.
Si può notare che tensione e corrente hanno un andamento lineare secondo la legge di Ohm ovvero che per bassi valori di tensione, tensione e corrente crescono di pari passo. Questo significa che il termistore presenta una resistenza fissa per questo intervallo di valori di tensione. Oltre un verto valore di tensione, la corrente che attraversa il termistore diminuisce velocemente a causa dell’aumento del valore di resistenza elettrica.
Termistore PTC applicazioni
Il termistore PTC è ampiamente utilizzato in una varietà di applicazioni in cui la resistenza dipendente dalla temperatura è vantaggiosa. Ecco alcune applicazioni comuni dei termistori PTC:
Protezione da sovracorrente: i termistori PTC sono utilizzati nei circuiti elettrici come fusibili ripristinabili. Quando la corrente che scorre attraverso il circuito supera un certo limite, il termistore si riscalda e la sua resistenza aumenta rapidamente, limitando così la corrente e proteggendo il circuito. Una volta che il circuito si raffredda, il termistore torna al suo stato normale e la corrente può fluire di nuovo.
Rilevamento della temperatura: i termistori PTC sono spesso utilizzati in applicazioni di rilevamento della temperatura, come nei dispositivi di monitoraggio della temperatura o nei sistemi di controllo della temperatura. All’aumentare della temperatura, la resistenza aumenta e questa variazione può essere misurata per determinare la temperatura.
Regolatori di temperatura: i termistori PTC sono utilizzati negli elementi riscaldanti autoregolanti, come nei termoventilatori con riscaldatori in ceramica o nei riscaldatori per sedili per automobili. Quando il riscaldatore diventa troppo caldo, la resistenza del PTC aumenta, limitando il flusso di corrente e prevenendo il surriscaldamento.
Protezione del motore: l’applicazione più comune dei termistori PTC è quella per la protezione termica dei motori. Il termistore PTC è tipicamente inserito in serie agli avvolgimenti del motore per fornire protezione in caso di guasto. Se, ad esempio, il motore va in blocco, l’energia elettrica nominale non è più sufficiente per svolgere il lavoro meccanico di rotazione. In questa situazione il motore comincia ad assorbire maggiore corrente, surriscaldandosi. La resistenza del termistore PTC aumenta, riducendo il flusso di corrente e proteggendo il motore da danni.
Protezione della batteria: i termistori PTC sono utilizzati nei pacchi batteria ed in particolare nei BMS (Battery Management System) per prevenire condizioni di surriscaldamento e sovracorrente. Se la temperatura della batteria aumenta troppo, la resistenza del termistore aumenta, impedendo ulteriori cariche o scariche.
Queste applicazioni sfruttano la capacità unica del termistore PTC di rispondere alle variazioni di temperatura, fornendo protezione, regolazione e stabilizzazione in un’ampia gamma di dispositivi e sistemi.
Il termistore a coefficiente di temperatura negativo (NTC) gioca un ruolo importante nei sistemi elettronici che necessitano di una misura della temperatura oppure un controllo delle funzioni sulla base della temperatura.
Il termistore NTC è un tipo di resistore la cui resistenza elettrica diminuisce all’aumentare della temperatura. Questa caratteristica unica lo rende utile nelle applicazioni di misura e regolazione della temperatura, ed è quindi importante capirne il funzionamento per poterlo utilizzare al meglio.
I termistori NTC sono comunemente utilizzati in dispositivi come termostati, apparecchiature mediche e sistemi di climatizzazione, in cui la misura di una temperatura risulta fondamentale. Troviamo i termistori NTC anche in quei circuiti che richiedono protezione dalle correnti di spunto come, ad esempio, negli alimentatori oppure in presenza di carichi importanti come motori o trasformatori di potenza.
I termistori NTC sono dotati di elevata sensibilità e velocità nella risposta oltre ad avere dimensioni contenute ed essere a basso costo.
In questo articolo viene presentato il funzionamento del termistore NTC e le sue principali caratteristiche ed applicazioni.
Cos’è il termistore NTC
Il termistore NTC è un resistore variabile dotato di coefficiente di temperatura negativo. In quanto termistore ha la capacità di cambiare il valore di resistenza in funzione della temperatura. La caratteristica del termistore NTC, avendo un coefficiente di temperatura negativo, è quella di diminuire la sua resistenza all’aumentare della temperatura. Questo permette di avere un flusso crescente di corrente al crescere della temperatura.
I termistori NTC sono generalmente realizzati con ossido di semiconduttore ceramico combinati con altri materiali a seconda delle caratteristiche che si vogliono ottenere come ad esempio la manganese oppure il cobalto. I termistori NTC sfruttano la caratteristica dei semiconduttori di avere una piccola banda proibita. In presenza di calore gli elettroni nella banda di valenza hanno sufficiente energia per cambiare banda energetica e saltare nella banda di conduzione. Tale movimento di elettroni aumenta la conducibilità del materiale ovvero ne diminuisce la resistenza elettrica favorendo quindi il flusso di corrente.
Termistore NTC funzionamento
Il termistore NTC funziona diminuendo la propria resistenza elettrica all’aumentare della temperatura. Questa caratteristica lo rende adatto per utilizzi come il rilevamento della temperatura, la limitazione di corrente di spunto e la compensazione della temperatura.
Tipica caratteristica Resistenza – Temperatura nel termistore NTC
I termistori NTC, grazie al proprio comportamento, forniscono misurazioni della temperatura accurate e affidabili, offrendo anche capacità di autoregolazione in varie applicazioni di protezione dei circuiti. Sono ampiamente utilizzati nel rilevamento della temperatura, nella protezione dei circuiti e in altre applicazioni in cui è richiesto un controllo preciso della temperatura.
Come funziona un termistore NTC:
Proprietà dei materiali. I termistori NTC sono tipicamente realizzati con materiali di ossido metallico che presentano un coefficiente di temperatura negativo come manganese, nichel o cobalto miscelati con composti ceramici. Questi materiali permettono al termistore NTC di diminuire la propria resistenza elettrica all’aumentare della temperatura.
A basse temperature. Quando il termistore è a una temperatura relativamente bassa, la sua resistenza è elevata. In tale condizione l’agitazione termica del materiale con cui il termistore è composto è bassa e il numero di portatori di carica (elettroni) che possono condurre elettricità è limitato. Di conseguenza, il flusso di corrente è basso ed il termistore NTC si comporta come un resistore dotato di alta resistenza.
All’aumentare della temperatura. All’aumentare della temperatura del termistore NTC, la resistenza diminuisce. L’agitazione termica all’interno del materiale che lo compone eccita un numero elevato di elettroni, consentendo a questi di muoversi più liberamente e aumentando la conduttività del materiale. A temperature elevate, i portatori di carica (elettroni o lacune) sono più mobili, e questo favorisce la diminuzione della resistenza.
Caduta ripida della resistenza. All’aumentare della temperatura la resistenza diminuisce esponenzialmente, soprattutto entro un intervallo specifico di temperatura. La velocità con cui la resistenza diminuisce varia a seconda del materiale con cui è realizzato il termistore ed a secondo di come è realizzato.
Flusso di corrente. Quando la temperatura aumenta e la resistenza diminuisce, la corrente che attraversa il termistore aumenta. Ciò rende i termistori NTC particolarmente utili per applicazioni di limitazione della corrente di spunto. Nei circuiti in cui un dispositivo è sensibile alla temperatura, la resistenza variabile può regolare il flusso di corrente in base alla temperatura dell’ambiente.
Termistore NTC formula
Per esprimere la relazione resistenza-temperatura dei termistori NTC si utilizza la seguente formula:
dove:
T è il valore di temperatura in kelvin,
R è il valore di resistenza in ohm,
T0 è il valore 298.15 ºK (ovvero 25 ºC, temperatura ambiente),
R0 è il valore di resistenza alla temperatura T0,
β è un parametro caratteristico del materiale del termistore.
Da notare che questa formula è esattamente l’equazione di Steinhart–Hart dove per i parametri A, B, C sono stati utilizzati i seguenti valori:
ovvero
Il valore di β è tipicamente fornito dal fabbricante del termistore e si trova nella scheda tecnica del componente ma può essere comunque ricavato a partire da misure di resistenza a due diverse temperature attraverso la seguente formula:
Tipi di termistore NTC
I termistori NTC sono disponibili in diversi tipi in base alla loro costruzione, alle proprietà dei materiali e alle esigenze applicative. I tipi principali di termistori NTC sono:
Termistori NTC incapsulati in resina epossidica:
Termistore incapsulato in resina epossidica
Questi termistori sono realizzati immergendo il componente nella resina e saldandone i fili per il collegamento. Presentano, in genere, una piccola area superficiale, sono adatti ad applicazioni in cui occorre considerare un intervallo di temperatura piuttosto ampio e sono molto utilizzati in applicazioni che richiedono una misura di temperatura.
Termistori NTC incapsulati a vetro:
Termistore incapsulato in vetro
Questi termistori vengono realizzati ponendo l’elemento sensibile del termistore all’interno di un rivestimento in vetro. Il vetro assicura una maggiore robustezza nella misura di temperatura in termini di stabilità. I termistori NTC sono spesso utilizzati in ambito automotive oppure in tutti quegli ambienti soggetti a condizioni ambientali difficili.
Termistori NTC SMD:
Termistore SMD
Questi termistori sono componenti di dimensioni estremamente contenute del tipo a montaggio superficiale (SMD – Surface Mounted Device). Come tali vengono installati direttamente su scheda PCB tipicamente in combinazione con degli integrati.
La composizione del materiale e la forma fisica di questi termistori influenzano la loro risposta termica, le caratteristiche di resistenza e l’idoneità per applicazioni particolari. In genere, i termistori NTC sono realizzati in ossidi metallici come manganese, cobalto o nichel, per avere una adeguata variazione della resistenza con la temperatura necessaria per un rilevamento accurato della temperatura.
Caratteristica tensione-corrente
Nel grafico seguente è mostrata la caratteristica tensione-corrente ovvero l’andamento della tensione in funzione della corrente nel termistore NTC.
Caratteristica tensione-corrente del termistore NTC
Come si può vedere dal grafico, per bassi valori di corrente, la tensione segue linearmente la corrente poiché la resistenza del termistore è quasi costante. Superato un certo valore di corrente che dipende dal materiale del termistore, la relazione tra tensione e corrente non è più lineare. A questo punto la curva raggiunge il suo picco, la temperatura del resistore inizia ad essere elevata, il materiale aumenta la propria conducibilità elettrica, il termistore diminuisce la resistenza e quindi aumenta il flusso di corrente che lo attraversa. Oltre un certo valore di corrente il termistore potrebbe aver raggiunto i limiti fisici di tenuta ed un piccolo aumento di temperatura potrebbe portare la rottura del componente.
Termistore NTC applicazioni
I termistori NTC sono ampiamente utilizzati in varie applicazioni che richiedono un rilevamento preciso della temperatura. Ecco le principali applicazioni dei termistori NTC:
Rilevamento della temperatura: i termistori NTC vengono spesso utilizzati con funzione di termometro ovvero per misurare la temperatura ed eventualmente condizionare il resto del circuito.
Compensazione della temperatura: i termistori NTC trovano applicazione in tutti quei circuiti in cui la variazione di temperatura ambientale ha degli effetti negativi sui componenti. Circuiti con LED, oscillatori e batterie ricaricabili presentano spesso termistori NTC che permettono di stabilizzare la temperatura prevenendo danni irreversibili sui dispositivi e quindi tutelandone la vita utile.
Protezione dalla corrente di spunto: i termistori NTC possono essere utilizzati a protezione dei circuiti che presentano dei rami a bassa impedenza. In presenza di condensatori scarichi oppure di motori fermi, all’accensione del circuito, la bassa impedenza può portare a dei picchi di corrente impulsiva. In queste situazioni viene utilizzato il termistore NTC sfruttandone la caratteristica di avere un alto valore di resistenza a bassa temperatura. All’accensione del circuito che protegge, quando il termistore NTC è raggiunto dal picco dovuto alla corrente di spunto, ne ostacola l’intensità tramite la propria resistenza favorendo un flusso di corrente ridotto ai dispositivi a valle. Quando la corrente si sarà stabilizzata, l’aumento di temperatura abbasserà la resistenza del termistore permettendo un utilizzo efficiente del carico.
I termistori NTC garantiscono elevata sensibilità alle variazioni di temperatura, permettono misurazioni e controlli della temperatura accurati e affidabili e per questo vengo impiegati in una grande varietà di applicazioni in ambito elettronico.
Il termistore è un tipo di resistore sensibile alla temperatura che permette un controllo preciso della temperatura e di proteggere parti di circuito o componenti. Il termistore serve a controllare o misurare la temperatura e funziona come un resistore variabile. Il nome “termistore” deriva dalla combinazione di “termico” e “resistore”, che riflette la sua capacità di modificare la resistenza con le variazioni di temperatura. I termistori sono disponibili in due tipi principali: NTC (coefficiente di temperatura negativo) e PTC (coefficiente di temperatura positivo), ciascuno con caratteristiche distinte.
La proprietà fondamentale dei termistori è quella di variare la loro resistenza dipendente dalla temperatura. Nei termistori NTC, la resistenza diminuisce all’aumentare della temperatura e risultano utili per misurare la corrente. Al contrario, i termistori PTC aumentano la propria resistenza all’aumentare della temperatura, offrendo quindi protezione in caso, ad esempio, di sovracorrente.
I termistori sono componenti molto versatili ed ampiamente utilizzati in svariate applicazioni industriali così come nell’elettronica di consumo. Troviamo i termistori nei frigoriferi, nei condizionatori d’aria e macchine per il caffè, ma anche in termometri digitali, alimentatori, etc.
In questo articolo, approfondiremo i principi di funzionamento dei termistori, il loro utilizzo e le principali applicazioni.
Cosa è un termistore
Il termistore è un resistore variabile la cui resistenza cambia con la temperatura. È tipicamente realizzato con materiali semiconduttori ceramici oppure ossido di metalli quali ad esempio il rame, il cobalto, la manganese, etc. È utilizzato in applicazioni dove la temperatura rappresenta un parametro critico per la protezione di parti di circuito oppure componenti. La caratteristica principale del termistore è che la variazione del valore di resistenza è generalmente non lineare con la variazione di temperatura. Per poter calcolare il valore della temperatura a partire dalla misura della resistenza del termistore, si applica la cosiddetta equazione di Steinhart–Hart:
Dove, con riferimento al termistore:
T è il valore di temperatura in kelvin,
R è il valore di resistenza elettrica in ohm,
A, B, C sono parametri caratteristici del materiale semiconduttore.
Occorre tenere presente che l’equazione di Steinhart–Hart è un semplice modello per rappresentare l’andamento non lineare della resistenza in funzione della temperatura tramite una equazione di terzo ordine. Tale modello è quindi una approssimazione, considerata comunque valida per intervalli ristretti di temperatura. Per poter risolvere questa equazione occorre conoscere i parametri A, B e C che, dipendendo dal materiale con cui è costruito il termistore devono essere forniti dal fabbricante. In alternativa è possibile utilizzare un approccio inverso ovvero misurare diversi valori di temperatura e resistenza e ricavarsi i parametri della curva tramite fitting.
Tipi di termistore
A seconda delle caratteristiche fisiche del materiale con cui è costruito, il termistore è in grado di variare la propria resistenza elettrica con la temperatura. Questo si ottiene sfruttando l’agitazione termica degli elettroni che si muovono liberamente all’interno del reticolo cristallino del semiconduttore di cui sono fatti oppure variando la struttura del reticolo stesso.
Sulla base del materiale con cui sono realizzati, i tipi di termistore sono:
termistore PTC (Positive Temperature Coefficient) con coefficiente di temperatura positivo,
termistore NTC (Negative Temperature Coefficient) con coefficiente di temperatura negativo.
Termistore NTC su scheda
Il termistore PTC è un resistore variabile che aumenta il proprio valore di resistenza elettrica all’aumentare della temperatura.
Il termistore NTC è un resistore variabile che diminuisce il proprio valore di resistenza elettrica all’aumentare della temperatura.
Il termistore è un componente altamente non lineare e dotato di elevata sensibilità alle variazioni di temperatura.
Caratteristiche del termistore
Il termistore è un componente a basso costo dotato di elevata sensibilità alla temperatura. Tale caratteristica di sensibilità è più elevata rispetto a quella della termocoppia oppure alla termoresistenza (rivelatore di temperatura a resistenza – RTD). Tuttavia, questa elevata sensibilità porta con sé anche delle problematiche ed in particolare la scarsa linearità. La resistenza non varia in maniera costante alla variazione della temperatura.
La caratteristica resistenza-temperatura può essere ritenuta lineare solo su piccoli intervalli di temperatura. Se invece dobbiamo considerare grandi intervalli di temperatura, occorre prevedere un circuito di linearizzazione. Questo è ottenuto, tipicamente, utilizzando il termistore in combinazione con un resistore.
Le caratteristiche principali del termistore sono:
elevata sensibilità alla temperatura
è un componente molto delicato
l’intervallo di temperatura in cui è capace di lavorare è tipicamente piuttosto ristretto (circa 150-200 ºC)
basso tempo di risposta alle variazioni di temperatura.
Occorre inoltre considerare che, sempre a causa dell’elevata sensibilità, il termistore può facilmente produrre errori di misura. Questi errori sono tipicamente dovuti alle piccole variazioni di temperatura dovute al riscaldamento del termistore stesso o dell’ambiente in cui è installato.
A cosa serve il termistore?
Grazie alla capacità di variare la resistenza in funzione della temperatura, il termistore è principalmente utilizzato per effettuare misure di temperatura in maniera analoga alla termocoppia ed alla termoresistenza RTD. Sebbene siano poco stabili sono caratterizzati da una buona sensibilità e hanno un basso costo.
Termistore in un circuito di alimentazione
Grazie alla loro capacità di rispondere velocemente alle variazioni di temperatura sono utilizzati in un’ampia gamma di applicazioni.
Alcune applicazioni tipiche includono:
Rilevamento della temperatura: i termistori si trovano spesso nei termometri digitali, nei sistemi dell’aria condizionata e nei sensori di temperatura per autoveicoli. Possono misurare la temperatura con elevata precisione.
Protezione da sovracorrente: nei termistori PTC, la resistenza aumenta con la temperatura. Limitando la quantità di corrente che scorre attraverso un circuito, lo protegge da una corrente eccessiva. Per questa proprietà il termistore PTC è utilizzatonei circuiti di protezione con funzione analoga a quella dei fusibili autoripristinabili.
Compensazione della temperatura: i termistori giocano un ruolo importante negli alimentatori o circuiti oscillatori per compensare le variazioni di temperatura che potrebbero altrimenti causare instabilità.
Batterie: i termistori sono spesso utilizzati per il monitoraggio della temperatura delle batterie al litio. Queste batterie sono tipicamente soggette a surriscaldamento durante la fase di carica o scarica eccessiva.
Elettronica di consumo: i termistori sono frequentemente utilizzati all’interno di frigoriferi, condizionatori etc per regolare la temperatura.
Le applicazioni in cui sono utilizzati i termistori dipendono da come sono costruiti, dal materiale con cui sono realizzati. Questi aspetti ne determinano le caratteristiche elettriche e la variazione della corrente in funzione della temperatura.
Le applicazioni tipiche per i termistori PTC ed i termistori NTC sono le seguenti:
Termistori PTC sono tipicamente utilizzati per assicurare protezione da sovratemperatura, per limitare la corrente di spunto oppure per funzioni di autoregolazione della temperatura.
Termistori NTC sono tipicamente utilizzati in applicazioni per la misura della temperatura, per il controllo della temperatura (es. nei sistemi di allarme), soppressione dei surge (impulsi di tensione).
Ogni tipo di termistore, a seconda della propria caratteristiche temperatura-resistenza, svolge una funzione particolare. Questo lo rende un componente molto versatile e che si presta a svariate applicazioni nei sistemi elettronici.
Simbolo del termistore
Nei circuiti elettrici il termistore è rappresentato dal simbolo seguente:
Simbolo termistore
Da notare che il simbolo del termistore riprende il simbolo del resistore con l’aggiunta di una linea spezzata a significare la dipendenza dalla temperatura. Nella parte inferiore del simbolo, in prossimità della linea spezzata è solito inserire il simbolo “+t°” per indicare il coefficiente di temperatura positivo e quindi identificare i termistori PTC oppure il simbolo “-t°” per i termistori NTC.
Circuito con termistore
Il termistore viene utilizzato all’interno dei circuiti elettrici principalmente per assolvere a funzioni di protezione oppure di misura. Il limite principale del termistore è la scarsa linearità e per questo viene spesso utilizzato in combinazione con un resistore. Di seguito vediamo alcuni semplici circuiti che utilizzano un termistore.
Termistore in un circuito partitore
In questa immagine vediamo tre diverse configurazioni, tutte molto simili, in cui il resistore è utilizzato all’interno di una porzione di circuito partitore. La tensione di uscita è modulata in base al valore di resistenza che il termistore assume in funzione della temperatura. Nel circuito a sinistra troviamo la classica configurazione del partitore di tensione. Nel circuito al centro il termistore è posto in parallelo ad un resistore in maniera da ridurne la non linearità. Nel circuito a destra è presente un generatore di corrente al fine di limitare eventuali oscillazioni provenienti dalla tensione Vcc.
Termistore a protezione del primario (a sinistra) e del secondario (a destra) di un raddrizzatore a ponte di diodi
In questa immagine si può vedere una tipica configurazione in cui il termistore è utilizzato per proteggere le linee in ingresso oppure in uscita di un raddrizzatore a diodi. In maniera del tutto analoga possiamo trovare il termistore sul primario di un trasformatore elettrico.
Termistore in un circuito di controllo per l’attivazione del carico sulla base della temperatura del termistore.
In questa immagine vediamo un esempio di configurazione circuitale in cui il termistore è utilizzato per controllare l’attivazione di un carico. Nello specifico, il termistore si trova in ingresso ad un comparatore che, quando rileva il superamento di una certa soglia di tensione (che equivale ad una soglia di temperatura) fornisce in uscita una tensione. La tensione in uscita dal comparatore attiva a sua volta il carico tramite il pilotaggio di un transistore che agisce da interruttore.
Il termistore in breve
Il termistore è un tipo di resistore variabile la cui resistenza elettrica varia al variare della temperatura. Esistono due tipi di termistori:
termistore PTC: aumenta la resistenza all’aumentare della temperatura,
termistore NTC: diminuisce la resistenza all’aumentare della temperatura.
Il termistore è utilizzato in tantissime applicazione dove la temperatura è un parametro critico come ad esempio: circuiti di protezione di convertitori elettrici, circuiti di protezione di motori o trasformatori, circuiti per la misura della temperatura, circuiti per il controllo dei processi. Una caratteristica del termistore è la sua scarsa linearità e per questo viene utilizzato spesso in combinazione con un resistore. Il termistore è dotato di una rapida reazione alle variazioni di temperatura ma allo stesso tempo è sensibile ai quei piccoli sbalzi di temperatura ambiente che possono portare a rilevazioni errate.
I semiconduttori sono alla base della tecnologia dell’informazione e rappresentano un pilastro dell’era moderna. I semiconduttori sono presenti praticamente ovunque nei nostri dispositivi, dai telefoni, ai computer, ai pannelli fotovoltaici fino ai più semplici componenti elettronici come i diodi oppure i transistor. I semiconduttori sono una tipologia di materiali che risultano particolarmente facili da manipolare per poter gestire in maniera controllata il movimento di elettroni. Proprio per questo assumono un ruolo fondamentale nell’era moderna. Gli elettroni infatti muovendosi permettono un flusso di corrente ed una variazione di tensione che, opportunamente gestiti, permettono la trasmissione e l’elaborazione di segnali dando così vita ed operabilità ai circuiti elettronici.
In questo articolo verranno presentate le caratteristiche principali dei materiali semiconduttori ed il loro utilizzo.
Teoria delle bande di energia
Gli atomi di un materiale solido sono distribuiti secondo una struttura cristallina periodica. All’interno di tale struttura, gli elettroni di cui sono dotati gli atomi presentano dei livelli definiti di energia. Il livello di energia cui può trovarsi un elettrone dipende dalle caratteristiche del materiale e da altri fattori come ad esempio la temperatura.
Si distinguono due tipi di bande di energia:
Banda di valenza: è la più alta banda energetica in cui possono trovarsi gli elettroni quando il materiale è allo zero termico assoluto (0º K).
Banda di conduzione: è posizionata al di sopra della banda di valenza, gli elettroni che occupano questa banda sono liberi di muoversi all’interno del reticolo del materiale.
Esiste una ulteriore banda, detta banda proibita (Eg, Energy gap), che è presente tra la banda di valenza e quella di conduzione quando queste non sono sovrapposte. La banda proibita rappresenta l’intervallo di energie in cui non è possibile trovare elettroni. La banda proibita viene quantificata tramite elettronVolt (eV).
A seconda della posizione di ciascuna banda è possibile classificare un materiale come conduttore, semiconduttore oppure isolante. Nella figura seguente vediamo la distinzione tra queste tipologia di materiale in termini di bande energetiche.
Banda di valenza e banda di conduzione
Differenza tra materiale conduttore, semiconduttore, isolante
A partire dalla diversa distribuzione delle bande di energia è possibile distinguere tre distinte tipologie di materiale: conduttore, semiconduttore ed isolante.
Conduttore: la banda di valenza e di conduzione sono parzialmente sovrapposte. Gli elettroni sono legati al nucleo da una forza relativamente debole. In presenza di sufficiente energia, come in presenza di un campo elettrico esterno, gli elettroni sono liberi di muoversi, liberarsi dall’atomo realizzando quindi la caratteristica di conducibilità del materiale. I materiali conduttori sono in grado di condurre alla temperatura di 0º K. Rientrano tra i conduttori, ad esempio, i metalli.
Isolante: la banda di valenza è separata dalla banda di conduzione da una banda proibita molto ampia che limita quindi il passaggio di elettroni. Né l’agitazione termica degli atomi né l’azione di un campo elettrico esterno è in grado facilmente di portare gli elettroni dalla banda di valenza a quella di conduzione. Negli isolanti, la banda proibita è tipicamente dell’ordine di qualche eV. Esempi di materiali isolanti sono la plastica, la ceramica, il diamante.
Semiconduttore: l’ampiezza della banda proibita è relativamente piccola e questo rende possibile un eventuale passaggio di elettroni dalla banda di valenza a quella di conduzione. A temperatura pari a 0º K, un materiale semiconduttore si comporta come un isolante. A temperature molto al di sopra di 0º K, l’agitazione termica può essere tale da permettere il salto di un elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione. I semiconduttori hanno tipicamente una banda proibita di circa 1 eV, nel silicio, ad esempio, la banda proibita è di 1,1 eV. Tra i materiali semiconduttori ci sono il silicio ed il germanio.
I semiconduttori sono materiali dotati di proprietà elettriche intermedie tra quelle di un conduttore (ad esempio i metalli) e di un isolante (ad esempio la ceramica). Questa proprietà rende i semiconduttori ideali per controllare il flusso di corrente elettrica.
Tipi di semiconduttori: intrinseci ed estrinseci
È possibile distinguere due tipologie di semiconduttori ovvero i semiconduttori intrinseci e quelli estrinseci.
Le differenze tra semiconduttore intrinseco ed estrinseco sono:
Semiconduttore intrinseco: è un tipo di materiale che si comporta come semiconduttore nella sua forma pura ovvero senza l’aggiunta di impurità nella propria composizione come ad esempio il silicio o il germanio. A temperatura superiore lo zero termico, alcuni elettroni possono spostarsi dalla banda di valenza a quella di conduzione. Al passaggio di un elettrone alla banda di conduzione, si crea contemporaneamente una lacuna nella banda di valenza. A questo punto, all’interno della banda di valenza, si può creare un movimento di elettroni che vanno ad occupare una lacuna cercando di bilanciare il sistema. All’aumentare della temperatura, aumenta la conducibilità elettrica in quanto un numero maggiore di elettroni vengono eccitati nella banda di conduzione.
Semiconduttore estrinseco: è un tipo di materiale semiconduttore a cui sono state aggiunte delle impurità al fine di migliorarne le caratteristiche di conducibilità. L’inserimento di tali impurità si chiama drogaggio e consiste nell’introdurre elementi che alterano il numero dei portatori di carica, siano essi elettroni o lacune. I semiconduttori estrinseci si divino in semiconduttori di tipo n e di tipo p.
Drogaggio di tipo n
Il drogaggio di tipo n è ottenuto andando ad introdurre un eccesso di elettroni all’interno della struttura del materiale semiconduttore. Si prenda in considerazione l’atomo di silicio, un materiale semiconduttore il cui atomo è costituito da quattro elettroni di valenza e che si lega ad altri atomi della struttura tramite legami covalenti.
Drogaggio di tipo n: la sostituzione di un atomo di silicio con un atomo di arsenico porta alla presenza di un elettrone in più (in rosso)
Nella immagine si nota come sia stato ottenuto un drogaggio di tipo n all’interno di un cristallo di silicio. Un atomo di silicio è stato sostituito con un atomo di arsenico detto atomo donatore. L’arsenico è un elemento pentavalente e quindi introduce un elettrone che però è debolmente legato all’atomo donatore in quanto libero da legami covalenti con altri atomi. Questo elettrone, al crescere della temperatura, può muoversi liberamente.
Gli atomi donatori occupano un livello di energia leggermente inferiore a quello della banda di conduzione.
Posizione della banda di energia degli atomi donatori
Il drogaggio di tipo n porta all’aumento di cariche negative, gli elettroni, senza introdurre cariche positive, le lacune.
Drogaggio di tipo p
Il drogaggio di tipo p è ottenuto andando ad introdurre nel materiale semiconduttore un eccesso di lacune. Prendiamo nuovamente in considerazione la struttura del silicio. Il drogaggio di tipo p del silicio viene realizzato sostituendo alcuni atomi del semiconduttore con un atomo di un elemento trivalente.
Drogaggio di tipo p: la sostituzione di un atomo di silicio con un atomo di borio porta alla presenza di una lacuna in più (in verde)
Un atomo di silicio è sostituito da un atomo di borio che essendo trivalente forma solo tre legami covalenti e porta alla formazione di una lacuna. In questo caso l’atomo di borio è detto atomo accettore. L’assenza di un elettrone per formare il legame covalente equivale ad una lacuna. Tale lacuna potrà essere colmata eventualmente da un elettrone nella sua prossimità. Queste lacune, muovendosi all’interno del reticolo del materiale realizzano un flusso di corrente nella direzione opposta al movimento degli elettroni.
Gli atomi accettori occupano un livello di energia leggermente superiore a quello della banda di valenza.
Posizione della banda di energia degli atomi accettori
Il drogaggio di tipo p porta all’aumento di cariche positive, le lacune, senza introdurre cariche negative, gli elettroni.
A cosa servono i semiconduttori
I semiconduttori sono indispensabili nel poter gestire in maniera controllata i materiali ed in particolare la loro conducibilità elettrica così da poter gestire al meglio il flusso di corrente e quindi i segnali che ne derivano. La possibilità di gestirne la maniera in cui scorra la corrente al loro interno li rende utili per svariate applicazione che ad oggi coprono la maggior parte degli ambiti tecnologici. I semiconduttori vengono principalmente utilizzati nei seguenti ambiti:
Transistor: i semiconduttori sono la base realizzativa di svariati componenti tra cui il transistor. Il transistor svolgono essenzialmente funzioni di controllo della corrente ed amplificazione del segnale elettrico e risultano alla base di dispositivi più complessi come computer e telefoni.
Microprocessori: sono costituiti da centinaia di transistor e rappresentano la logica di qualsiasi dispositivo complesso.
Memorie: le memorie allo stato solido si basano su tecnologia a semiconduttore permettendo una efficiente lettura, scrittura ed accesso ai dati.
Celle fotovoltaiche: realizzate a partire da uno strato di semiconduttore. Quando la luce colpisce il semiconduttore, l’eccitazione degli elettroni che ne consegue, porta ad un flusso di corrente elettrica.
Componenti elettronici: la maggior parte dei componenti elettronici sono ottenuti sfruttando le proprietà dei semiconduttori e la combinazione di materiali con diversi drogaggi. Tra i componenti a semiconduttore più importanti si ricordano: diodi, led, fotodiodi, ma anche dispositivi elettronici più complessi come raddrizzatori ed inverter. Si basano su tecnologia a semiconduttore anche tantissimi dispositivi come sensori di movimento, di pressione, di temperatura etc.
I semiconduttori sono utilizzati in qualsiasi dispositivo che contenga dell’elettronica come computer, telefoni, apparecchiature medicali, elettrodomestici, dispositivi per radio e tele trasmissione, etc.
Nel vasto panorama dei diodi, un ruolo importante è quello svolto dal diodo Schottky, molto utilizzato soprattutto in applicazione di elettronica di potenza. Il diodo Schottky ha delle caratteristiche uniche e quindi capirne il funzionamento e le applicazioni ci permette di poterne selezionare un utilizzo appropriato ed idoneo secondo le caratteristiche del nostro circuito. In questo articolo andremo a vedere le caratteristiche costruttive del diodo Schottky, come funziona, quali sono le differenze rispetto al diodo a giunzione p-n e le sue applicazioni. Il diodo Schottky trova utilizzo in tantissime applicazioni soprattutto nell’ambito dell’elettronica di potenza come nei circuiti raddrizzatori o commutatori.
Cos’è il diodo Schottky
Il diodo Schottky, detto anche diodo a barriera Schottky (SB), è un dispositivo a semiconduttore dotato di due terminali. Diversamente dal diodo a giunzione p-n, il diodo Schottky è realizzato tramite semiconduttore di tipo n posto in contatto con un sottile strato metallico.
Struttura del diodo Schottky
Come si può notare dalla figura, rispetto al classico diodo a giunzione p-n, una delle regioni a semiconduttore risulta sostituita da uno strato metallico. Affinchè tale strato metallico abbia le caratteristiche di un contatto rettificante, ovvero non ohmico, lo strato è posto in prossimità di una zona di semiconduttore di tipo n. Il contatto rettificante realizza l’anodo mentre il catodo è il contatto ohmico realizzato attraverso una regione a semiconduttore di tipo n+.
Tale tipo di realizzazione permette al diodo Schottky di avere un comportamento simile a quello del diodo a giunzione p-n ma con delle peculiarità soprattutto per quanto riguarda la caratteristica tensione-corrente.
Caratteristica tensione-corrente del diodo Schottky
Il diodo Schottky è realizzato in maniera differente dal diodo a giunzione tuttavia le caratteristiche di funzionamento sono del tutto analoghe. Per questo il diodo Schottky presenta la stessa funzione caratteristica del diodo a giunzione:
dove:
IS è la corrente di saturazione inversa,
q è la carica elementare,
v è la differenza di potenziale ai capi del diodo,
k è la costante di Boltzmann,
T è la temperatura delle giunzioni.
Se da una parte l’andamento della corrente è simile a quello della giunzione p-n, la diversa caratteristica realizzativa porta a far sì che il diodo Schottky si attivi a tensione molto più bassa.
Caratteristica tensione-corrente del diodo Schottky rispetto al diodo a giunzione p-n
Come si può vedere dalla figura, il diodo Schottky entra in conduzione per valori che tipicamente sono dell’ordine di 0,3 V – 0,4 V. Questa caratteristica si traduce anche in un ridotto accumulo di carica durante la polarizzazione diretta.
Diodo Schottky funzionamento
Il principio di funzionamento del diodo Schottky si basa sul fatto che gli elettroni della parte metallica hanno una energia potenziale inferiore rispetto a quella degli elettroni nel semiconduttore di tipo n. Il flusso di elettroni all’interfaccia sarà in entrambe le direzioni ma prevalentemente nella direzione dal semiconduttore al metallo. Nella parte dove si trova l’inserto metallico la carica sarà negativa mentre la parte del semiconduttore assume una carica positiva. In condizioni di riposo il flusso di elettroni tra semiconduttore e metallo si equivale in entrambe le direzioni e non scorre corrente.
Esempio di realizzazione di un diodo Schottky, si tralasciano gli effetti al bordo
Quando si applica una tensione ai terminali del diodo Schottky, questa è in opposizione al potenziale interno permettendo il flusso di corrente per poi realizzare lo stesso funzionamento di rettifica del diodo p-n ma a partire da un livello di tensione nettamente inferiore. Questa caratteristica lo rende più efficiente rispetto al diodo a giunzione p-n e quindi risulta particolarmente utile posizionarlo, ad esempio, in serie ad una sorgente di alimentazione in quanto la caduta di tensione che si ottiene è minima.
Simbolo diodo Schottky
Il simbolo circuitale del diodo Schottky è mostrato nella figura seguente.
Simbolo diodo Schottky
Diodo Schottky circuito equivalente
Il diodo Schottky è tipicamente rappresentato dal circuito equivalente mostrato nella figura seguente.
Diodo Schottky circuito equivalente
Il circuito equivalente del diodo Schottky è costituito dal parallelo di un diodo ideale con una capacità ed in serie ad una resistenza. Parametri di capacità e resistenza dipendono dal tipo di diodo Schottky ovvero dalle sue caratteristiche costruttive (ad esempio temperatura di esercizio, capacità alla giunzione, etc)
Vantaggi del diodo Schottky
Il diodo Schottky presenta molte similarità con il diodo a giunzione p-n tuttavia, a causa della diversa realizzazione fisica presenta alcune caratteristiche particolari:
bassa caduta di tensione, tipicamente tra 0,3 e 0,5 V
assenza di accumulo di cariche minoritarie permette una commutazione rapida e quindi lo rende adatto ad operazione di commutazione a frequenza elevata come negli alimentatori switching
elevata efficienza
bassa corrente di dispersione inversa
robustezza alle variazioni termiche ambientali.
Di contro, bisogna tenere presente anche di una caratteristica negativa del diodo Schottky ovvero la bassa tensione di breakdown, tipicamente tra 100 V e 200 V.
Dove si parla di tensione e di corrente si parla anche di potenza elettrica. La potenza elettrica permette di avere una informazione su quanta energia elettrica viene fornita ad un dispositivo o, più in generale, ad un carico. É tipicamente una misura dell’energia elettrica che un carico richiede alla sua fonte di alimentazione per poter funzionare correttamente. Il concetto di potenza elettrica è presente in quasi tutte le applicazioni elettriche, che si tratti di apparecchiature residenziali come frigorifero, lavatrice, condizionatore d’aria, televisione etc, sia che si tratti di apparecchiature industriali come grandi motori, compressori, macchine automatiche, ma anche dispositivi medicali, insomma tutto ciò che è elettrico e che all’interno di un circuito rappresenta un carico.
Questo articolo mira a spiegare cosa si intende con potenza elettrica fornendo definizione e formula. Esistono tre tipi di potenza elettrica: potenza attiva, potenza reattiva e potenza apparente. Per ogni tipologia di potenza sono illustrate significato, calcolo ed unità di misura. Capire la potenza elettrica significa comprendere una parte essenziale di come funziona l’elettricità per dare vita alle apparecchiature.
Cosa si intende per potenza elettrica
Per potenza elettrica si intende la quantità di energia elettrica che una sorgente di alimentazione deve fornire al carico per poter funzionare. La potenza elettrica è definita come la quantità di lavoro svolto nell’unità di tempo. In un sistema elettrico rappresenta una misura dell’energia elettrica generata da una sorgente, trasmessa su delle linee di distribuzione e utilizzata per l’applicazione richiesta. In presenza di una forza elettrica, gli elettroni tendono a spostarsi (a seconda del potenziale) e muovendosi producono energia cinetica che quindi viene convertita in lavoro. La potenza elettrica rappresenta la velocità a cui le cariche mobili convertono l’energia. Dalla definizione deriva che la potenza elettrica quantifica l’energia necessaria per far operare un qualsiasi dispositivo, sistema o infrastruttura elettrica. La formula per calcolare la potenza elettrica è:
dove:
p(t) è la potenza
v(t) è la tensione
i(t) è la corrente
Questa potenza è detta potenza istantanea e dipende dall’istante di tempo considerato. Tale formula è valida in regime di corrente continua. L’unità di misura della potenza elettrica in corrente continua è il watt [W].
Per convenzione si è soliti assegnare un segno positivo alla potenza assorbita da un elemento mentre un segno negativo quando la potenza è generata dall’elemento.
Convenzione del segno della potenza a partire dalla direzione di tensione e corrente
In regime di corrente alternata, occorre prendere in considerazione anche lo sfasamento presente tra tensione e corrente. Come vedremo nel prossimo capitolo, esistono tre diverse tipologie di potenza elettrica per ciascuno di essi si avranno formule e unità di misura diverse.
Tipi di potenza elettrica: potenza attiva, potenza reattiva, potenza apparente
Le tipologie di potenza elettrica sono tre:
Potenza attiva:
detta anche potenza reale e rappresenta la quantità di energia elettrica che effettivamente viene utilizzata per svolgere il lavoro. Rappresenta, per una data tensione, la corrente che assorbe (o può assorbire) ad esempio un motore, una lampadina, un elettrodomestico.
Potenza reattiva:
non contribuisce a svolgere il lavoro utile ed è una misura dell’energia rilasciata dai componenti reattivi presenti nel circuito. L’unità di misura della potenza reattiva è il voltampere reattivo [VAR].
Potenza apparente:
è la potenza totale che viene fornita da una sorgente di energia alla linea o, al carico. È la somma di potenza attiva e potenza reattiva. L’unità di misura della potenza apparente il il voltampere [VA].
Che cos’è la potenza attiva?
La potenza attiva è l’unica potenza che effettivamente permette al carico di lavorare. Immaginiamo che il carico sia una lampadina ad incandescenza oppure un motore. In questo esempio, la potenza attiva è la potenza che permette alla lampadina di accendersi oppure al motore di iniziare a girare. La potenza attiva è quella potenza che dalla sorgente viene trasmessa sempre nella direzione del carico. Nel caso di circuiti in continua coincide con il prodotto di tensione e corrente mentre per i circuiti in alternata oltre a tensione e corrente occorre considerare l’angolo di sfasamento (tra tensione e corrente).
Nei circuiti in corrente alternata la potenza attiva P è
dove V è la tensione efficace, I è la corrente efficace, ϕ è l’angolo di sfasamento tra tensione e corrente.
L’unità di misura della potenza attiva è il watt [W]. La potenza attiva è la potenza media effettivamente fornita al carico ovvero la potenza che il carico assorbe.
Che cos’è la potenza reattiva?
La potenza reattiva è un tipo di potenza elettrica che non svolge alcun lavoro utile. È la potenza che si alterna avanti e indietro tra la sorgente (come una centrale elettrica) e il carico (come un dispositivo elettrico), ma non viene utilizzata.
Si misura in volt-ampere reattivi (VAR) e si verifica principalmente a causa dell’induttanza o della capacità nel sistema. In termini più semplici, la potenza reattiva è l'”energia” che viene immagazzinata temporaneamente e poi restituita alla fonte di alimentazione.
Nei circuiti in corrente alternata la potenza reattiva Q è
dove V è la tensione efficace, I è la corrente efficace, ϕ è l’angolo di sfasamento tra tensione e corrente.
L’unità di misura della potenza attiva è il voltampere reattivo [VAR]. La potenza reattiva è una misura della potenza scambiata tra la sorgente e la parte reattiva del carico.
A seconda del tipo di carico la potenza reattiva Q può assumere i seguenti valori:
Q > 0 in presenza di carico induttivo,
Q = 0 in presenza di carico resistivo,
Q < 0 in presenza di carico capacitivo.
La potenza reattiva è dovuta alla presenza di componenti induttive e capacitive nel carico per portano ad immagazzinamento e rilascio di energia.
Che cos’è la potenza apparente?
La potenza apparente è il totale di potenza distribuita ed è calcolata come il prodotto di tensione e corrente. Nei circuiti in corrente alternata la potenza apparente S è
dove V è la tensione efficace, I è la corrente efficace.
L’unità di misura della potenza attiva è il voltampere [VA]. La potenza apparente è la potenza totale distribuita in un circuito ed è la somma della potenza reale e di quella reattiva.
La potenza apparente rappresenta la potenza massima che un circuito è in grado di gestire.
Relazione tra potenza reale, reattiva, apparente
La relazione tra i tre tipi di potenza è data dalla seguente formula:
Questa relazione è tipicamente mostrata in maniera grafica tramite il così detto triangolo delle potenze mostrato nella figura seguente.
Come si può graficamente vedere, al diminuire del valore di Q ovvero di potenza reattiva, la potenza apparente tende ad coincidere con quella reale, questo è il caso di un carico puramente resistivo. Se, al contrario, la potenza reale P diminuisce, S tende a coincidere con Q ovvero il carico ha componente prevalentemente reattiva (induttori e condensatori).
La distorsione armonica totale viene usata per quantificare quanto disturbo è presente in un segnale elettrico. I sistemi di distribuzione elettrica devono soddisfare una richiesta sempre crescente di energia che deve essere garantita con continuità agli utilizzatori. Tuttavia avere un apporto costante di energia che ci permetta di utilizzare tutta la tecnologia e l’hardware di cui siamo in possesso non è l’unico aspetto che i sistemi di distribuzione devono garantire. Oltre la continuità della fornitura è importante anche la qualità dell’energia elettrica. Basti pensare che la crescente richiesta di energia è dovuta ad una rete di distribuzione sempre più fitta e capillare sul territorio ma anche all’aumento di dispositivi ed apparecchiature elettriche ed elettroniche. Queste apparecchiature, con l’evoluzione tecnologica includono componenti elettroniche sempre più complesse ed altrettanto sensibili ai disturbi. Allo stesso tempo però, le stesse apparecchiature finiscono per perturbare la rete introducendo dei disturbi dovuti alla presenza di carichi non lineari.
La distorsione armonica totale è uno dei parametri fondamentali per descrivere il livello di disturbo presente in un sistema di distribuzione e rappresenta una misura della qualità dell’energia elettrica. La distorsione armonica è una metrica dell’impatto che le componenti armoniche hanno nel disturbare le forme d’onda di tensione o corrente. Tali armoniche derivano dalla presenza di carichi non lineari come ad esempio gli inverter ma anche gli alimentatori a commutazione (alimentatori switching) e possono ridurre notevolmente l’efficienza nella distribuzione energetica.
In questo articolo verrà presentato il concetto di distorsione armonica totale partendo dalla sua definizione sino al suo significato.
Cosa significa distorsione armonica totale THD
La distorsione armonica totale THD (in inglese THD significa Total Harmonic Distorsions) è un parametro che indica quanto un segnale si discosta dalla forma d’onda sinusoidale.
La distorsione armonica totale può essere riferita al segnale di tensione oppure di corrente ed ha valori tra zero ed uno. Tipicamente si esprime in percentuale e quindi i possibili valori sono compresi tra 0% e 100%. Maggiore è il valore della distorsione armonica totale, maggiore è il disturbo presente nel segnale. In altri termini, un alto valore di distorsione armonica significa che il segnale ha un andamento molto lontano dalla forma sinusoidale. Al contrario, avere una distorsione armonica pari a 0% significa che il segnale di tensione o corrente ha una forma d’onda perfettamente sinusoidale. Da un punto di vista dell’analisi dei segnali, per poter quantificare quanto un segnale si discosta dalla forma sinusoidale, si scompone il segnale in più armoniche e si valuta quante di queste armoniche servono per poter adeguatamente rappresentare il segnale. Nel caso di un segnale puramente sinusoidale, è l’armonica fondamentale a rappresentare tutta l’informazione del segnale poiché il contributo dato dalle altre sinusoidi è nullo.
Nel caso, invece, di un segnale distorto, la rappresentazione in serie di Fourier di tale segnale è data oltre che dalla armonica fondamentale, anche dal contributo di armoniche di ordine 2 ed eventualmente superiore. La presenza di armoniche di ordine 2 e superiore rappresenta la distorsione del segnale.
Scomposizione di un segnale distorto nelle relative sinusoidi
Maggiore è il contributo di queste armoniche di ordine >= 2, e più il segnale è distorto ovvero l’informazione necessaria per rappresentare il segnale non è data unicamente dalla fondamentale. Questo ci porta al concetto di distorsione armonica.
La distorsione armonica è data dal rapporto tra la sommatoria dei valori efficaci di tutte le componenti armoniche rispetto al valore efficace dell’armonica fondamentale. La distorsione armonica totale THD è definita dalla seguente formula:
dove:
Y è il segnale di tensione oppure di corrente
Y1 è il valore efficace (rms) dell’armonica fondamentale
Yn è il valore efficace (rms) dell’armonica di ordine n
n è l’ordine dell’armonica
H è tipicamente pari a 50
Da notare che la formula della distorsione armonica totale (THD) è la stessa sia che si tratti di un segnale di tensione che di un segnale di corrente. Sebbene teoricamente occorrerebbe considerare tutte le armoniche del segnale ovvero estendere la sommatoria all’infinito, nella pratica si considerano di solito le prime 50 armoniche. Questo perché, oltre la 50esima, il contributo di ciascuna armonica alla rappresentazione del segnale distorto è considerato trascurabile. La scelta della 50esima armonica deriva da vincoli normativi, tuttavia è considerato ugualmente adeguato fermarsi alla 25esima armonica qualora sia basso il rischio del verificarsi di effetti di risonanza per gli ordini superiori.
Tipicamente la distorsione armonica totale viene espressa con un valore percentuale che è ottenuto semplicemente moltiplicando per 100 l’espressione del THD. La formula della distorsione armonica percentuale (THD%) è la seguente:
Dalla formula del THD ne deriva il significato poiché, come si può vedere dall’espressione, il THD rappresenta una misura di quanta informazione è contenuta nelle armoniche secondarie rispetto alla fondamentale del segnale. Minore è il contributo delle armoniche e maggiore sarà l’informazione contenuta nella fondamentale e quindi più basso risulta il THD. Un valore di THD basso significa che il segnale è molto simile ad una sinusoide. Un THD elevato significa che il segnale è molto diverso dalla forma d’onda sinusoidale ovvero è molto distorto.
In maniera del tutto analoga alla espressione precedente, la distorsione armonica totale può essere espressa anche direttamente in funzione del valore efficace del segnale originale. Consideriamo per un generico segnale Y, l’espressione del relativo valore efficace Yeff.
Partendo dall’espressione del valore efficace appena vista e tenendo conto che la sommatoria parte da 1, la formula della distorsione armonica totale può essere espressa come di seguito.
La distorsione armonica totale è una misura della qualità della potenza trasmessa da un sistema ad un carico. Rappresenta una componente del fattore di potenza ed è utilizzata per quantificare il livello di disturbi che un carico non lineare, oppure un insieme di dispositivi o componenti non lineari, può portare all’interno di un sistema. La distorsione armonica totale è un parametro molto importante nell’elettronica di potenza e in tutte le applicazioni che ne derivano. In un sistema elettrico, in generale, ha un impatto notevole sul dimensionamento dei componenti. È un parametro importante anche nelle applicazioni audio in quanto fornisce una misura di quanto rumore viene introdotto in un segnale quando questo attraversa un dispositivo.
Come eliminare le correnti armoniche?
In una situazione tipica, un segnale di tensione sinusoidale viene applicato ad un carico e, se questo carico non è lineare, la corrente che ne deriva avrà delle distorsioni. Tali distorsioni vengono chiamate correnti armoniche. Le correnti armoniche a loro volta influenzeranno il funzionamento di altri componenti o dispositivi a valle. Per questa ragione è rilevante cercare di ridurre al minimo e possibilmente eliminare le correnti armoniche.
Per risolvere il problema delle correnti armoniche ci sono due possibilità:
progettare oppure utilizzare dispositivi che garantiscano un basso contenuto di distorsione armonica per il tipo di carico utilizzato
inserire nel sistema un dispositivo dedicato per il filtraggio o la compensazione delle singole armoniche fino ad un certo ordine.
Sebbene la prima soluzione sarebbe l’ideale, quando si ha a che fare con sistemi complessi oppure critici, è praticamente necessario introdurre dell’hardware dedicato per il trattamento delle correnti armoniche. Esistono diverse soluzioni per mitigare l’effetto delle armoniche la cui scelta dipende dal contesto e dall’applicazione finale.
Le possibili soluzioni per eliminare le correnti armoniche consistono nell’utilizzo di:
Filtri passivi. I filtri passivi rappresentano una soluzione semplice ed a basso costo sebbene poco versatile e specifica per un determinato carico. Un filtro passivo può essere realizzato semplicemente da una serie di un condensatore ed un induttore che, se adeguatamente dimensionati, possono ridurre notevolmente l’armonica di interesse.
Funzionamento di un filtro passivo su linee con carico non lineare
Con questa soluzione è necessario conoscere le armoniche che occorre eliminare ed implementare un filtro per ciascuna di queste armoniche. I filtri passivi sono tipicamente dei banchi di condensatori con in serie induttori dove ciascuna serie condensatore-induttore agisce su una specifica armonica. Questi filtri riducono ma non eliminano completamente le correnti armoniche.
Filtri attivi. I filtri attivi sono dispositivi elettronici che analizzano le armoniche presenti nel sistema e, per ciascuna di queste, introduce delle armoniche negative di stessa ampiezza. Ne risulta che il segnale è “pulito” dalle armoniche fino all’ordine considerato.
Funzionamento di un filtro attivo su linee con carico non lineare
I filtri attivi sono soluzioni che non necessitano di specifici dimensionamenti in quanto si adattano in maniera dinamica sulla base delle armoniche rilevate. Sono dispositivi più complessi, più ingombranti e più costosi dei filtri passivi ma sono estremamente versatili. Alle volte i filtri attivi sono utilizzati in combinazione con uno o più filtri passivi. Questi filtri analizzano le correnti armoniche presenti ed introducono nel sistema delle correnti armoniche di verso opposto andando quindi ad eliminare il problema.
Distorsione armonica della richiesta totale | TDD
Oltre al THD, un’altra misura dei livelli di distorsione armonica è rappresentata dal TDD (Total Demand Distorsion) ovvero distorsione della richiesta totale.
Il parametro distorsione della richiesta totale (TDD) è un parametro che indica la quantità di distorsione armonica in presenza del massimo carico possibile. È una misura particolarmente utilizzata per quantificare le correnti armoniche e quindi, nel caso il segnale sia una corrente, è calcolata rispetto alla massima corrente nel sistema. La formula della distorsione della richiesta totale (TDD) è la seguente:
dove:
I è il segnale di di corrente
IL è il valore efficace (rms) della massima corrente richiesta
In è il valore efficace (rms) dell’armonica di ordine n
n è l’ordine dell’armonica
La stima del TDD è utile nei casi in cui l’assorbimento da parte del carico sia variabile. Se ad esempio un carico non è in funzionamento continuo ma può essere attivato a pieno regime solo su richiesta, allora il TDD fornisce una informazione utile per quantificare il massimo valore dei possibili disturbi che si possono avere nel sistema. Il TDD è tipicamente utilizzato nei sistemi complessi dove si è in presenza di più carichi che non sono sempre attivi a pieno regime.
Limiti di norma per la distorsione armonica
Contenere e possibilmente eliminare la distorsione armonica non è solamente una buona regola di progettazione ma anche un requisito normativo. Questo perché avere in commercio componenti che introducono elevata distorsione armonica può pregiudicare il funzionamento di altri componenti presenti nel sistema finale. Allo stesso tempo i sistemi elettrici complessi possono introdurre dei livelli di disturbo tali da compromettere il buon funzionamento e distribuzione dell’energia elettrica. Per questo sono presenti diverse normative nell’ambito della compatibilità elettromagnetica che stabiliscono dei limiti per la distorsione armonica. Queste norme stabiliscono limiti diversi a seconda se la misura è relativa ad un dispositivo oppure ad un sistema di distribuzione elettrica.
I limiti normativi per la distorsione armonica sono stabiliti nelle seguenti norme:
EN 62000-2-2: Environment – Compatibility levels for low-frequency conducted disturbances and signalling in public low-voltage power supply systems
EN 62000-2-4: Environment – Compatibility levels in power distribution systems in industrial locations for low-frequency conducted disturbances
EN 50160: Voltage characteristics of electricity supplied by public distribution networks
EN 61000-3-2: Limits for harmonic current emissions (equipment input current ≤ 16 A per phase)
EN 61000-3-12: Limits for harmonic currents produced by equipment connected to public low-voltage systems with input current > 16 A and ≤ 75 A per phase
Limiti per le tensioni armoniche – EN 62000-2-2
La norma EN 62000-2-2 stabilisce i limiti di compatibilità per i sistemi di distribuzione pubblici a bassa tensione in corrente alternata sia monofase (fino a 420 Vac) che trifase (fino a 690 Vac) alla frequenza nominale di 50 Hz oppure 60 Hz. I livelli di compatibilità per le singole tensioni armoniche nelle reti a bassa tensione sono mostrati nella tabella seguente.
Livelli di compatibilità per le singole tensioni armoniche nelle reti a bassa tensione in accordo ad EN 61000-2-2
Ordine dell'armonica (h)
Tensione dell’armonica (%)
Armoniche dispari non multiple di 3
5
6
7
5
11
3,5
13
3
17 ≤ h ≤ 49
2,27 × (17/h) – 0,27
Armoniche dispari multiple di 3
3
5
9
1,5
15
0,4
21
0,3
21 < h ≤ 45
0,2
Armoniche pari
2
2
4
1
6
0,5
8
0,5
10 ≤ h ≤ 50
0,25 × (10/h) + 0,25
In base alla EN 62000-2-2 il massimo livello ammissibile per la distorsione armonica totale è THD = 8%. I valori in percentuale sono da intendersi sempre riferiti (normalizzati) alla fondamentale. Questi limiti devono essere soddisfatti dal fornitore di energia elettrica.
Limiti per le tensioni armoniche nelle reti a bassa tensione – EN 62000-2-4
La norma EN 62000-2-4 stabilisce i limiti per le reti industriali e non pubbliche a tensioni nominali fino a 35 kV e alla frequenza nominale di 50 o 60 Hz. La norma differenzia i limiti in base alla classe di ambiente industriale. Vengono definite tre classi a seconda della tipologia di ambiente elettromagnetico industriale: classe 1 (ad esempio laboratori o ambienti similari che utilizzano apparecchiature sensibili come strumenti di misura); classe 2 (tipico ambiente industriale); classe 3 (industria pesante o in generale ambienti elettromagnetici caratterizzati dalla presenza ed utilizzo di molte apparecchiature che possono perturbare la compatibilità elettromagnetica come grandi convertitori, importanti carichi variabili, apparecchiature per saldatura, etc). I limiti della EN 62000-2-4 si applicano al punto di connessione dell’industria alla rete elettrica e devono essere soddisfatti dall’impianto industriale (e non dal fornitore dell’energia elettrica). I livelli di compatibilità per le singole tensioni armoniche nelle reti a bassa tensione, suddivisi per classi di ambiente elettromagnetico, sono mostrati nella tabella seguente.
Livelli di compatibilità per le singole tensioni armoniche negli ambienti industriali in accordo ad EN 61000-2-4
Ordine dell'armonica (h)
Classe 1 - Tensione dell’armonica (%)
Classe 2 - Tensione dell’armonica (%)
Classe 3 - Tensione dell’armonica (%)
Armoniche dispari non multiple di 3
5
3
6
8
7
3
5
7
11
3
3,5
5
13
3
3
4,5
17
2
2
4
17 < h ≤ 49
2,27 × (17/h) – 0,27
2,27 × (17/h) – 0,27
4,5 x (17/h) – 0,27
Armoniche dispari multiple di 3
3
3
5
6
9
1,5
1,5
2,5
15
0,3
0,4
2
21
0,2
0,3
1,75
21 < h ≤ 45
0,2
0,2
1
Armoniche pari
2
2
2
3
4
1
1
1,5
6
0,5
0,5
//
8
0,5
0,5
//
10
0,5
0,5
//
10 ≤ h ≤ 50
0,25 x (10/h) + 0,25
0,25 x (10/h) + 0,25
//
In base alla EN 62000-2-4 il massimo livello ammissibile di distorsione armonica totale per ogni classe di ambiente elettromagnetico è THD = 5% per la Classe 1, THD = 8% per la Classe 2, THD = 10% per la Classe 3.
EN 50160: Voltage characteristics of electricity supplied by public distribution networks
Limiti per le tensioni armoniche nella rete pubblica – EN 50160
La norma EN 50160 stabilisce i limiti per la tensione ai terminali di alimentazione di una utenza della rete pubblica in bassa, media e alta tensione in corrente alternata. Queste caratteristiche devono essere rispettate in ogni punto di connessione alla rete elettrica pubblica. I livelli di compatibilità per le singole tensioni armoniche ai terminali di alimentazione sono mostrati nella tabella seguente.
Valori delle singole tensioni armoniche ai terminali di alimentazione in accordo ad EN 50160
Ordine dell'armonica (h)
Bassa tensione - Tensione dell’armonica (%)
Media tensione - Tensione dell’armonica (%)
Alta tensione - Tensione dell’armonica (%)
Armoniche dispari non multiple di 3
5
6
6
5
7
5
5
4
11
3,5
3,5
3
13
3
3
2,5
17
2
2
19
1,5
1,5
23
1,5
1,5
25
1,5
1,5
Armoniche dispari multiple di 3
3
5
5
3
9
1,5
1,5
1,3
15
0,5
0,5
0,5
21
0,5
0,5
0,5
Armoniche pari
2
2
2
1,9
4
1
1
1
6...24
0,5
0,5
0,5
Limiti per le correnti armoniche per le apparecchiature fino a 16 A – EN 61000-3-2
La norma EN 61000-3-2 stabilisce i limiti per le correnti armoniche per le apparecchiature elettriche ed elettroniche con corrente assorbita fino a 16 A per fase. Vengono definite quattro classi a seconda della tipologia di apparecchiatura: Classe A (include apparecchiature trifase bilanciate, apparecchiature residenziali, utensili, etc); Classe B (include utensili portatili, apparecchiature per saldatura ad arco); Classe C (include apparecchiature di illuminazione); Classe D (include computer e relativi monitor). La norma stabilisce i limiti in termini di massima corrente armonica secondo la tabella seguente.
Valori delle correnti armoniche in accordo ad EN 61000-3-2
Ordine dell'armonica (h)
Classe A - Massima corrente armonica (A)
Classe B - Massima corrente armonica (A)
Classe C - Massima corrente armonica (%)
Classe D - Massima corrente armonica (A)
Armoniche dispari
3
2,3
3,45
30 x Fattore di potenza
2,3
5
1,14
1,71
10
1,14
7
0,77
1,155
7
0,77
9
0,4
0,6
5
0,40
11
0,33
0,495
3
0,33
Armoniche pari
13
0,21
0,315
3
15 ≤ h ≤ 39
0,15 x (15/h)
0,225 x (15/h)
3
0,15 x (15/h)
Armoniche pari
2
1,08
1,62
2
4
0,43
0,645
Armoniche pari
6
0,30
0,45
8 ≤ h ≤ 40
0,23 x (8/h)
0,345 x (8/h)
Limiti per le correnti armoniche per le apparecchiature oltre 16 A – EN 61000-3-12
La norma EN 61000-3-12 stabilisce i limiti per le correnti armoniche per le apparecchiature elettriche ed elettroniche con corrente assorbita superiore a 16 A ed in inferiore a 75 A per fase destinate ad essere connesse all’alimentazione pubblica a bassa tensione. La norma definisce dei limiti di corrente distinti a seconda che l’apparecchiatura sia:
diversa da trifase bilanciata;
trifase bilanciata;
trifase bilanciata con condizioni specifiche (a, b, c);
trifase bilanciata con condizioni specifiche (d, e, f).
I limiti sono espressi in termini dei seguenti parametri:
Rsce: rapporto di cortocircuito. È un parametro caratteristico di una apparecchiatura e che dipende dalla potenza di cortocircuito (Ssc) e dalla potenza nominale apparente dell’apparecchiatura (Sequ)
Ih: componente della corrente armonica
Iref: corrente di riferimento. È il valore efficace della corrente di ingresso
THC: corrente armonica totale. È il valore efficace totale delle componenti di corrente armonica di ordine da 2 a 40
PWHC: corrente armonica ponderata parziale. È il valore efficace totale di un gruppo selezionato di componenti di correnti armoniche di ordine più elevato (tra la 14a e la 40a armonica), ponderate secondo l’ordine di armonica h
Apparecchiature diverse da apparecchiature trifase bilanciate
Limiti di emissione di corrente per apparecchiature diverse da apparecchiature trifase bilanciate
RSCE minimo
Singola corrente armonica ammissibile Ih/Iref (%)
Parametri ammissibili delle armoniche (%)
I3
I5
I7
I9
I11
I13
THC/ Iref
PWHC / Iref
33
21,6
10,7
7,2
3,8
3,1
2
23
23
66
24
13
8
5
4
3
26
26
120
27
15
10
6
5
4
30
30
250
35
20
13
9
8
6
40
40
≥ 350
41
24
15
12
10
8
47
47
Apparecchiature trifase bilanciate
Limiti di emissione di corrente per apparecchiature trifase bilanciate
RSCE minimo
Singola corrente armonica ammissibile Ih/Iref (%)
Parametri ammissibili delle armoniche (%)
I5
I7
I11
I13
THC/ Iref
PWHC / Iref
33
10,7
7,2
3,1
2
13
22
66
14
9
5
3
16
25
120
19
12
7
4
22
28
250
31
20
12
7
37
38
≥ 350
40
25
15
10
48
46
Apparecchiature trifase bilanciate in condizioni specificate (a, b, c)
Limiti di emissione di corrente per apparecchiature trifase bilanciate in condizioni specificate (a, b, c)
RSCE minimo
Singola corrente armonica ammissibile Ih/Iref (%)
Parametri ammissibili delle armoniche (%)
I5
I7
I11
I13
THC/ Iref
PWHC / Iref
33
10,7
7,2
3,1
2
13
22
≥ 120
40
25
15
10
48
46
Apparecchiature trifase bilanciate in condizioni specificate (d, e, f)
Limiti di emissione di corrente per apparecchiature trifase bilanciate in condizioni specificate (d, e, f)
RSCE minimo
Singola corrente armonica ammissibile Ih/Iref (%)
Parametri ammissibili delle armoniche (%)
I5
I7
I11
I13
I17
I19
I23
I25
I29
I31
I35
I37
THC/ Iref
PWHC / Iref
33
10,7
7,2
3,1
2
2
1,5
1,5
1,5
1
1
1
1
13
22
≥ 250
25
17,3
12,1
10,7
8,4
7,8
6,8
6,5
5,4
5,2
4,9
4,7
35
70
Distorsione armonica totale THD in breve
La distorsione armonica totale è detta, in inglese, THD che sta per Total Harmonic Distortion. È un parametro che serve a quantificare la distorsione in un segnale elettrico. Si riferisce alla quantità di distorsione di una forma d’onda originariamente sinusoidale a causa della presenza di carichi lineari come convertitori, alimentatori, o dispositivi elettronici.
Alti livelli di distorsione armonica totale THD possono degradare le prestazioni di una apparecchiatura elettrica posta a valle della linea di alimentazione ma possono degradare la qualità dell’alimentazione stessa. Per questo è sempre preferibile avere una bassa distorsione armonica totale. Nei sistemi elettrici è preferibile generalmente avere livelli di THD inferiori al 5%. Nelle applicazioni audio per ottenere una qualità del suono importante i livelli di THD sono tipicamente inferiori allo 0,1%.
Tutti i sistemi elettrici così come le apparecchiature elettriche, per legge, devono ridurre al minimo la distorsione armonica totale per evitare di rovinare la qualità dell’energia elettrica. I limiti di THD sono indicati all’interno di norme armonizzate per la compatibilità elettromagnetica.
In elettronica, le armoniche rappresentano le componenti di una forma d’onda periodica che sono multiple in frequenza rispetto alla fondamentale. Dalle armoniche dipendono le prestazioni e l’efficienza dei sistemi di distribuzione così come dei circuiti di potenza e per questo risultano importanti in ambito elettrico, elettronico e dell’elaborazione dei segnali. L’analisi delle armoniche è fondamentale nello studio di un circuito per poterne valutare l’efficienza e quindi poterne migliorare le prestazioni in tantissimi ambiti come nei dispositivi audio, nei dispositivi di comunicazione oppure nell’elettronica di potenza.
Le armoniche in ambito elettronico sono importanti perché, dalla loro analisi, si ricava l’efficienza di un sistema o di un circuito. Le armoniche permettono la valutazione del THD (Total Harmonic Distorsion) che, a sua volta, contribuisce alla quantificazione del fattore di potenza. Dallo studio delle armoniche e quindi della distorsione armonica totale e del fattore di potenza si ha una misura quantitativa dell’efficienza della trasmissione di energia nei sistemi di distribuzione. In questo articolo verranno presentate le basi fondamentali del concetto di armonica di un segnale che, nel mondo elettrico, è tipicamente un segnale di tensione oppure di corrente.
Cosa sono le armoniche in elettronica?
In elettronica per armonica si intende una delle componenti sinusoidali in cui può essere scomposto un segnale periodico. Qualsiasi segnale periodico può essere rappresentato come la somma di più segnali sinusoidali ovvero può essere rappresentato attraverso una serie di Fourier.
Definizione di armonica: componente della scomposizione in serie di Fourier di un segnale periodico.
In elettronica, tipicamente, il segnale periodico è un segnale di tensione oppure di corrente. Qualsiasi segnale periodico è costituito da armoniche. Se il segnale che prendiamo in considerazione è una sinusoide, allora esso può essere rappresentato da una sola armonica che coincide con il segnale stesso. Se il segnale considerato è periodico ma non sinusoidale allora può essere rappresentato da più armoniche.
Grafico andamento segnale sinusoidale (in blu) e segnale distorto (in rosso)
Ogni segnale periodico non sinusoidale può essere rappresentato, con una certa approssimazione, da un numero indefinito di armoniche. Ciascuna di queste armoniche ha un certo contributo nel rappresentare il segnale originale. La scomposizione di un segnale periodico in armoniche è matematicamente rappresentata tramite la serie di Fourier. Se consideriamo una generica funzione y(t) periodica con periodo T, allora y(t) può essere rappresentata dalla sommatoria di un numero infinito di funzioni sinusoidali ciascuna con frequenza multipla della frequenza del segnale originale. L’espressione matematica è mostrata di seguito.
dove:
Y0 : componente in continua di y(t), tipicamente posta a zero
ω : pulsazione angolare
φ : angolo di sfasamento (rispetto al segnale originale)
Le armoniche vengono identificate da un numero progressivo 1, 2, 3, … etc, detto ordine dell’armonica. Maggiore è l’ordine dell’armonica minore è il suo contributo nel rappresentare il segnale.
Rappresentazione grafica della scomposizione di un segnale distorto (in rosso) nelle armoniche di ordine 1, 3, 5, 7
La prima armonica ovvero l’armonica di ordine 1 è detta armonica fondamentale ed ha una frequenza che è quella del segnale originale ad esempio 50 Hz (oppure 60 Hz), se consideriamo una tipica utenza elettrica.
Per prima armonica o armonica fondamentale si intende la prima scomposizione in sinusoide del segnale originale alla frequenza di base della forma d’onda.
Le armoniche successive la prima avranno una frequenza multipla della fondamentale. Considerando ad esempio che la prima armonica è ad una frequenza di 50 Hz, la seconda armonica sarà a 100 Hz (= 50*2), la terza armonica a 150 Hz (=50*3), la quarta armonica a 200 Hz (=50*4), la quinta armonica 250 Hz (= 50*5) e così via.
Scomposizione di un segnale distorto (in rosso) nelle armoniche di ordine 1, 3, 5, 7
Tipicamente l’ampiezza di ogni armonica decresce al crescere dell’ordine dell’armonica ovvero decresce al crescere della frequenza dell’armonica. L’armonica fondamentale è l’armonica che contiene la maggior parte dell’informazione che costituisce il segnale originale.
Come si formano le armoniche?
Le armoniche si formano a causa della presenza di componenti non lineari a causa dei quali la forma d’onda della corrente o della tensione (o in generale del segnale originario) devia dalla forma sinusoidale. Un segnale sinusoidale, ad esempio una tensione di alimentazione, che ad esempio incontra un carico non lineare porta ad una corrente distorta ovvero che ha perso la propria forma sinusoidale. Tale distorsione è rappresentata dalle armoniche cioè da componenti di frequenza che sono multipli della frequenza fondamentale.
La principale causa della formazioni di armoniche è la presenza di carichi non lineari. Per carichi non lineari si intendono tutti quei carichi su una porta del circuito che presentano una relazione tensione-corrente non lineare. Sono non lineari tutti quei carichi che al loro interno presentano componenti come diodi, tiristori, transistor oppure dispositivi di commutazione (che funzionano come interruttori on/off) di circuiti o di altri carichi. Questa tipologia di carichi e di componenti porta ad una variazione di impedenza non lineare. Basti pensare alla caratteristica tensione-corrente del diodo dove ad una variazione della tensione non corrisponde una variazione lineare della corrente. Se invece consideriamo un carico lineare come un carico puramente resistivo, sappiamo che ad ogni variazione della tensione in ingresso corrisponderà una variazione lineare della corrente.
La principale causa della formazione di armoniche è la presenza di componenti non lineari all’interno di:
azionamenti a velocità variabile (inverter),
alimentatori a commutazione (alimentatori switching),
circuiti raddrizzatori,
convertitori per illuminazione (alimentatori per led),
apparecchiature per saldatura.
Effetti e conseguenze delle armoniche
L’effetto principale delle armoniche è la distorsione del segnale che può avere svariate implicazioni a seconda del circuito o del sistema elettrico considerato. I principali effetti e le principali conseguenze dovute alla presenza di armoniche sono:
Fattore di potenza. La presenza di armoniche aumenta il contributo del fattore di distorsione aumentando il valore della potenza apparente ma lasciando invariata la potenza reale. Come conseguenza, maggiore è il contributo delle armoniche, minore sarà il valore del fattore di potenza.
Dimensionamento dei conduttori elettrici e relativi dispositivi di protezione. In presenza di armoniche, la corrente che deve essere fornita dalla sorgente deve essere maggiore rispetto a quella richiesta dal carico a causa del contributo della potenza apparente. Il dimensionamento dei cavi elettrici e dei relativi dispositivi di protezione deve tenere conto della distorsione armonica presente sulla linea per poter assicurare l’adeguatezza dell’impianto alla funzione prevista.
Prestazioni dei generatori. All’interno di un sistema elettrico, la presenza di generatori è tra le principali cause della generazioni di armoniche. Se da una parte un generatore può facilmente creare una distorsione armonica, il generatore, a sua volta, può risentirne gli effetti. Questo avviene quando una distorsione sulla corrente porta ad una distorsione sulla tensione che serve il carico a valle del generatore, degradando quindi le prestazioni del sistema.
Perdite sugli avvolgimenti. La presenza di armoniche porta a perdite sugli avvolgimenti di motori oppure di trasformatori che, oltre a degradarne l’efficienza, può portare a fenomeni di risonanza, surriscaldamento, vibrazioni. La presenza di armoniche ha quindi ripercussioni sul corretto dimensionamento di motori e generatori.
Degrado dei componenti. Le armoniche sono un disturbo e come tale possono stressare i componenti che compongono i dispositivi elettrici riducendone potenzialmente la loro vita utile. Taluni dispositivi possono inoltre essere particolarmente sensibili alle variazioni di segnale che, qualora non supportate, possono portare a rotture.
Alterazioni dei segnali. In particolar modo in ambito digitale, un segnale distorto potrebbe essere erroneamente interpretato da un componente e quindi portare a funzionamenti non previsti dei circuiti a valle (ad esempio uno zero digitale, a causa della distorsione armonica, potrebbe essere interpretato dal circuito integrato che lo riceve, come un uno digitale).
Il crescente utilizzo di dispositivi non lineari ha portato inevitabilmente a rendere rilevante l’impatto della presenza di armoniche in un sistema elettrico. Comprendere il significato di armonica di un segnale e la possibile origine, è molto importante in ambito elettrico per poter ridurne gli effetti e quindi migliorare l’efficienza di un sistema.
Il fattore di potenza rappresenta l’efficienza con cui la potenza elettrica viene utilizzata all’interno di un sistema. Nei sistemi di distribuzione elettrica così come negli impianti industriali, il fattore di potenza assume un ruolo fondamentale in quanto dal suo valore dipendono i costi operativi, la qualità e l’efficienza dell’energia elettrica utilizzata.
In questo articolo, verranno discussi in dettaglio il concetto e le basi matematiche del fattore di potenza, con l’obiettivo di chiarirne il suo significato e le sue applicazioni. Il fattore di potenza rappresenta una misura effettuata alla porta su cui è collegato il carico e quindi dipende dalla tipologia di carico. Il tipo di carico posto sulla porta influenza il valore del fattore di potenza a seconda che sia un carico lineare oppure un carico non lineare. A partire dalla definizione di fattore di potenza, verrà quindi fornita l’espressione matematica nel caso generale in cui il carico è non lineare e successivamente nel caso specifico in cui il carico è lineare.
Comprendere il fattore di potenza è fondamentale perché ottimizzandolo è possibile ridurre i costi energetici ma anche migliorare la stabilità e la qualità della rete elettrica.
Fattore di potenza: definizione e formula
Il fattore di potenza è definito come il rapporto tra la potenza media ed il prodotto di tensione efficace e corrente efficace. Il fattore di potenza è da intendersi riferito alla porta su cui si trova il carico. Discorso analogo vale per la tensione e la corrente efficace che si considera. Il fattore di potenza, PF (Power Factor), per una generica funzione periodica è definito dalla seguente formula.
Definizione di fattore di potenza PF:
Il fattore di potenza è pari al rapporto tra la potenza attiva (misurata in watt) e la potenza apparente (misurata in volt-ampere) di un sistema elettrico. La potenza attiva è quella effettivamente utilizzata per svolgere un lavoro utile, mentre la potenza apparente rappresenta la somma vettoriale della potenza attiva e della potenza reattiva. La potenza apparente non contribuisce direttamente al lavoro svolto ma è comunque necessaria per il funzionamento del sistema.
Fattore di potenza in presenza di carico non lineare
Nella realtà la corrente potrebbe non avere lo stesso andamento sinusoidale della tensione a causa, ad esempio, di un assorbimento non costante da parte del carico. Questo è il caso in cui alla porta di alimentazione è connesso un carico non lineare. Partiamo da queste condizioni per generalizzare l’espressione del fattore di potenza. Di seguito viene mostrato un esempio in cui la tensione (in verde) è sinusoidale mentre la corrente (in rosso) presenta delle distorsioni.
Grafico dell’andamento di una corrente non sinusoidale a partire da una tensione sinusoidale.
Come si può vedere il segnale della corrente, pur essendo periodico è tutt’altro che sinusoidale. Ciò nonostante può essere scomposto in serie di Fourier ovvero essere considerato come una sommatoria di diverse forme d’onda sinusoidali.
Scomposizione armonica di un segnale non sinusoidale
Il valore efficace Irms di una corrente non sinusoidale è dato dalla radice quadrata della sommatoria dei quadrati delle correnti efficaci delle singole armoniche come mostrato di seguito.
dove I0 rappresenta la componente in continua del segnale mentre I1,rms rappresenta la prima armonica detta anche armonica fondamentale. Questa espressione è il cosiddetto teorema di Parseval secondo cui il valore efficace di una grandezza periodica è la radice quadrata della somma dei quadrati dei valori efficaci di tutte le sue componenti armoniche.
Per comprendere l’espressione del fattore di potenza nel caso di corrente non sinusoidale, vediamo dapprima l’espressione della potenza media < p >.
Al fine di rendere l’espressione il più possibile generica, è stato introdotto, per indicare la funzione della corrente, il fattore ϕ0 che indica l’angolo di sfasamento della corrente rispetto alla tensione.
Risulta utile portare fuori la sommatoria per osservare un aspetto interessante ovvero che siamo in presenza di funzioni ortogonali.
Si può notare che quando n ≠ 1 il prodotto dei seni è zero in quanto i segnali sono tra loro ortogonali. Per capire questa proprietà si può osservare il grafico seguente in cui n = 2. L’integrale sul periodo [0, π] della funzione sin(ωt) risulta positivo (>0) mentre l’integrale nello stesso periodo della funzione sin(2ωt) è nullo. In maniera analoga questo è valido per qualsiasi n ≠ 1, tuttavia è meno immediato vederlo attraverso un grafico, rispetto al caso n = 2.
Esempio del caso n = 2 | Grafico funzione sin(ωt) e sin(2ωt)
Rimane quindi nell’espressione del valore medio, < p >, la sola componente che si ha per n=1 ovvero la prima armonica del segnale.
A questo punto, tenendo conto che dalla trigonometria è possibile affermare che sussiste la seguente relazione:
possiamo ottenere una nuova espressione per il valore medio, come di seguito.
Ricordiamo a questo punto che, nel caso di funzioni sinusoidali, il valore efficace è pari al rapporto tra il valore di picco del segnale e radice di due.
Questa relazione ci permette di esprimere il valore medio della potenza in termini dei valori efficaci di tensione e corrente. Sostituendo le espressioni di V ed I all’interno dell’espressione di < p > otteniamo la formula seguente.
Si capisce quindi come la potenza media sia legata unicamente al segnale di tensione del generatore, alla prima armonica della corrente ed all’angolo di sfasamento tra tensione e corrente. In particolare è da notare che il contributo al trasporto di energia è dovuto:
alla sola prima armonica (armonica fondamentale) della corrente quindi tutte le altre armoniche a frequenze diverse non danno alcun contributo alla potenza attiva
solo alla parte di armonica fondamentale in fase con la tensione tramite l’angolo φ1.
Andando a sostituire l’espressione del valore medio all’interno della generica definizione di fattore di potenza troviamo l’espressione del fattore di potenza in presenza di carichi non lineari.
Si noti che, maggiore è il contributo della prima armonica del segnale e minore è lo sfasamento tra tensione e corrente, più facilmente il fattore di potenza si avvicina al valore 1.
Fattore di potenza in presenza di carico lineare
Consideriamo ora il caso in cui sulla porta alla quale dobbiamo calcolare il fattore di potenza, abbiamo un carico lineare. Ci troviamo in un regime totalmente sinusoidale ovvero con sia tensione che corrente sinusoidale. In tali condizioni la corrente ha un andamento sinusoidale ma potrebbe avere ampiezza e fase diversi da quelli della tensione. Una situazione di questo tipo è mostrata nell’immagine seguente dove vediamo la corrente sfasata rispetto alla tensione di un angolo φ detto “angolo di sfasamento“.
Grafico dell’andamento di corrente e tensione sinusoidale ed angolo di sfasamento φ
In regime totalmente sinusoidale ovvero con sia tensione che corrente sinusoidale, il valore medio della potenza coincide con il prodotto dei valori efficaci di tensione e corrente.
Il fattore di potenza per carichi lineari è pari al coseno dell’angolo di sfasamento tra la tensione e la corrente efficace come mostrato nella formula seguente.
In tali condizioni il fattore di potenza ha il suo valore massimo, cioè PF = 1, quando l’angolo di sfasamento è zero ovvero tensione e corrente sono in fase. Questa condizione si verifica (idealmente) in presenza di un carico puramente resistivo.
Il fattore di potenza, in presenza di carichi lineari, assume il valore minimo, PF = 0, quando il carico è puramente reattivo (un induttore oppure un condensatore). In questo caso la corrente è sfasata rispetto alla tensione di un quarto di periodo cioè π/2 (90º), in anticipo (nel caso del condensatore) oppure in ritardo (nel caso dell’induttore).
In condizioni reali, il carico, pur assumendolo lineare, non avrà mai solo la componente resistiva ma, a causa di effetti parassiti e data la non idealità dei componenti, avrà sempre una componente reattiva e quindi sarà inferiore ad 1. Infine, in teoria, si può anche considerare un fattore di potenza negativo ma questo significherebbe che la potenza ha una direzione opposta al carico.
Cosa rappresenta il fattore di potenza?
Il fattore di potenza è una misura dell’efficienza della trasmissione di energia elettrica. Maggiore è il fattore di potenza, migliore è il trasferimento di energia dalla sorgente al carico.
Un fattore di potenza pari ad 1 significa che tutta l’energia messa a disposizione dalla sorgente è utilizzata dal carico per poter svolgere il suo lavoro ovvero la potenza apparente coincide con la potenza attiva.
Un fattore di potenza inferiore ad 1 significa che il carico utilizza solo una parte della potenza che assorbe dalla sorgente per poter svolgere il proprio lavoro. In questi casi si ha una potenza media sulla porta inferiore alla potenza istantanea ovvero la solo una parte della corrente viene utilizzata dal carico. In questi casi la potenza apparente è maggiore della potenza attiva in quanto include anche la potenza reattiva.
Un fattore di potenza alto riduce le perdite di energia nella rete, migliora l’efficienza e riduce i costi. Quando il fattore di potenza è basso, il sistema richiede più corrente per fornire la stessa quantità di potenza attiva, aumentando le perdite e i costi operativi. Nelle industrie, un basso fattore di potenza oltre ad essere inefficiente, comporta costi più alti, poiché il gestore dell’energia elettrica può applicare delle penali. Per migliorare il fattore di potenza, si utilizzano tecniche di correzione del fattore di potenza, come l’installazione di condensatori o reattanze, che riducono la componente reattiva della corrente. Pertanto, la correzione del fattore di potenza è una pratica comune per garantire un uso più efficiente e sostenibile dell’energia.