Quando si parla di corrente (ma anche di tensione) si è soliti sentire questa parola insieme ad un’altra cioè “alternata” oppure “continua”. Altre volte si può sentire parlare di “alimentazione in continua” oppure “alimentazione in alternata”.
Ma cos’è l’alternata e cosa la continua? Se ti sei fatto questa domanda allora sei nel posto giusto. Cominciamo col dire che esistono solo due tipi di corrente elettrica e sono: continua ed alternata. Nel caso della continua si è soliti utilizzare l’espressione “corrente continua” oppure la sigla c.c. in italiano (d.c. in inglese – direct current). Per l’alternata si usa l’espressione “corrente alternata” oppure la sigla c.a. in italiano (a.c. in inglese – alternate current) In questo articolo partiremo dal concetto di corrente elettrica per capire cosa si intende per alternata, cosa per continua e vedremo quali sono le differente tra questi due concetti. Ai fini del concetto di continua ed alternata, valgono le stesse considerazioni sia per la corrente che per la tensione elettrica.
Definizione di corrente elettrica
La corrente elettrica è definita come il movimento di cariche elettriche all’interno di un conduttore. La corrente elettrica rappresenta il flusso di cariche che muovendosi attraversano una superficie. Le cariche elettriche possono essere gli elettroni ovvero particelle cariche negativamente (-) oppure i protoni cioè particelle cariche positivamente (+). Il conduttore attraversato da tale flusso può essere un qualsiasi materiale solido, liquido o gassoso.
Se si considera un qualsiasi circuito, la corrente è il flusso di cariche che attraversa il cavo elettrico. Affinché si possa generare della corrente, ovvero un flusso di cariche elettriche, è necessario che tra gli estremi del conduttore vi sia una differenza di potenziale. Quando si parla di corrente elettrica si fa tipicamente riferimento al movimento degli elettroni cioè delle cariche negative. Per convenzione la direzione della corrente elettrica è quella delle cariche positive cioè opposta alla direzione di spostamento degli elettroni.
Si definisce intensità della corrente elettrica che attraversa un conduttore, la quantità di carica che attraversa una sezione del conduttore in un determinato intervallo di tempo. L’espressione matematica che descrive l’intensità di corrente è la seguente:
L’unità di misura dell’intensità di corrente è l’Ampere (A) che corrisponde a Coulomb (C) su secondi (s).
Quali sono i due tipi di corrente elettrica?
Ci sono due tipi di corrente:
corrente continua detta c.c. in italiano oppure d.c. in inglese (direct current) e
corrente alternata detta c.a. in italiano oppure a.c. in inglese (alternate current.
Entrambi i tipi di corrente elettrica indicano la presenza di un flusso di cariche. Nel caso della corrente continua, tali cariche si muovono sempre nella stessa direzione. Nella corrente alternata le cariche elettriche cambiano periodicamente direzione passando continuamente da una direzione positiva ad una negativa.
Corrente continua c.c. (direct current d.c.)
La corrente continua è un tipo di corrente che assume un valore di intensità costante nel tempo. Nel grafico seguente è mostrato l’andamento di una corrente continua (o di una tensione continua).
Dal grafico si evince che la corrente continua assume lo stesso valore in ogni istante di tempo. L’espressione della corrente continua è quindi una costante.
Un esempio di sorgente di alimentazione in grado di fornire al carico una corrente continua è la batteria.
Tuttavia esistono altre sorgenti di alimentazione continua a cui si pensa di meno ma che sono oramai molto diffuse come tutte quelle derivanti dai pannelli fotovoltaici.
I fabbricanti e coloro che mettono sul mercato dispositivi elettrici sono sempre tenuti, per legge, ad indicare sul dispositivo il tipo di alimentazione, sia in ingresso che eventualmente, in uscita. L’alimentazione in continua viene indicata dalla sigla c.c. (oppure d.c. in inglese) oppure dal simbolo seguente.
Nella corrente continua, il flusso di cariche elettriche si muove all’interno del conduttore sempre nella stessa direzione e nella stessa quantità.
Corrente alternata c.a. (alternate current a.c.)
La corrente alternata è quella corrente che assume valori di intensità diversi nel tempo. L’andamento della corrente alternata (o tensione alternata) è quello mostrato in figura.
Come si può vedere, il segnale assume il valore zero al tempo zero per poi aumentare al passare del tempo (e successivamente diminuire e di nuovo aumentare).
L’andamento della corrente alternata può essere espresso dalla equazione matematica della sinusoide ovvero:
Un esempio di sorgente di alimentazione in alternata è la presa di corrente che ci fornisce l’alimentazione di rete in alternata (230 V, 50 Hz). In tutti i dispositivi elettrici che richiedono in ingresso (o forniscono in uscita) una tensione in alternata, questa viene indicata dalla sigla c.a. (oppure a.c. in inglese) oppure dal simbolo seguente, seguito dall’informazione sulla frequenza.
Nella corrente alternata, il flusso di cariche elettriche varia continuamente direzione in ogni istante di tempo.
Come si può vedere, nella figura di cui sopra, sono indicati il valore e la tipologia di alimentazione richiesta in ingresso ed in uscita. Si può notare che in questo caso il fabbricante del dispositivo ha indicato la tipologia di tensione in ingresso ed in uscita tramite i simboli rispettivamente di corrente alternata e corrente continua.
Differenza tra corrente continua e alternata
La differenza tra corrente continua e corrente alternata è l’andamento del segnale dell’intensità di corrente che nel caso di corrente continua è costante mentre nella corrente alternata varia nel tempo.
La corrente alternata e la corrente continua presentano entrambe dei vantaggi e degli svantaggi che rendono la scelta di una tipologia di segnale, rispetto all’altro, vincolata al tipo di applicazione richiesta. Altre differenze tra corrente alternata e continua sono:
Direzione del flusso di carica elettrica. Nella corrente continua il flusso di carica è sempre nella stessa direzione mentre nella corrente alternata varia nel tempo. Nella corrente continua la variazione della direzione della carica porta a quella che è chiamata potenza reattiva ovvero un flusso di carica che non va a servire direttamente il carico ma torna parzialmente indietro, nella direzione della sorgente rendendo quindi meno efficiente la distribuzione di energia al carico.
Immagazzinamento dell’energia elettrica. A differenza della corrente alternata, la corrente continua può essere fornita al carico sfruttando dei dispositivi in grado di conservare la carica come la batteria oppure i condensatori.
Distribuzione elettrica. La distribuzione dell’energia elettrica lungo le reti nazionali ha inizio nelle centrali elettriche e viene trasportata da apposite linee per arrivare alle case o alle industrie. Le linee di distribuzione devono coprire l’intero territorio nazionale e quindi sono molto lunghe. La distribuzione dell’energia elettrica avviene tramite livelli di tensione particolarmente elevati al fine di ridurre le perdite di potenza e viene sempre effettuata con tensione alternata. Questo perché se si usasse tensione in continua la potenza dissipata sarebbe più elevata e richiederebbe conduttori con sezioni più grandi e quindi più materiale elettrico ovvero costi elevatissimi. Il vantaggio, in termini di efficienza nella distribuzione dell’energia elettrica, nell’utilizzare tensione in alternata è tale da rendere trascurabile la necessità di dover introdurre convertitori per alimentare dispositivi in continua.
Disturbi elettromagnetici. La corrente alternata, in particolar modo a frequenze elevate è spesso responsabile della generazione di disturbi elettromagnetici. Un esempio di questo è dato dagli alimentatori switching. L’utilizzo di corrente alternata è particolarmente utile ed efficiente negli alimentatori a commutazione, detti anche alimentatori switching. Questi alimentatori vengono tipicamente utilizzati per fornire corrente continua a partire da una sorgente in alternata (ma eventualmente anche in continua). L’alimentatore switching è un dispositivo elettronico in grado di regolare la tensione in uscita andando a commutare ad altissima frequenza il segnale in ingresso. Questo porta notevoli vantaggi in quanto gli alimentatori switching sono molto efficienti e di dimensioni contenute. Tuttavia, a frequenze così elevate (kHz ma anche MHz), i fronti d’onda delle tensioni e correnti alternate sono particolarmente ripidi generando elevati livelli di energia che possono facilmente portare ad interferenze elettromagnetiche. Tali interferenze possono essere tali da perturbare il normale funzionamento dei dispositivi che si trovano in prossimità dell’alimentatore, compresi il carico e l’alimentatore stesso.
Tutti i sistemi e circuiti elettrici richiedono energia elettrica per poter funzionare. Tale energia elettrica viene trasmessa da una sorgente ad un carico. La trasmissione avviene facendo uso delle tecniche e dei componenti che rientrano nell’ambito di applicazione di una disciplina denominata elettronica di potenza.
L’elettronica di potenza è un sottoinsieme dell’elettronica e gioca un ruolo fondamentale poiché la troviamo ovunque, all’interno di un dispositivo come per esempio il caricabatterie oppure nei sistemi di generazione elettrica come quelli dei pannelli solari oppure delle turbine eoliche. Ogni dispositivo elettrico richiede alimentazione per poter funzionare e l’elettronica di potenza riguarda tutti quegli aspetti che permettono all’energia elettrica di poter alimentare un qualsiasi carico.
Cosa si intende per elettronica di potenza? In questo articolo verranno presentati gli aspetti principali che riguardano l’elettronica di potenza incluso il suo significato e le sue applicazioni tipiche. Se hai sempre sentito parlare di elettronica di potenza ma non hai mai capito bene di cosa si tratta, questo articolo è quello che fa per te.
Cosa significa elettronica di potenza
L’elettronica di potenza è la disciplina che studia come gestire, elaborare e convertire l’energia elettrica. L’elettronica di potenza è quella parte dell’elettronica che riguarda di tutte quelle tecniche di progettazione circuitale che permettono, tramite l’utilizzo di componenti (di potenza) di controllare e manipolare l’energia elettrica. Obiettivo dell’elettronica di potenza è quello di far giungere in maniera controllata l’energia elettrica dalla sorgente al carico sulla base di quanto richiesto dalla stessa tipologia di carico.
Sulla base di quanto detto si può comprendere come l’elettronica di potenza riguardi quell’elettronica che si trova in una posizione intermedia tra una sorgente capace di generare dell’energia elettrica e un carico che richiede tale energia elettrica per poter funzionare. In generale, il carico, per poter funzionare non richiede soltanto dell’energia elettrica ma richiede che questa energia gli arrivi con particolari caratteristiche che sono quelle che il carico richiede per poter funzionare in maniera corretta ed efficiente.
A cosa serve l’elettronica di potenza
L’elettronica di potenza serve a garantire che l’energia elettrica che proviene da una sorgente venga trasmessa al carico che la richiede nella forma richiesta ed in maniera efficiente. L’obiettivo è quindi che il carico possa funzionare bene, come previsto e senza danneggiarsi. L’energia elettrica, infatti, dopo essere stata trasmessa dal generatore, prima di giungere al carico attraversa diverse fasi in cui viene manipolata e convertita. L’elettronica di potenza permette che l’energia elettrica giunga al carico esattamente nella forma e nelle specifiche richieste dal carico per funzionare.
Ne deriva che l’elettronica di potenza gioca un ruolo chiave nella trasmissione dell’energia con un impatto importante sulle performance e sul funzionamento di qualsiasi dispositivo o componente elettrico. I circuiti di potenza hanno inoltre un impatto importante nella progettazione dei dispositivi elettrici ed elettronici in quanto, nonostante la crescente miniaturizzazione dei singoli componenti ed integrati, rappresentano sempre quella parte del circuito più grande in termini di volume richiesto.
Applicazioni dell’elettronica di potenza
L’elettronica di potenza è presente in qualsiasi circuito elettrico che richiede di essere alimentato e quindi la troviamo praticamente ovunque, all’interno dei dispositivi elettrici che utilizziamo nella quotidianità come a valle dei grandi generatori di energia elettrica per la distruzione elettrica residenziale ed industriale.
Di seguito alcuni esempi di applicazione dell’elettronica di potenza.
Dispositivi portatili come computer, telefoni, caricabatterie, power bank
Convertitori, alimentatori da laboratorio, convertitori di potenza nelle centrali di distribuzione dell’energia elettrica
Inverter per la regolazione dell’energia elettrica all’interno di elettrodomestici come lavatrici, condizionatori ed inverter per sistemi eolici, fotovoltaici
Amplificatori radio-frequenza, raddrizzatori, etc.
Componenti e dispositivi di potenza
I principali componenti nell’ambito dell’elettronica di potenza e quindi più utilizzati nei circuiti che modulano l’energia elettrica sono componenti a semiconduttore. I componenti prevalentemente utilizzati nell’elettronica di potenza sono:
Diodo
Tiristore
Transistor bipolare BJT
Transistor ad effetto di campo MOSFET
Transistor bipolare a gate isolato IGBT
Questi componenti vengono tipicamente utilizzati, in combinazione con altri componenti, per realizzare dispositivi più complessi come:
Raddrizzatore: convertitore da alternata a continua (AC/DC). Tipicamente utilizzati per alimentare dispositivi portatili.
Inverter: convertitore da continua ad alternata (DC/AC). Utile soprattutto quando si vuole modulare in maniera efficiente la tensione alternata in uscita e la relativa frequenza.
Convertitore DC/DC: convertitore da continua a continua. La conversione del livello di tensione, più alto o più basso può essere richiesta per alimentare un circuito secondario oppure una porzione del circuito. Sono convertitori DC/DC i convertitori boost, buck-boost, split-pi.
Convertitore AC/AC: convertitore da alternata ad alternata. I valori di tensione e frequenza in uscita variano sulla base di come è realizzato il convertitore.
In ambito elettrico ed elettronico si fa spesso riferimento al valore efficace di una grandezza elettrica sia essa la corrente oppure la tensione. Chiunque si sia trovato a gestire grandi o piccoli progetti elettrici, per passione, studio o lavoro, si sarà sicuramente imbattuto in espressioni come “corrente efficace”, “tensione efficace” oppure sigle come “eff”, “rms”. Il concetto di valore efficace è utilizzato nella trattazione dei segnali periodici ovvero quando la grandezza elettrica di riferimento assume l’andamento che si ripete nel tempo ad ogni periodo di tempo. Un esempio particolare di segnale periodico è il segnale sinusoidale. Sono segnali sinusoidali tutti quelli, ad esempio, che riguardano l’alimentazione di rete. Il valore efficace (RMS) di una grandezza elettrica è tipicamente utilizzato dove, nell’ambito di un circuito in regime alternato, è necessario ed utile fare un confronto rapido con un circuito in regime di corrente continua.
In questo articolo verranno forniti e spiegati di concetti di base relativi al valore efficace, la derivazione matematica ed il significato. In ambito elettrico, così come in tantissimi altri ambiti, conoscere e capire il significato del gergo tecnico è fondamentale per poter comprendere al meglio il funzionamento atteso o previsto di un circuito e le relative specifiche da soddisfare.
Cosa si intende per valore efficace?
Si consideri una funzione periodica come la corrente / tensione alternata di rete. Il valore efficace è il valore che avrebbe un segnale costante per erogare la stessa potenza media del segnale periodico.
Consideriamo, ad esempio, un semplice circuito costituito da un generatore di tensione alternata ed un carico resistivo.
La tensione alternata che attraversa il carico fa circolare una corrente anch’essa alternata che produce una dissipazione di potenza. Considerando infatti il carico resistivo, quando la tensione attraversa il carico, si genera una potenza (P = V*I) che verrà dissipata in calore per effetto Joule. Il valore efficace di una tensione alternata è il valore che avrebbe una tensione continua per produrre la stessa potenza media nello stesso circuito (sullo stesso carico).
A partire dalla definizione stessa di valore efficace si comprende come questo sia uno strumento particolarmente utile quando, nell’analisi dei circuiti, occorre confrontare segnali in alternata (variabili nel periodo) e segnali in continua (costanti).
Definizione matematica di valore efficace (RMS)
Per definire il valore efficace occorre partire dal concetto di funzione periodica.
Una funzione periodica è una funzione che si ripete nel tempo ad intervalli definiti. Si definisce funzione periodica x(t) una funzione i cui valori nel tempo variano secondo l’equazione seguente.
dove T è chiamato periodo della funzione periodica ed indica il tempo minimo perché i valori della funzione si ripetano. Esempi di funzioni periodiche sono quelli mostrati nella figura seguente.
A partire da una generica funzione periodica si definiscono:
valore medio Xmedio nel periodo T;
valore efficace Xeff, detto anche RMS (Root Mean Square).
Il valore medio di una funzione periodica x(t) nel periodo T è definito dalla seguente formula:
Il valore medio è la media dei valori che può assumere la funzione in un periodo. La formula del valore medio equivale alla somma di tutti i valori della funzione nel periodo diviso il numero di istanti che compongono il periodo.
Il valore efficace Xeff di una funzione periodica x(t) è definito dalla seguente formula:
La formula è esattamente il significato di RMS ovvero la radice quadrata (root) della media (mean) del quadrato (square) della funzione periodica x(t). In altre parole, per ottenere il valore efficace di una funzione periodica occorre considerare dapprima il quadrato della funzione periodica (che sarà sempre una funzione positiva), calcolare la media sul periodo ed infine farne la radice quadrata.
Il significato del valore efficace risiede nella relazione che sussiste tra valore medio e valore efficace di una funzione periodica. Si ha che il valore medio del quadrato della funzione periodica è uguale al quadrato del valore efficace della stessa funzione periodica, come mostrato dalla formula seguente.
La potenza media dissipata da un circuito in alternata è la stessa che si avrebbe in un circuito in continua con corrente pari alla corrente efficace (a parità di carico). La potenza media (Pmedia)in un circuito in alternata può essere espressa dalla seguente relazione:
Valore medio e valore efficace di una funzione periodica non dipendono dal tempo ma sono semplicemente uno scalare. Il valore efficace è sempre un valore maggiore oppure uguale al valore medio.
Dimostrazione valore efficace (RMS) di una funzione sinusoidale
Si consideri una sinusoide come, ad esempio, la funzione seno s(t). La sinusoide è una funzione continua e periodica nel tempo ovvero è un segnale la cui ampiezza varia in un intervallo di tempo detto periodo e si ripete sempre nella stessa maniera. L’andamento della funzione s(t) è rappresentato nel grafico seguente.
La sinuoside s(t) è descritta dalla seguente funzione sinusoide
dove
Smax : ampiezza ovvero il massimo valore di s(t) in un periodo
ω : velocità angolare
La velocità angolare è funzione della frequenza a cui la funzione di ripete e può essere a sua volta descritta in funzione del periodo T poiché rappresenta il numero di periodi in un intervallo di tempo pari a 2π.
Andando a sostituire la formula della velocità angolare ω all’interno della funzione s(t), otteniamo quanto segue.
Vediamo ora come calcolare il valore efficace di una funzione sinusoidale quale s(t).
Sostituiamo, all’interno dell’espressione matematica del valore efficace, l’espressione generica della funzione periodica x(t) con la funzione s(t).
(1)
Il quadrato del valore di picco Smax non varia rispetto a t e quindi possiamo portarlo fuori dall’integrale.
(2)
A questo punto possiamo sostituire il quadrato del seno con la relativa espressione presa dalle identità trigonometriche e mostrata di seguito.
(3)
Sostituiamo la formula in (3) all’interno dell’equazione (2).
(4)
Risolviamo l’integrale tenendo presente che:
(5)
e che:
(6)
risulta:
(7)
Infine andiamo a sostituire la (7) nella (4). Ne deriva che la formula del valore efficace (valore RMS) di una funzione sinusoidale è la seguente:
Il valore efficace di una funzione sinusoidale è quindi pari a 0,7071 volte l’ampiezza del segnale.
Quando si utilizza il valore efficace?
Il valore efficace di una funzione periodica si utilizza per poter confrontare agilmente la potenza erogata da un circuito in alternata con quella in un circuito in continua. Il contenuto di energia di un segnale periodico varia nel tempo poiché la stessa funzione periodica varia. In questo contesto riferirsi al valore efficace facilita il paragone tra la potenze di circuiti con sorgenti diverse.
Nella pratica, in tutti i contesti in cui è presente un segnale in alternata, ci si riferisce sempre, per convenzione, al valore efficace di quel segnale. Ad esempio sappiamo che nella nostra rete elettrica residenziale viene fornita una tensione di 230 V. Questi 230 Volt sono il valore efficace della tensione. Se ne deduce che la tensione di alimentazione residenziale fornita dal distributore di energia elettrica è un segnale sinusoidale con ampiezza di circa 325 V (230*0,7071), frequenza di 50 Hz e valore efficace di 230 V.
Tutti gli strumenti di misura in ambito elettrico che analizzano segnali in alternata forniscono sempre il valore efficace del segnale. In tutte le norme tecniche, anche laddove non specificato, quando ci si riferisce a segnali in alternata, il valore che viene indicato è sempre un valore efficace.
I sistemi di energia elettrica nelle reti di distribuzione sono classificati in sistemi monofase e trifase. I sistemi monofase e trifase svolgono un ruolo cruciale nel fornire elettricità dalle centrali di generazione agli utenti finali, siano essi residenziali, commerciali o industriali.
I sistemi monofase e trifase differiscono significativamente sotto diversi aspetti come quelli realizzativi e di utilizzo ma entrambi hanno in comune di essere utilizzati per l’erogazione dell’energia elettrica. I sistemi monofase, comunemente presenti negli ambienti residenziali, forniscono energia a quelle utenze che richiedono livelli di potenza contenuti. Al contrario, i sistemi trifase sono parte integrante dell’industria pesante e leggera in quanto permettono la distribuzione efficiente di elevati livelli di potenza, tipicamente richieste da questo tipo di utenze.
Questo articolo mette in luce la differenza tra monofase e trifase, esaminandone le configurazioni elettriche, i meccanismi di erogazione dell’energia, l’efficienza e i casi d’uso tipici.
Cosa si intende per monofase?
Un sistema elettrico monofase è un tipo di sistema di alimentazione a corrente alternata basato su una forma d’onda che varia nel tempo in maniera sinusoidale.
Ecco alcuni aspetti chiave e usi dei sistemi monofase:
Definizione. Il sistema monofase è un sistema di distribuzione dell’energia elettrica in corrente alternata a singola fase ovvero dotato di un unico conduttore attivo.
Fasi: Il sistema monofase è costituito da una singola fase e due conduttori: il conduttore di fase ed il conduttore di neutro. Quando il sistema monofase è alimentato, il conduttore di fase è attraversato da una tensione e quindi una corrente alternata che può essere rappresentata da una forma d’onda sinusoidale. L’intensità della corrente dipende dalla potenza richiesta dal carico.
Tensione. Il conduttore di fase del sistema monofase è attraversato da una tensione di ampiezza pari a circa 230 V e frequenza costante di 50 Hz e trasmette la corrente al carico ad esso collegato. Il conduttore di neutro è a potenziale nullo ed ha la funzione di chiudere il circuito che alimenta il carico facendo passare la corrente di ritorno.
Applicazione. Il sistema monofase è tipicamente utilizzato per distribuire alimentazione elettrica ad applicazioni residenziali, commerciali o dell’industria leggera, dove il carico totale è relativamente basso ovvero la potenza richiesta ha valori contenuti.
Vantaggi: la progettazione e l’implementazione dei sistemi monofase sono piuttosto semplici poiché richiedono unicamente di collegare il conduttore di fase e quello di neutro. I sistemi di distribuzione elettrica monofase sono per questo facili da installare e manutenere e quindi convenienti per ambiti residenziali a bassa richiesta di potenza.
Cosa si intende per trifase?
Un sistema elettrico trifase è un tipo di sistema di alimentazione a corrente alternata ampiamente utilizzato per la generazione, la trasmissione e la distribuzione di energia elettrica.
E’ tipicamente destinato alla fornitura di energia in ambienti industriali e commerciali.
Ecco gli aspetti chiave e gli utilizzi dei sistemi trifase:
Definizione. Il sistema trifase è un sistema di generazione, trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica alternata trifase ovvero dotata di tre conduttori attivi.
Fasi. Il sistema trifase è costituito da tre fasi e può essere realizzato tramite almeno tre conduttori. Nel sistema trifase sono sempre presenti tre conduttori attivi, uno per ogni fase, ed eventualmente un conduttore di neutro. La presenza del conduttore di neutro dipende dal tipo di sistema trifase. Nel caso di sistema trifase simmetrico ed equilibrato, il neutro non viene utilizzato in quanto inutile poiché la corrente che vi circolerebbe sarebbe nulla.
Tensione. Ogni conduttore di fase è attraversato da una tensione di 230 V. Tra le fasi è presente una tensione di 400 V pari a √3 volte la tensione tra fase e neutro (230 * 1,732 ≈ 400). Esistono diversi tipi di sistema trifase, il più diffuso è quello bilanciato. Nel sistema trifase bilanciato le fasi sono sincronizzate e sfasate tra loro di 120º. Questo sfasamento permette che in ogni istante sia possibile erogare potenza elettrica stabilmente.
Applicazione. Il sistema trifase è tipicamente utilizzato nella generazione, trasmissione e distribuzione di energia elettrica. Il sistema trifase è utilizzato in combinazione con generatori per la parte di generazione elettrica, trasformatori che elevano la tensione per la trasmissione sulle linee a grandi distanze ed infine trasformatori che abbassano la tensione e la riportano ai valori stabiliti per gli utilizzatori di 230 V tra fase-neutro, 400 V tra fase-fase.
Vantaggi. i sistemi trifase forniscono un trasferimento di potenza costante al carico, sono adatti a realizzare un’efficiente distribuzione dell’energia su lunghe distanze. A partire da questi aspetti i sistemi trifase sono essenziali per le applicazioni industriali e commerciali grazie alla loro capacità di fornire grandi quantità di energia in modo efficiente e affidabile.
Qual è la differenza tra monofase e trifase?
La differenza principale tra monofase e trifase risiede nella configurazione, nell’erogazione di potenza, nell’efficienza e nelle applicazioni tipiche. Ecco un confronto dettagliato:
Erogazione di potenza:
Monofase: adatto per applicazioni a bassa potenza.
Trifase: adatto per applicazioni di potenza più elevata e più efficiente su lunghe distanze.
Installazione e costi:
Monofase: più semplice ed economico da installare.
Trifase: più complesso e costoso da installare ma offre vantaggi in termini di efficienza a lungo termine.
Efficienza:
Monofase: meno efficiente, soprattutto su lunghe distanze.
Trifase: più efficiente, con erogazione di potenza più fluida ai macchinari pesanti.
Utilizzo:
Monofase: residenziale ed industria leggera.
Trifase: Industriale ed industria leggera (es. officine).
Conduttore di neutro:
Monofase: il neutro nel sistema monofase è fondamentale perché serve a creare un percorso di ritorno per la corrente che arriva al carico attraverso il conduttore di fase. Il conduttore di neutro permette infatti di chiudere il circuito che trasmette potenza al carico.
Trifase: il neutro serve a creare un percorso di ritorno per la corrente di squilibrio nel sistema trifase squilibrato. In questo caso il neutro del carico è posto allo stesso potenziale del neutro del trasformatore a monte, permettendo di ristabilire la simmetria tra le tensioni di linea. Qualora il sistema sia equilibrato, il conduttore di neutro non ha alcuna utilità.
In sintesi, l’energia elettrica monofase è ideale per uso residenziale e commerciale leggero grazie alla sua semplicità e ai costi inferiori. Al contrario, l’energia elettrica trifase è preferita per le applicazioni industriali e commerciali di grandi dimensioni dove l’efficienza, una maggiore capacità di potenza ed una erogazione più fluida sono cruciali.
Quando conviene il trifase?
In molteplici applicazioni è tipicamente utilizzato il sistema trifase. Di seguito i principali contesti in cui si predilige esclusivamente il sistema trifase:
Trasmissione di potenzasu linee elettriche. La trasmissione di potenza dalla sorgente, come da esempio una centrale idroelettrica, all’utilizzatore, richiede che la corrente percorra lunghe distanze. Proprio in virtù di queste distanze, diviene importante prendere in considerazione diversi fattori quali ad esempio il costo dei materiali per realizzare le linee elettriche. A parità di potenza richiesta dal carico, rispetto al sistema monofase, nel sistema trifase questa potenza è distribuita su tre cavi e questo permette di utilizzare dei cavi più sottili con minore dissipazione per effetto Joule e generalmente più facili da installare, gestire e manutenere. Il sistema monofase richiede 2 cavi (fase + neutro) mentre il sistema trifase richiede minimo 3 cavi (3 fasi + eventuale neutro). Nonostante necessiti un cavo in più è possibile dimostrare che un sistema trifase richiede circa un quarto di volume di rame in meno rispetto al sistema monofase per poter fornire ad un carico una determinata potenza. Questo permette indirettamente anche di ridurre i costi di manutenzione poiché cavi con sezioni inferiori richiedono collegamenti e componenti più semplici e garantiscono maggiore affidabilità.
Erogazione fluida di potenza. Nel caso del sistema monofase, considerando che abbiamo una sola fase, abbiamo che la tensione attraversa lo zero 50 volte al secondo, considerando in Europa la frequenza dell’alimentazione di rete di 50 Hz. Questo può sembrare un aspetto trascurabile ed in effetti lo è finché l’energia richiesta dal carico è ridotta. In presenza invece di carichi elevati, questi buchi di tensione / corrente possono portare a bruschi e ripetuti arresti nel funzionamento del carico che si traduce in inefficienza, aumentato rumore / vibrazioni (ad esempio per organi meccanici mobili in continuo arresto e ripristino) e maggiore possibilità di guasto. Nei sistemi trifase le tre fasi sono sfasate tra loro quindi quando una fase attraversa lo zero, le altre saranno in un punto diverso della sinusoide ed il carico quindi sarà meno influenzato dall’attraversamento dello zero di una singola fase in quanto potrà assorbire sempre un livello di potenza costante. Maggiore è il carico ed il relativo assorbimento di potenza, maggiore questo aspetto è rilevante in termini di efficienza e di affidabilità del circuito nel suo complesso.
Motori elettrici ad alta potenza. I motori ad alta potenza ovvero quelli che vedono movimentare carichi importanti come avviene solitamente nell’industria sono quasi esclusivamente alimentati da sistemi trifase. Questo avviene da una parte perché è necessario avere una erogazione della potenza fluida ma anche perché in questo caso si ha una semplificazione importante dal punto di vista progettuale. In un sistema trifase infatti, essendo le tre fasi sfasate tra loro di 120º, si crea un campo magnetico rotante che induce delle correnti nel rotore, si genera una coppia che quindi permette una rotazione costante in una specifica direzione. Al contrario, un motore alimentato da un sistema monofase, richiede che venga creato uno sfasamento nell’avvolgimento secondario per poter innescare il movimento rotativo. L’avvio di un motore monofase tipicamente si realizza con un condensatore oppure tramite un controllo di potenza elettronico a monte del motore monofase. Nel caso di motori elettrici ad alta potenza l’utilizzo di sistemi trifase semplifica notevolmente il progetto in quanto non occorre includere circuiti per l’avvio del motore.
Monofase Vs trifase in breve
La differenza tra monofase e trifase risiede negli aspetti realizzativi e nella destinazione d’uso dei singoli sistemi.
I sistemi monofase sono più semplici e sufficienti per applicazioni residenziali e commerciali leggere, mentre i sistemi trifase forniscono maggiore efficienza, stabilità ed erogazione di potenza, rendendoli essenziali per applicazioni industriali e commerciali di grandi dimensioni. La scelta tra monofase e trifase dipende dai requisiti di potenza, da considerazioni sull’efficienza e dalle esigenze applicative specifiche.
I trasformatori sono componenti fondamentali per la trasmissione e la distribuzione efficiente dell’energia elettrica. Consentono la fornitura efficiente di elettricità su lunghe distanze, l’isolamento tra i circuiti e la regolazione della tensione per varie applicazioni. In questo articolo verranno presentati i principi di funzionamento ed i diversi tipi di trasformatore.
Cos’è il trasformatore
Il trasformatore è un componente elettrico passivo che trasferisce l’energia elettrica da un circuito ad un altro attraverso l’effetto dell’induzione elettromagnetica. In quanto componente passivo, la potenza erogata al circuito a valle sarà inferiore a quella ricevuta poiché una parte dell’energia elettrica verrà dissipata, ad esempio in calore (effetto Joule). Il trasformatore è quindi una macchina elettrica statica ovvero un dispositivo in grado di convertire un tipo di energia elettrica in ingresso, in questo caso una tensione alternata, in un tipo diverso cioè una tensione alternata con un valore diverso. È definita “statica” data l’assenza di elementi mobili.
Il trasformatore si comporta a tutti gli effetti come un doppio bipolo costituito da due porte, una di ingresso ed una di uscita che permette il trasferimento di potenza senza che i relativi circuiti siano fisicamente collegati tra loro.
Come è fatto il trasformatore
Il trasformatore è costituito da un nucleo, tipicamente di materiale ferromagnetico, attorno al quale ci sono degli avvolgimenti. Gli avvolgimenti sono separati tra loro ed isolati dal nucleo in maniera tale da evitare situazioni di corto circuito.
Gli elementi di cui è fatto il trasformatore sono:
Avvolgimenti: gli avvolgimenti primari e secondari sono realizzati in filo di rame o alluminio.
Nucleo: il nucleo magnetico aiuta a concentrare il campo magnetico e migliorare l’efficienza. Il nucleo di un trasformatore tipicamente può essere realizzato a colonne oppure a mantello.
Isolamento: garantisce che gli avvolgimenti e il nucleo non vadano in cortocircuito. L’isolamento di un trasformatore è tipicamente realizzato a secco in aria, a secco in resina oppure in olio minerale.
Involucro: protegge i componenti interni dai fattori ambientali.
Una considerazione in più riguarda il nucleo del trasformatore che fisicamente è realizzato tramite la sovrapposizione di lamerini metallici come mostrato nella figura seguente.
I lamerini sono sovrapposti tra loro e separati da uno strato isolante. Hanno uno spessore che tipicamente varia tra 0,2 mm e 0,5 mm dipendentemente dalla frequenza a cui si vuol far lavorare il trasformatore. Questa modalità costruttiva serve a ridurre lo svilupparsi di correnti parassite sugli avvolgimenti.
Simbolo trasformatore
Il simbolo del trasformatore in accordo ad IEC 60417 è mostrato nella figura seguente
Tipicamente però i vari programmi CAD per redigere gli schemi elettrici realizzano il trasformatore con il simbolo seguente.
Di seguito un estratto da uno schema elettrico dove è possibile notare il simbolo del trasformatore ed attorno allo stesso le relative informazioni.
Dall’immagine si può notare come all’interno di uno schema elettrico vengano tipicamente riportati i valori della tensione sul primario (in questo caso 400 V) e quelli sul secondario (200 V) oltre al valore di potenza nominale e le connessioni di terra.
In letteratura, ed in particolare nell’ambito dell’analisi dei circuiti si è soliti fare riferimento al trasformatore ideale. Il simbolo del trasformatore ideale è mostrato di seguito.
Il trasformatore ideale è un concetto puramente teorico ovvero si considera il comportamento del trasformatore e si escludono imperfezioni dei materiali o fenomeni parassiti presenti nella realtà.
Come funziona un trasformatore
Consideriamo un trasformatore monofase in cui il circuito primario è alimentato da una tensione alternata mentre il circuito secondario è collegato un carico che per semplificare considereremo lineare. Il funzionamento del trasformatore può essere descritto schematicamente come di seguito:
la corrente alternata (quindi variabile nel tempo) che circola sull’avvolgimento primario genera un campo magnetico variabile.
le linee di flusso del campo magnetico generatosi nel circuito primario provocheranno una variazione nel campo magnetico del vicino avvolgimento secondario ovvero una forza elettromotrice (fem).
La forza elettromotrice presente nel secondario porta ad un flusso di corrente sul carico collegato.
Nella figura seguente viene mostrata la distribuzione del flusso magnetico generato nell’avvolgimento primario ed indotto nell’avvolgimento secondario.
Come mostrato in figura, il flusso magnetico generatosi nel primario si sviluppa in due componenti che sono:
flusso magnetico principale: all’interno del nucleo ed attraverso entrambi gli avvolgimenti
flusso magnetico di dispersione: parzialmente all’interno del nucleo e parzialmente in aria attraverso l’avvolgimento primario oppure l’avvolgimento secondario.
Il funzionamento del trasformatore viene anche rappresentato attraverso le equazioni caratteristiche del trasformatore ideale ovvero le relazioni che sussistono tra tensione in ingresso ed uscita e tra corrente in ingresso ed uscita, valide nel caso (non reale) in cui trascuriamo l’effetto di perdite dovute alle caratteristiche dei materiali, dell’isolamento, effetti parassati etc.
Le equazioni caratteristiche del trasformatore ideale sono le seguenti:
Il funzionamento del trasformatore è quindi idealmente descritto dalla proporzionalità tra tensione di ingresso e quella di uscita e tra la corrente di ingresso e quella di uscita. Tale proporzionalità dipende dal rapporto tra il numero di spire sul primario e quello sul secondario. Il funzionamento del trasformatore ideale dipende dal numero di spire e sono possibili tre casi:
N1=N2; l’avvolgimento primario e quello secondario hanno lo stesso numero di spire. In questo caso la tensione in uscita dal trasformatore ha lo stesso valore della tensione in ingresso.
N1>N2; l’avvolgimento primario ha più spire di quello secondario. La tensione in uscita ha un valore inferiore a quella in ingresso mentre la corrente in uscita sarà minore di quella in ingresso.
N1<N2; l’avvolgimento primario ha meno spire di quello secondario. La tensione in uscita ha un valore superiore a quella in ingresso mentre la corrente in uscita sarà maggiore di quella in ingresso.
Da queste considerazioni si può dedurre che la potenza assorbita sul primario (V1(t)*i1(t)) è uguale alla potenza assorbita sul secondario (V2(t)*i2(t)). Questo significa che, in condizioni ideali, il trasformatore è in grado di trasferire tutta la potenza del primario sul secondario, indipendentemente dal numero di spire. Al variare del rapporto tra numero di spire su primario e secondario, la tensione e la corrente in uscita cambieranno ma il loro rapporto sarà sempre identico.
Infine occorre ricordare che il flusso magnetico si genera a causa della variazione di corrente nel tempo (corrente alternata) e quindi, nel caso di corrente continua non si ha nessun trasferimento di potenza dal primario al secondario.
Tipi di trasformatore
I trasformatori si distinguono sulla base del loro funzionamento, modalità realizzativa ed in generale sulla base livelli dei tensione fornita in uscita rispetto al livello di tensione in ingresso.
Ecco alcune delle principali tipologie di trasformatori elettrici.
Trasformatore elevatore (trasformatore step-up)
Funzione: aumenta la tensione dall’avvolgimento primario a quello secondario. Questo viene garantito attraverso un numero di spire sul secondario maggiore rispetto a quelle sul primario.
Applicazione: utilizzato nelle centrali elettriche per aumentare la tensione per la trasmissione su lunghe distanze. Aumentare la tensione spesso è utile per la distribuzione di energia elettrica in quanto aumentando la tensione si diminuisce la corrente corrente e quindi si può ridurre la sezione dei cavi utilizzati.
Trasformatore abbassatore (trasformatore di step-down)
Funzione: diminuisce la tensione dalla bobina primaria a quella secondaria. Questo viene garantito attraverso un numero di spire sul primario maggiore rispetto a quelle sul secondario.
Applicazione: abbassa la tensione per un utilizzo sicuro nelle case e nelle aziende dopo la trasmissione. Tipicamente utilizzato per portare la tensione al valore desiderato per l’applicazione specifica.
Trasformatore di isolamento
Funzione: fornisce isolamento elettrico tra i circuiti primario e secondario senza modificare i livelli di tensione.
Applicazione: Garantisce la sicurezza dei circuiti a valle assicurando la stessa potenza dell’avvolgimento in ingresso. Utilizzato principalmente in tutte quelle applicazioni in cui si vuole garantire l’isolamento galvanico tra parti diverse del circuito come ad esempio nei dispositivi medici.
Autotrasformatore
Funzione: utilizza un singolo avvolgimento che funge sia da primario che da secondario, con una presa per regolare la tensione. A seconda di dove è posizionata la presa, varia il numero di spire sul secondario e quindi si può realizzare un autotrasformatore elevatore od abbassatore. Nel caso la presa sia variabile e quindi è possibile impostare la tensione in uscita andando a modificare il numero di spire, l’autotrasformatore prende il nome di Variac.
Applicazione: utilizzato nella regolazione della tensione e per applicazioni che richiedono leggere regolazioni della tensione.
Trasformatore di potenza
Funzione: trasferire la potenza dal primario al secondario. I trasformatori sono denominati di potenza tipicamente per distinguerli da altri trasformatori con applicazioni specifiche come quelli di misura.
Applicazione: utilizzato nelle reti di trasmissione elettrica per aumentare o diminuire le alte tensioni e gestire potenze elevate.
Trasformatore di misura
Funzione: include trasformatori di tensione e trasformatori di corrente e servono per la misurazione dei parametri elettrici.
Applicazione: tipicamente utilizzati quando i valori di tensione e corrente da misurare sono molto elevati come nelle linee di distribuzione elettrica. Nel trasformatore di tensione il primario viene collegato ai punti su cui si vuole misurare la tensione mentre il secondario viene collegato ad un Voltmetro. Nel trasformatore di corrente il primario viene collegato in serie al circuito su cui si vuole misurare la corrente mentre il secondario viene collegato ad un Amperometro. I trasformatori di misura vengono progettati sulla base della portata dello strumento cui sono collegati che generalmente è inferiore ai valori elettrici che si vuole misurare.
Trasformatore monofase
Funzione: Progettato per sistemi di alimentazione monofase.
Applicazione: comunemente utilizzato in applicazioni residenziali e piccole imprese.
Trasformatore trifase
Funzione: Progettato per funzionare con sistemi di alimentazione trifase.
Applicazione: utilizzato nella distribuzione di energia industriale e commerciale di grandi dimensioni.
Trasformatore a olio
Funzione: utilizza olio per il raffreddamento e l’isolamento. L’olio è solitamente olio minerale e serve a dissipare il calore.
Applicazione: comune in applicazioni ad alta potenza e impianti industriali. Viene utilizzato in tutte quelle situazioni in cui le potenze in gioco creano della dissipazione di calore importante che potrebbe danneggiare il trasformatore stesso e quindi l’olio serve ad aiutare la dissipazione del calore e preservare il funzionamento del trasformatore.
Trasformatore a secco
Funzione: utilizza l’aria per il raffreddamento e l’isolamento, senza olio.
Applicazione: adatto per installazioni interne, edifici commerciali e aree sensibili dal punto di vista ambientale. Tipicamente utilizzato nella maggior parte delle applicazioni in cui i valori di potenza da trasferire sono contenuti.
Il trasformatore elettrico: spiegazione semplice
Il trasformatore è un dispositivo elettrico progettato per trasferire energia elettrica tra due o più circuiti attraverso l’induzione elettromagnetica. È costituito da bobine (avvolgimenti) primarie e secondarie avvolte attorno ad un nucleo magnetico.o progettato per trasferire energia elettrica tra due o più circuiti attraverso l’induzione elettromagnetica. È costituito da bobine (avvolgimenti) primarie e secondarie avvolte attorno ad un nucleo magnetico. I trasformatori possono aumentare (trasformatore elevatore) o diminuire (trasformatore abbassatore) i livelli di tensione in ingresso a seconda del numero di spire di cui sono dotati gli avvolgimenti. Il trasformatore elettrico è impiegato perchè permette la distribuzione efficiente di elettricità su lunghe distanze, l’isolamento tra i circuiti e la regolazione della tensione per varie applicazioni nelle reti elettriche, nei dispositivi elettronici e nei macchinari industriali.
Il sistema trifase è costituito da una sorgente di energia collegata ad un carico attraverso delle linee di trasmissione. Rappresenta una modalità economica ed efficiente di trasmettere potenza elettrica tra grandi distanze. Il sistema trifase è alla base della trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica e garantisce quindi che l’elettricità possa essere sfruttata da tutti quotidianamente. In questo articolo vengono presentati i principi su cui si basano i sistemi trifase, esplorandone i principi operativi, i vantaggi che offrono e il ruolo critico che svolgono in varie applicazioni.
Cosa è il sistema trifase?
Il sistema trifase è un tipo di trasmissione e distribuzione di energia elettrica in cui tre conduttori trasportano tre correnti alternate sfasate tra loro. Questa disposizione è comunemente utilizzata in applicazioni industriali e commerciali grazie alla sua efficienza e capacità di gestire carichi ad alta potenza.
Il sistema trifase è composto da:
tre generatori indipendenti di tensione alternata e che insieme costituiscono un alternatore;
tre conduttori ovvero tre cavi che fungono da collegamento tra generatori e carico attraverso dei trasformatori;
tre carichi ovvero una impedenza per ciascuna linea di alimentazione.
In un sistema trifase, l’energia viene trasmessa utilizzando tre conduttori ognuno dei quali conduce una forma d’onda sinusoidale di corrente alternata. Ogni sinusoide è sfasata rispetto all’altra di 120 gradi pari ad un terzo del ciclo.
Questo sfasamento di 120° garantisce un’erogazione di potenza più costante e regolare rispetto ai sistemi monofase. I sistemi trifase sono usati per fornire energia a carichi importanti come edifici, impianti industriali ed apparecchiature elettriche che richiedono elevata potenza.
Come funziona il sistema trifase?
In un sistema trifase, l’elettricità viene generata, trasmessa e distribuita utilizzando tre conduttori. Ogni conduttore trasporta una forma d’onda di corrente alternata che è sfalsata nel tempo di un terzo del suo ciclo (120 gradi) rispetto alle altre. Questa disposizione consente un’erogazione di potenza più continua ed equilibrata rispetto ai sistemi monofase.
Ecco come funziona un sistema trifase:
Generazione: l’elettricità viene generata nelle centrali elettriche utilizzando generatori. Nella generazione di energia trifase, all’interno del generatore vengono utilizzati tre avvolgimenti separati, ciascuno dei quali produce una forma d’onda di corrente alternata. Questi avvolgimenti sono fisicamente separati da un angolo elettrico di 120 gradi, garantendo che le correnti generate siano sfasate tra loro.
Trasmissione: una volta generata, l’elettricità viene trasmessa su lunghe distanze attraverso linee elettriche o cavi per raggiungere sottostazioni e centri di distribuzione. In un sistema di trasmissione trifase, le fasi sono trasportate da conduttori separati. Le linee di trasmissione sono progettate per gestire le tre fasi contemporaneamente, consentendo un efficiente trasferimento di potenza.
Distribuzione: nelle sottostazioni, l’elettricità ad alta tensione viene ridotta a tensioni più basse adatte alla distribuzione a case, aziende e industrie. A questo scopo vengono utilizzati i trasformatori. L’energia trifase viene poi distribuita ai consumatori attraverso linee elettriche e reti di distribuzione.
Utilizzo: in varie applicazioni, i dispositivi e i macchinari elettrici sono progettati per utilizzare l’alimentazione trifase. Ad esempio, i motori a induzione trifase sono comunemente utilizzati in ambienti industriali per la loro efficienza, affidabilità e capacità di gestire carichi ad alta potenza. Questi motori si affidano al campo magnetico rotante prodotto dalle correnti trifase per generare coppia e azionare sistemi meccanici.
Nel complesso, il principio chiave alla base del funzionamento di un sistema trifase è l’erogazione equilibrata e continua di potenza attraverso tre conduttori separati, ciascuno dei quali trasporta una forma d’onda di corrente alternata sfasata rispetto agli altri. Questa disposizione consente una generazione, una trasmissione e un utilizzo efficienti dell’energia in un’ampia gamma di applicazioni.
Che tensione ha un sistema trifase?
Le tensioni di un sistema trifase sono di 400 V tra fase e fase mentre sono di 230 V tra fase e neutro. Questo è valido in Europa dove la frequenza di ogni fase è di 50 Hz.
Quando si parla di tensione in un sistema trifase ci si riferisce alla tensione di picco dell’onda sinusoidale. La frequenza di tale tensione è di 50 Hz (in Europa) e questo significa che il periodo dell’onda sinusoidale ovvero il tempo che l’onda impiega per compiere un ciclo completo prima di ripetersi è pari a 0,02 secondi.
In un sistema trifase, quindi, se andiamo a misurare il valore della tensione alternata tra le fasi questo sarà pari a 400 V. Se misuriamo il valore di tensione alternata tra una qualsiasi delle fasi ed il conduttore di neutro allora vedremo una tensione di 230 V. Questo sistema permette quindi di poter distribuire anche una tensione di 230 V semplicemente derivando un conduttore di fase ed un conduttore di neutro da un sistema trifase. La tipica distribuzione elettrica in uso in ambiente residenziale può quindi derivata da quella trifase.
Collegamento a stella e a triangolo in un sistema trifase
La connessione all’interno di un sistema trifase può essere effettuata attraverso due tipi di collegamento: collegamento a stella e collegamento a triangolo.
Il tipo di collegamento indica la maniera in cui i generatori a monte oppure i carichi a valle sono collegati nel sistema trifase. Il carico di ciascuna linea viene rappresentato in maniera generica come un’impedenza.
Collegamento a stella
Nel collegamento a stella le tre impedenze sono collegate tra ciascuna linea ed il neutro. Ogni terminale risulta quindi connesso ad uno stesso punto detto “punto stella”. In questo tipo di circuito la corrente entrante in ciascuna linea, attraversa l’impedenza e si somma, in uscita, sul conduttore di neutro.
Il collegamento a stella richiede in totale 4 conduttori di cui 3 conduttori di fase ed un conduttore di neutro. Il collegamento a “stella” è indicato anche con il simbolo “Y” (wye).
Collegamento a triangolo
Nel collegamento a triangolo, le tre impedenze sono collegate ognuna tra una coppia di fasi diversa. Si crea quindi una maglia tra le 3 fasi che sono connesse tra loro risultando in un triangolo.
Il collegamento a triangolo non richiede il conduttore di neutro e quindi ha in totale 3 conduttori ovvero i conduttori di fase. Il collegamento a “triangolo” è indicato anche con il simbolo “Δ” (delta).
Quali sono i vantaggi di un sistema trifase?
I principali vantaggi del sistema trifase sono:
Elevata potenza. I sistemi trifase possono trasmettere più potenza rispetto ai sistemi monofase a parità di corrente, rendendoli adatti a carichi elettrici importanti come quelli presenti negli ambienti industriali.
Erogazione di potenza costante. Il sistema trifase garantisce una erogazione fluida e costante di potenza al carico. La natura sovrapposta delle forme d’onda trifase si traduce in un flusso di potenza continuo ed equilibrato, riducendo le fluttuazioni di tensione e migliorando la stabilità.
Efficienza. I motori e le apparecchiature trifase sono generalmente più efficienti dei loro omologhi monofase. Utilizzano meno materiale conduttore per la stessa potenza erogata e hanno migliore efficienza energetica.
Questi vantaggi rendono i sistemi trifase particolarmente adatti per applicazioni in cui affidabilità, efficienza e potenza elevata sono fondamentali. Tale efficienza porta indirettamente a bassi costi di gestione ed implementazione degli impianti poichè i costi legati ai materiali sono inferiori se paragonati a quelli che richiederebbe un sistema monofase per erogare la stessa potenza.
Il sistema monofase si riferisce a un sistema di alimentazione elettrica che utilizza solo una forma d’onda per tensione e corrente alternata. La maggior parte dei sistemi elettrici residenziali e commerciali di piccole dimensioni sono monofase, mentre i sistemi commerciali e industriali più grandi utilizzano spesso l’alimentazione trifase. Nella quotidianità, l’energia elettrica che utilizziamo nei nostri uffici e nelle nostre case è del tipo monofase. In questo articolo andiamo ad vedere cosa si intende per sistema monofase.
Cosa è e cosa si intende per monofase?
Il sistema monofase è un sistema di distribuzione dell’energia elettrica a corrente alternata caratterizzato da un unico conduttore attivo detto “fase” ed un altro conduttore detto “neutro”. L’insieme di questi due conduttori, fase e neutro, è sufficiente per costituire il sistema monofase. In un sistema monofase il cavo di fase è quello responsabile di erogare la potenza che viene dalla sorgente di energia al carico mentre, il cavo di neutro serve a creare un percorso per la corrente di ritorno.
Come si vede dallo schema semplificativo mostrato nella figura sopra, il cavo di fase è responsabile di trasmettere la potenza elettrica al carico e per questo è considerato un conduttore attivo, il cavo di neutro, invece, è a potenziale nullo necessario per chiudere il circuito.
Caratteristiche del sistema monofase
Nel sistema monofase tensione e corrente presentano lo stesso identico andamento a singola forma d’onda sinusoidale.
La forma d’onda della tensione alternata ha un andamento come quello mostrato in figura caratterizzato da un ampiezza ed un periodo ben definiti. La tensione (lo stesso vale per la corrente) oscilla raggiungendo sempre lo stesso massimo che è rappresentato dall’ampiezza del segnale sinusoidale. La tensione raggiunge il massimo sempre ad intervalli regolari ovvero ad ogni periodo. L’unità di misura del periodo è il tempo che, tipicamente, viene misurato in secondi. Per caratterizzare l’andamento della tensione alternata, si utilizza il parametro della frequenza che è l’inverso del periodo.
Nei sistemi di distribuzione elettrica europei, l’ampiezza della tensione è stabilita a 220 V (con possibili piccole oscillazioni dovute a disturbi di rete) e la frequenza è 50 Hz. Questo significa che per convenzione è stato stabilito che un sistema monofase, in Europa, fornisca una tensione alternata che ha un valore massimo di 220 V (circa) e frequenza di 50 Hz, ovvero il valore di massimo (220 V) si ripete ogni 0,02 secondi (1/50).
Il sistema monofase: vantaggi e svantaggi
Tipicamente nella distribuzione dell’energia elettrica, il sistema monofase è ottenuto a partire dal sistema trifase da cui se ne deriva una delle tre fasi. Il sistema monofase è particolarmente utile per le piccole utenze dove i carichi che occorre sostenere sono piuttosto ridotti. Lo svantaggio dei sistemi monofase risiede nel fatto che la potenza erogata, data la natura sinusoidale della forma d’onda, ha degli istanti in cui è zero. Questo significa che si verificano dei buchi di tensione che rendono questo tipo di distribuzione inefficiente e non adatta a sostenere grandi carichi. Gli svantaggi di un sistema monofase sono essenzialmente dovuti all’incapacità di poter sostenere grandi potenze e quindi le necessità dell’industria pesante. Nell’industria, le limitazioni di un sistema monofase sono superate utilizzando un sistema trifase ovvero dotato di tre conduttori attivi.
Il potenziometro è un componente presente in innumerevoli dispositivi, dalle semplici apparecchiature audio ai complessi macchinari industriali. Il potenziometro funziona come un resistore variabile che permette di regolare la tensione che fluisce a valle dello stesso. In questo articolo approfondiamo il mondo dei potenziometri, facendo luce su cosa sono, come funzionano, i vari tipi disponibili e le loro applicazioni.
Cos’è il potenziometro?
Il potenziometro è un resistore variabile dotato di un contatto mobile, che consente la regolazione di tale resistenza e quindi della tensione ai sui capi all’interno di un circuito. Questa caratteristica di regolazione rende il potenziometro particolarmente utile negli scenari in cui è richiesto un controllo del livello di tensione.
Il potenziometro è un componente che trasforma la grandezza al suo ingresso, ovvero la tensione, e fornisce in uscita una tensione ad un livello diverso. Il potenziometro è quindi un trasduttore che al variare del valore della resistenza al suo interno, modula il valore della tensione in ingresso. Per ogni singola posizione che può assumere il contatto mobile, il potenziometro si comporta come un partitore di tensione.
Che si tratti di ottimizzare il volume audio, regolare la velocità del motore o calibrare le letture dello strumento, i potenziometri offrono un’ampia flessibilità di utilizzo.
Come è fatto il potenziometro?
Il potenziometro è costituito da un elemento resistivo e da un contatto mobile. Il contatto mobile non è completamente libero bensì è vincolato ad un movimento che tipicamente può essere di traslazione lineare oppure di rotazione.
A seconda delle applicazioni, il contatto mobile può anche essere multigiro tramite un movimento elicoidale ovvero un movimento che combina contemporaneamente la traslazione lineare e la rotazione. Nei potenziometri con movimento traslatorio dell’elemento mobile, tipicamente la corsa del contatto mobile può essere di pochi millimetri sino a qualche decina di centimetri.
Nei potenziometri con movimento rotativo, il contatto mobile tipicamente attua una rotazione che può essere di pochi gradi oppure di diverse decine di giri. In tutti i casi il moto dell’elemento dipende dall’applicazione per cui è stato costruito il potenziometro.
Come funziona il potenziometro?
Il funzionamento di un potenziometro ruota attorno al principio della divisione della tensione. Quando il contatto mobile (solitamente una manopola o un cursore) cambia posizione lungo un elemento resistivo, altera il rapporto di resistenza su entrambi i lati. Ciò, a sua volta, si traduce in una tensione o resistenza di uscita variabile, a seconda della configurazione del circuito. Sia che la risposta sia lineare o logaritmica, i potenziometri soddisfano diversi requisiti applicativi con le loro caratteristiche regolabili.
Consideriamo a titolo di esempio un potenziometro lineare ovvero un potenziometro dove la variazione della posizione dell’elemento mobile porta ad una variazione lineare della tensione in uscita. Per capirne il funzionamento vediamo l’andamento tra il rapporto della tensione di uscita / ingresso ed il rapporto della resistenza di uscita / ingresso.
Consideriamo VOUT: tensione in ingresso; VIN: tensione in uscita, SIN: spostamento del cursore ovvero dell’elemento mobile; STOT: spostamento totale che può effettuare il cursore quando arriva al massimo della traslazione cioè a fondoscala.
Dal grafico appena mostrato si può vedere la rappresentazione dell’andamento della tensione in uscita VOUT che sarà massima (ovvero VOUT = VIN) quando lo spostamento del cursore è massimo (ovvero SIN = STOT). Questo andamento può considerarsi lineare fintanto che a valle de potenziometro c’è un circuito aperto ovvero in assenza di carico.
In condizioni reali, la tensione in uscita dal potenziometro andrà a servire un circuito o più in generale un carico che a sua volta assorbirà della corrente. Per questo in condizioni reali il potenziometro non avrà un andamento perfettamente lineare a causa delle influenze dell’assorbimento di corrente da parte del carico. Vediamo di seguito l’andamento della tensione in uscita rispetto allo spostamento del cursore in condizioni reali.
Dal grafico è possibile osservare l’andamento della tensione in uscita per effetto del carico. In particolare si nota come la linearità tra VOUT ed SIN si va perdendo al crescere del rapporto R/RL.
Per poter quindi preservare la linearità attesa del potenziometro, occorre quindi utilizzare un potenziometro con resistenza R adeguatamente piccola rispetto alla quella del carico RL.
Un potenziometro funziona variando la resistenza lungo un elemento resistivo per controllare il flusso di corrente elettrica attraverso un circuito. Ecco come funziona:
Struttura di base: Un potenziometro è tipicamente costituito da un elemento resistivo, un contatto strisciante (o cursore) e due contatti fissi (terminali). L’elemento resistivo può essere costituito da vari materiali come carbonio, plastica conduttiva o materiali a filo avvolto.
Meccanismo di regolazione: Quando viene applicata una tensione ai due terminali fissi del potenziometro, la corrente elettrica scorre attraverso l’elemento resistivo. Il contatto strisciante, spesso comandato da una manopola o leva, è posizionato lungo l’elemento resistivo.
Resistenza variabile:Man mano che il contatto strisciante si muove lungo l’elemento resistivo, crea percorsi diversi per il flusso della corrente elettrica. La resistenza tra un terminale fisso e il contatto scorrevole, noto come “resistore variabile”, cambia proporzionalmente in base alla posizione del contatto mobile.
Divisione di tensione: Secondo la legge di Ohm (V = R*I), la caduta di tensione su un resistore è direttamente proporzionale alla resistenza e alla corrente che lo attraversa. Nel caso di un potenziometro, quando cambia la resistenza tra il contatto strisciante e un terminale fisso, cambia anche la caduta di tensione su quel segmento.
Regolazione della tensione di uscita: Collegando il terminale di uscita interessato al contatto strisciante e l’altro terminale a terra (o altro potenziale fisso), è possibile regolare la tensione in uscita dal potenziometro in base alla posizione del contatto strisciante. Ciò consente un’uscita di tensione variabile entro un intervallo specificato.
In sintesi, un potenziometro funziona regolando la posizione di un contatto strisciante lungo un elemento resistivo, modificando così la resistenza e la tensione in uscita in un circuito.
A cosa serve il potenziometro?
I potenziometri servono a vari scopi nei circuiti elettronici, grazie alle loro proprietà di resistenza regolabile. Questa caratteristica di resistenza regolabile rende i potenziometri componenti versatili utilizzati in un’ampia gamma di dispositivi elettronici per scopi di controllo, calibrazione e regolazione. I potenziometri vengono utilizzati in varie applicazioni di controllo in cui è richiesta una regolazione precisa della tensione o della resistenza. Ad esempio, nei controlli del volume audio, ruotando la manopola si modifica la posizione del contatto scorrevole, regolando la resistenza e alterando quindi la tensione di uscita per controllare il livello del volume. Alcuni usi comuni includono:
Controllo del volume: nelle apparecchiature audio come amplificatori, radio e altoparlanti, i potenziometri regolano il volume regolando l’ampiezza del segnale elettrico.
Controllo della luminosità: i potenziometri sono utilizzati negli interruttori dimmer delle luci, consentendo agli utenti di regolare i livelli di luminosità in base alle proprie preferenze.
Sintonizzazione e calibrazione: i potenziometri vengono utilizzati nei circuiti di sintonizzazione di radio, televisori e altri dispositivi di comunicazione per ottimizzare le frequenze o calibrare strumenti sensibili come oscilloscopi e multimetri.
Controllo della velocità del motore: i potenziometri regolano la velocità dei motori CC regolando la tensione fornita loro, controllando la velocità di rotazione.
Controlli dell’interfaccia utente: i potenziometri sono integrati nei pannelli di controllo e nelle interfacce utente dei dispositivi elettronici per fornire opzioni di regolazione manuale per parametri come temperatura, pressione o posizione.
Equalizzazione: nelle apparecchiature audio come mixer ed equalizzatori, i potenziometri controllano il livello delle diverse bande di frequenza, consentendo una regolazione precisa delle caratteristiche del suono.
Sensori: i potenziometri possono essere utilizzati come sensori di posizione, ad esempio nei sensori di posizione dell’acceleratore nei veicoli o come parte di encoder rotativi per misurare la posizione di rotazione.
Sistemi di feedback e controllo: nei sistemi di feedback e controllo, i potenziometri agiscono come resistori variabili per regolare il segnale di feedback o impostare tensioni di riferimento per mantenere i parametri di sistema desiderati.
Questi sono solo alcuni esempi delle numerose applicazioni dei potenziometri in vari settori e dispositivi elettronici. La loro versatilità li rende componenti indispensabili nei circuiti elettrici ed elettronici, garantendo flessibilità e precisione nel controllo dei parametri elettrici.
Dove viene usato il potenziometro?
La versatilità dei potenziometri trascende i settori specifici, trovando utilità nei sistemi automobilistici, nella strumentazione aerospaziale, nell’elettronica di consumo e altro ancora. Nelle applicazioni automobilistiche, regolano l’illuminazione del cruscotto e i sistemi HVAC (Heating, Ventilation and Air Conditioning, ovvero “riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell’aria”), mentre nel settore aerospaziale aiutano nella strumentazione di volo e nei pannelli di controllo. Nell’elettronica di consumo, consentono interfacce utente intuitive.
I potenziometri trovano applicazioni in un’ampia gamma di settori e dispositivi elettronici. Ecco alcune aree comuni in cui vengono utilizzati i potenziometri:
Elettronica di consumo: i potenziometri sono prevalenti nell’elettronica di consumo come televisori, radio, amplificatori audio e sistemi stereo per il controllo del volume, la sintonizzazione e l’equalizzazione.
Industria automobilistica: nei veicoli, i potenziometri vengono utilizzati nei controlli del cruscotto per regolare il volume dell’audio, la velocità della ventola e le impostazioni del climatizzatore. Servono anche nei sensori di posizione dell’acceleratore, nei sensori di posizione del pedale e in altri controlli automobilistici.
Macchinari industriali: i potenziometri sono parte integrante dei macchinari industriali per il controllo dei processi, la regolazione della velocità del motore e la calibrazione delle apparecchiature. Sono utilizzati in saldatrici, macchine CNC (Controllo Numerico Computerizzato), bracci robotici e altri sistemi automatizzati.
Aerospaziale e difesa: i potenziometri vengono utilizzati in applicazioni aerospaziali e di difesa per strumentazione di volo, pannelli di controllo, sistemi avionici e apparecchiature di navigazione.
Dispositivi medici: i potenziometri vengono utilizzati in dispositivi medici quali sistemi di monitoraggio dei pazienti, macchine per dialisi e strumenti chirurgici per il controllo e la calibrazione di precisione.
Elettrodomestici di consumo: i potenziometri regolano le funzioni degli elettrodomestici come lavatrici, frigoriferi, condizionatori e forni a microonde per regolare impostazioni come temperatura, tempo e intensità.
Telecomunicazioni: i potenziometri vengono utilizzati nelle apparecchiature di telecomunicazione come modem, router e torri di telecomunicazione per la sintonizzazione, l’equalizzazione e la calibrazione del segnale.
Strumenti musicali: i potenziometri sono componenti integrali di strumenti musicali come chitarre elettriche, sintetizzatori e amplificatori per la regolazione di volume, tono e parametri degli effetti.
Apparecchiature di test e misurazione: i potenziometri svolgono un ruolo cruciale negli strumenti di test e misurazione come oscilloscopi, multimetri e generatori di segnali per la calibrazione, la regolazione della tensione e il condizionamento del segnale.
Sistemi di energia rinnovabile: i potenziometri sono utilizzati nei sistemi di energia rinnovabile come i pannelli solari e le turbine eoliche per tracciare e regolare la posizione degli inseguitori solari e delle pale delle turbine eoliche.
Questi sono solo alcuni esempi delle diverse applicazioni dei potenziometri in vari settori e industrie. La loro versatilità e precisione li rendono componenti indispensabili nei sistemi elettronici, fornendo capacità di controllo e regolazione in innumerevoli dispositivi e apparecchiature.
Tipi di potenziometro
I potenziometri sono disponibili in una miriade di configurazioni per soddisfare le diverse esigenze. I potenziometri rotativi, caratterizzati da un albero e una manopola rotanti, sono prevalenti nei sistemi audio, dove regolano i controlli di volume e tono. I potenziometri a scorrimento, caratterizzati da un movimento di scorrimento lineare, trovano favore in applicazioni che richiedono regolazioni lineari, come equalizzatori e fader. Altre varianti specializzate includono potenziometri multigiro per regolazioni di precisione e trimmer per la calibrazione del circuito.
I potenziometri sono disponibili in vari tipi, ciascuno progettato per soddisfare applicazioni e requisiti specifici. Ecco alcuni tipi comuni di potenziometri.
Potenziometro lineare
I potenziometri lineari hanno una relazione lineare tra la posizione del cursore e il valore della resistenza. Mentre il cursore si muove lungo l’elemento resistivo, la resistenza cambia in modo lineare.
Nella figura sopra vediamo un esempo di potenziometro lineare con l’elemento mobile realizzato con uno slide. L’elemento mobile può essere anche una vite, , in entrambi i casi l’elemento mobile trasla variando linearmente una resistenza.
Sono comunemente utilizzati in applicazioni in cui è necessaria una regolazione lineare, come controlli di volume e regolatori di velocità del motore.
Potenziometro rotativo
I potenziometri rotativi hanno un albero rotante e una manopola per regolare la posizione dell’elemento mobile lungo l’elemento resistivo.
Sono comunemente utilizzati in applicazioni in cui è necessaria la regolazione della rotazione, come i controlli del volume nelle apparecchiature audio, i controlli di sintonizzazione nelle radio e le manopole rotanti nelle interfacce utente.
Potenziometro logaritmico (Log Pot)
I potenziometri logaritmici, noti anche come potenziometri audio, hanno una relazione logaritmica tra la posizione del cursore e il valore della resistenza. Nel grafico seguente vediamo l’andamento tipico della variazione di tensione ai capi del potenziometro al variare della posizione del selettore.
Questo andamento logaritmico imita il modo in cui l’orecchio umano percepisce i cambiamenti di volume, rendendoli i potenziometri logaritmici ideali per applicazioni audio come i controlli del volume nelle apparecchiature musicali.
Potenziometro multigiro
Il potenziometro multigiro è un tipo di potenziometro che permette la rotazione multipla dell’elemento mobile. I potenziometri multigiro hanno una corsa rotativa dell’elemento mobile molto più ampia rispetto ad i potenziometri a singolo giro. Questo permette di incrementare notevolmente la risoluzione della regolazione dell’elemento mobile e di conseguenza di avere un controllo più fine della tensione in uscita. L’elemento resistivo è tipicamente realizzato con una struttura a spirale o elicoidale.
Il potenziometro multigiro è utilizzato in applicazioni che richiedono elevata precisione, come strumenti di calibrazione, apparecchiature di prova, strumenti di misura, apparecchiature audio, dispositivi medici e dispositivi di controllo in ambito industriale.
Potenziometro trimmer (Trimpot)
I potenziometri trimmer, noti anche come potenziometri trim o resistori trimmer, sono piccoli potenziometri preimpostati utilizzati per la calibrazione o la regolazione iniziale durante la produzione o la configurazione del circuito.
Spesso sono montati direttamente sui circuiti stampati e vengono regolati utilizzando un cacciavite. I trimmer in genere non sono destinati a regolazioni frequenti una volta impostati.
Potenziometro digitale
Il potenziometro digitale, o digipot, è un dispositivo elettronico che controlla digitalmente i valori di resistenza utilizzando circuiti integrati (IC) anziché meccanismi meccanici. Tipicamente è realizzato tramite una rete di resistori che vengono attivati da un segnale digitale attraverso degli interruttori come i transistor CMOS.
Offrono vantaggi come il controllo remoto, la programmabilità e la possibilità di memorizzare le preimpostazioni digitalmente. I potenziometri digitali trovano applicazioni nei sistemi audio, nella strumentazione e nell’elettronica di consumo.
Simbolo del potenziometro
Il simbolo del potenziometro da utilizzare negli schemi elettrici, in accordo alla norma EN 60617, è mostrato nella figura seguente.
Alcuni schemi elettrici, generalmente quelli realizzati tramite strumenti CAD con impostazione dei simboli nord-americani, presentano un simbolo diverso che non è considerato normalizzato in Europa. Il simbolo del potenziometro utilizzato nelle regioni americane ed asiatiche è il seguente.
Vantaggi e svantaggi del potenziometro
I potenziometri sono componenti versatili utilizzati in varie applicazioni elettroniche. Di seguito sono riportati i pro e i contro dell’utilizzo dei potenziometri:
Vantaggi del potenziometro
Resistenza variabile: i potenziometri forniscono una resistenza regolabile, consentendo un controllo preciso sui livelli di tensione o corrente in un circuito. Questa funzionalità è essenziale nelle applicazioni che richiedono una regolazione manuale, come il controllo del volume e la sintonizzazione.
Versatilità: i potenziometri sono disponibili in vari tipi (lineari, logaritmici, multigiro, etc.) e configurazioni (rotativi, a scorrimento), che li rendono adatti a un’ampia gamma di applicazioni in diversi settori e dispositivi elettronici.
Semplicità: i potenziometri sono relativamente semplici da usare e integrare nei circuiti. Non richiedono meccanismi di controllo complessi o circuiti aggiuntivi per il funzionamento, il che li rende economici e facili da implementare.
Interazione con l’utente: i potenziometri consentono l’interazione diretta con l’utente e il controllo sui dispositivi elettronici, fornendo un’interfaccia tattile e intuitiva per la regolazione di impostazioni e parametri.
Svantaggi del potenziometro
Usura: i potenziometri meccanici, in particolare quelli utilizzati per regolazioni manuali frequenti, sono soggetti a usura nel tempo, con conseguente riduzione della durata e potenziali problemi di affidabilità.
Dimensioni fisiche: i potenziometri, in particolare quelli rotativi e a scorrimento, possono essere relativamente grandi e richiedere spazio significativo sui circuiti stampati o nei dispositivi elettronici, il che può rappresentare una limitazione nei progetti compatti o miniaturizzati.
Precisione limitata: sebbene i potenziometri offrano una resistenza regolabile, la loro precisione può essere limitata rispetto ai componenti digitali o programmabili, soprattutto nelle applicazioni ad alta precisione in cui sono richieste regolazioni fini.
Rumore e interferenze di segnale: i potenziometri meccanici possono introdurre rumore e interferenze di segnale a causa del movimento del contatto con l’elemento resistivo, che possono influenzare le prestazioni e la qualità dell’audio e dei circuiti elettronici sensibili.
Sensibilità alla temperatura e all’ambiente: le prestazioni dei potenziometri possono essere influenzate dalle variazioni di temperatura e dalle condizioni ambientali, portando a una potenziale deriva e instabilità dei valori di resistenza nel tempo.
Durata limitata: i potenziometri meccanici hanno una durata operativa limitata, soprattutto se utilizzati per regolazioni frequenti, e potrebbero richiedere sostituzione o manutenzione nel tempo.
Un’attenta selezione e considerazioni di progettazione adeguate sono essenziali per mitigare questi inconvenienti e ottimizzare le prestazioni e l’affidabilità dei potenziometri nelle applicazioni elettroniche.
Il potenziometro in breve
Il potenziometro è un trasduttore elettromeccanico che fornisce in uscita una tensione che dipende dalla posizione di un contatto mobile rispetto ad un elemento resistivo stazionario. Il potenziometro serve come partitore di tensione ovvero fornisce una tensione che è una frazione di quella in ingresso dipendentemente dalla posizione in cui si trova l’elemento mobile. I potenziometri sono componenti versatili che permettono il controllo della tensione nei circuiti elettronici tramite la regolazione di una resistenza. Sono utilizzati in un’ampia gamma di applicazioni per il controllo manuale, la calibrazione e la regolazione dei parametri elettrici.
In ambito elettrico, elettronico e della fisica, comprendere il comportamento dei materiali in risposta alla corrente elettrica è fondamentale. Due concetti chiave che emergono frequentemente in questo contesto sono resistenza e resistività. Anche se questi termini potrebbero sembrare simili, rappresentano proprietà distinte con implicazioni uniche per i sistemi elettrici e la caratterizzazione dei materiali. La resistenza misura l’opposizione che un materiale offre al flusso di corrente elettrica, fungendo da metrica pratica nell’analisi e nella progettazione dei circuiti. La resistività approfondisce le proprietà intrinseche dei materiali, quantificando la loro innata capacità di resistere al flusso di corrente indipendentemente dalle loro dimensioni fisiche. Questo articolo mira a chiarire la differenza tra resistenza e resistività fornendo una comprensione completa di questi concetti fondamentali e del loro significato.
Cosa è la resistenza
La resistenza elettrica è un parametro che descrive l’opposizione o l’impedimento offerto da un materiale al flusso di corrente elettrica. In termini più semplici, rappresenta quanto sia difficile per la corrente elettrica passare attraverso un conduttore. La resistenza è misurata in Ohm (Ω).
Definizione di resistenza
Resistenza, indicata con R e misurata in Ohm (Ω), è una grandezza scalare che quantifica l’opposizione che un materiale o un componente presenta al flusso di corrente elettrica. È la misura del rapporto tra tensione (V) e corrente (I) in un conduttore, secondo la legge di Ohm:
Questa formula indica che la tensione attraverso un conduttore è direttamente proporzionale alla corrente che lo attraversa, e la costante di proporzionalità è la resistenza.
Interpretazione fisica della resistenza
La resistenza è influenzata sia dalla resistività del materiale che dalle sue dimensioni fisiche, come la lunghezza (l) e l’area della sezione trasversale (A). Nei conduttori la resistenza deriva principalmente dalle collisioni tra gli elettroni e la struttura atomica del materiale, che impediscono il flusso degli elettroni.
Rappresentazione matematica della resistenza
La resistenza può essere calcolata utilizzando la legge di Ohm oppure derivata dalla formula:
dove ρ è la resistività, l la lunghezza ed A l’area della sezione trasversale del materiale (conduttore) considerato.
Fattori che influenzano la resistenza
La resistenza rappresenta l’effetto cumulativo di vari fattori, tra cui la composizione, la temperatura e la configurazione geometrica del materiale, sulla sua capacità di impedire il flusso di corrente.
Temperatura: la resistenza della maggior parte dei conduttori aumenta con la temperatura. Questo comportamento è descritto dal coefficiente di temperatura della resistenza, che quantifica il tasso di variazione della resistenza con la temperatura per un materiale specifico.
Lunghezza: i conduttori più lunghi hanno in genere una resistenza maggiore.
Area della sezione trasversale: un’area della sezione trasversale più ampia generalmente comporta una resistenza inferiore.
Materiale: materiali diversi presentano diversi livelli di resistenza a causa della loro struttura atomica e della mobilità degli elettroni.
Ambito di applicazione e significato della resistenza
La resistenza è un parametro che governa la relazione tensione-corrente nei componenti elettrici, influenza la dissipazione di potenza e determina l’efficienza e le prestazioni dei sistemi elettrici.
Comprendere la resistenza è fondamentale per progettare circuiti elettrici, selezionare materiali appropriati per applicazioni specifiche e garantire il funzionamento efficiente e sicuro dei dispositivi elettronici.
La resistenza gioca un ruolo fondamentale nel determinare la dissipazione di potenza, le cadute di tensione e la distribuzione della corrente nei circuiti.
Cosa è la resistività
La resistività, indicata con la lettera greca rho (ρ), è una proprietà intrinseca di un materiale che quantifica la sua capacità intrinseca di resistere al flusso di corrente elettrica. A differenza della resistenza, che dipende sia dalla resistività del materiale che dalle sue dimensioni fisiche, la resistività fornisce una misura standardizzata della resistenza elettrica di un materiale indipendentemente dalla sua forma o dimensione. La resistività viene generalmente misurata in ohmmetri (Ω*m).
Definizione di resistività
La resistività è definita come la resistenza di un materiale uniforme avente una lunghezza di un metro e una sezione trasversale di un metro quadrato.
Resistività, simboleggiata da ρ ed espressa in Ohm-metri (Ω*m), è una proprietà intrinseca di un materiale che denota la sua capacità di resistere al flusso di corrente elettrica. Caratterizza la resistenza del materiale per unità di lunghezza e area di sezione trasversale e serve come misura comparativa della conduttività elettrica del materiale, indipendentemente dalla sua forma e dimensione.
Interpretazione fisica della resistività
La resistività fornisce una misura standardizzata della resistenza elettrica intrinseca di un materiale, priva dell’influenza delle sue dimensioni fisiche. Riflette la struttura atomica e molecolare del materiale, la mobilità degli elettroni e le caratteristiche di conduttività intrinseca, fungendo da proprietà fondamentale che ne definisce il comportamento elettrico.
Rappresentazione matematica della resistività
La resistività è espressa matematicamente come la resistenza di un materiale avente una lunghezza di un metro e una sezione trasversale di un metro quadrato, come da:
dove R è la resistenza, A l’area della sezione trasversale ed l la lunghezza del materiale (conduttore) considerato.
Fattori che influenzano la resistività
La resistività è una caratteristica intrinseca di un materiale, determinata dalla sua struttura atomica e molecolare, dalla mobilità degli elettroni e da altre proprietà fisiche.
Composizione del materiale: materiali diversi possiedono resistività distinte a causa delle variazioni nella loro struttura atomica, nella configurazione elettronica e nelle caratteristiche di legame.
Temperatura: la resistività mostra spesso una dipendenza dalla temperatura, con la maggior parte dei materiali che subiscono un aumento della resistività all’aumentare della temperatura. Il coefficiente di temperatura della resistività quantifica questa relazione, indicando il tasso di variazione della resistività con la temperatura. La temperatura può influenzare in modo significativo la resistività di un materiale, influenzandone la conduttività elettrica e le prestazioni.
Impurità e difetti: la presenza di impurità, imperfezioni o difetti in un materiale può alterarne la resistività disperdendo gli elettroni e impedendo il flusso di corrente.
Ambito di applicazione e significato della resistività
La resistività funge da proprietà fondamentale utilizzata per la caratterizzazione, la selezione e la classificazione dei materiali. Facilita la valutazione dei materiali in base alla loro conduttività elettrica, all’idoneità per applicazioni specifiche e alle prestazioni in condizioni variabili, guidando così le attività di progettazione, ricerca e sviluppo dei materiali.
Differenza tra resistenza e resistività
Resistenza e resistività riguardano entrambe l’opposizione offerta dai materiali al flusso di corrente elettrica, differiscono fondamentalmente nella loro definizione, interpretazione fisica, rappresentazione matematica e applicazione pratica.
La resistenza è una misura di quanto un materiale si oppone al flusso di corrente elettrica in termini pratici (misurata in Ohm), la resistività è una proprietà intrinseca del materiale stesso che quantifica la sua capacità di resistere al flusso di corrente (misurata in Ohm*metri).
La resistenza incapsula gli effetti combinati della resistività e della geometria del materiale, fungendo da misura pratica dell’impedimento di corrente nei sistemi elettrici. Al contrario, la resistività rappresenta la resistenza elettrica intrinseca dei materiali, fornendo una metrica standardizzata per caratterizzare e confrontare le loro proprietà elettriche, indipendentemente dalle loro dimensioni fisiche.
La sovratensione rappresenta un pericolo per tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche, capace di recare danni a sistemi ed apparecchiature con conseguenze devastanti. Nonostante l’elevata presenza e il potenziale di interruzione, la sovratensione rimane un concetto spesso frainteso o trascurato. Pertanto, sorge la necessità di approfondire la sua essenza, comprenderne le manifestazioni per capire come potersi difendere contro i suoi effetti dannosi. Per sovratensione si intende un picco di tensione che si verifica per eventi esterni all’impianto oppure interni all’impianto stesso.
In questo articolo affronteremo il fenomeno della sovratensione per fornire una comprensione completa delle sue origini ed implicazioni e delle contromisure efficaci contro questo fenomeno che minaccia la salvaguardia di impianti e circuiti.
Cosa si intende per sovratensione?
La sovratensione è una situazione in cui il livello di tensione in un sistema elettrico supera la tensione normale o nominale per quel sistema.
La sovratensione è rappresentata da una onda transitoria che si propaga lungo una linea o un circuito e caratterizzata da un rapido aumento seguito da una diminuzione più lenta. La sovratensione ha ampiezza molto elevata e durata breve. L’ampiezza della sovratensione può essere di diversi kV mentre la durata è nell’ordine dei µs.
La sovratensione può accadere a causa di vari fattori come:
Cause esterne (detta fulminazione diretta): i fulmini, ad esempio, possono indurre picchi di alta tensione nelle linee elettriche e nelle apparecchiature, portando a sovratensioni.
Cause interne (detta fulminazione indiretta): guasti all’interno dell’impianto elettrico, come cortocircuiti o guasti all’isolamento, possono interrompere il normale flusso di corrente e causare un aumento dei livelli di tensione al di sopra dell’intervallo previsto. Tra le cause interne si includono anche le variazioni improvvise delle condizioni di carico o delle operazioni di commutazione. Ad esempio, collegare o scollegare carichi di grandi dimensioni può causare uno squilibrio temporaneo nel sistema, con conseguenti picchi di tensione.
Le sovratensioni, se non gestite correttamente, possono danneggiare le apparecchiature elettriche e causare guasti all’isolamento, danni ai componenti o guasto completo del sistema.
Dispositivi di protezione come soppressori di sovratensioni, regolatori di tensione e interruttori automatici vengono spesso utilizzati per mitigare gli effetti delle sovratensioni e garantire il funzionamento sicuro dei sistemi elettrici.
Quando si verifica una sovratensione?
Le sovratensioni possono verificarsi negli impianti elettrici in varie condizioni. Alcuni scenari comuni in cui possono verificarsi sovratensioni includono:
Fulmini: i fulmini possono indurre picchi di alta tensione nelle linee elettriche e nelle apparecchiature, causando sovratensioni.
Operazioni di commutazione: quando interruttori, interruttori automatici o altri dispositivi di commutazione vengono aperti o chiusi nei circuiti elettrici, cambiamenti improvvisi nei livelli di tensione possono portare a sovratensioni transitorie.
Guasti nel sistema di alimentazione: guasti elettrici come cortocircuiti o guasti all’isolamento possono interrompere il normale flusso di corrente nel sistema, provocando sovratensioni in punti specifici della rete.
Risonanza: la risonanza può verificarsi nei sistemi di alimentazione a causa delle interazioni tra elementi induttivi e capacitivi. Quando la frequenza naturale del sistema corrisponde alla frequenza di un disturbo esterno, ciò può portare ad un’amplificazione delle tensioni in gioco e quindi a sovratensioni.
Cambiamenti di carico: cambiamenti improvvisi nelle condizioni di carico, come carichi di grandi dimensioni collegati o disconnessi dalla rete elettrica, possono causare sovratensioni a causa dello squilibrio tra tensione richiesta ed erogata.
Malfunzionamenti delle apparecchiature: i malfunzionamenti delle apparecchiature elettriche, come trasformatori, generatori o regolatori di tensione, possono provocare sovratensioni.
Commutazione di carichi capacitivi: l’accensione o lo spegnimento di carichi capacitivi può anche causare sovratensioni dovute alla carica o alla scarica dei condensatori.
Nel complesso, le sovratensioni possono verificarsi a causa di una combinazione di fattori esterni come i fulmini, nonché di fattori interni come operazioni di commutazione e guasti alle apparecchiature.
Quali sono gli effetti di una sovratensione?
Le sovratensioni possono avere diversi effetti dannosi su impianti e apparecchiature elettriche. Alcuni degli effetti comuni includono:
Danni alle apparecchiature: le sovratensioni possono causare danni alle apparecchiature elettriche come trasformatori, motori, dispositivi elettronici e altri componenti. Livelli di tensione eccessivi possono sollecitare i materiali isolanti, portando alla rottura dell’isolamento e al possibile guasto delle apparecchiature.
Durata ridotta delle apparecchiature: l’esposizione continua a sovratensioni può ridurre la vita attesa delle apparecchiature elettriche. I componenti possono degradarsi più rapidamente in condizioni di alta tensione, comportando un aumento dei costi di manutenzione e la necessità di una sostituzione prematura.
Perdita o danneggiamento dei dati: le sovratensioni possono interrompere il funzionamento dei dispositivi elettronici, causando la perdita o il danneggiamento dei dati nei sistemi informatici, nei server e in altre apparecchiature digitali. Ciò può comportare interruzioni operative e potenziali rischi per la sicurezza.
Pericolo di incendio: le sovratensioni possono causare il surriscaldamento dei componenti elettrici e dei cavi, aumentando il rischio di incendi elettrici. Livelli di tensione eccessivi possono causare guasti all’isolamento, archi elettrici e scintille, che possono incendiare i materiali circostanti e causare notevoli danni materiali o lesioni personali.
Rischi per la sicurezza: le sovratensioni possono comportare rischi per la sicurezza del personale che lavora con o vicino ad apparecchiature elettriche. Se non vengono prese le dovute precauzioni per mitigare gli effetti delle sovratensioni, possono verificarsi scosse elettriche, ustioni e altre lesioni.
Problemi di qualità dell’alimentazione: le sovratensioni possono degradare la qualità dell’energia elettrica fornita ad apparecchiature sensibili. Le fluttuazioni dei livelli di tensione possono causare abbassamenti, sbalzi e armoniche, con conseguenti problemi di prestazioni, malfunzionamenti o guasti nei dispositivi collegati.
Interruzione delle operazioni: le sovratensioni possono interrompere il normale funzionamento dei sistemi elettrici, causando tempi di inattività, perdite di produzione e disagi per aziende e consumatori.
Nel complesso, le sovratensioni possono avere significative implicazioni economiche, operative e di sicurezza per i sistemi elettrici e gli utenti.
Sovratensione causata da fulmine
La sovratensione causata da un fulmine si verifica quando un fulmine porta un picco di tensione sulla linea di distribuzione elettrica che arriva infine nei sistemi e nelle apparecchiature elettriche. I fulmini, anche se non colpiscono direttamente la linea di distribuzione ma colpiscono vicino la linea, con la loro immensa energia, possono generare potenti campi elettromagnetici che inducono tensioni transitorie nei conduttori vicini, comprese le linee elettriche, i cavi di comunicazione e i cavi elettrici.
Quando si verifica un fulmine vicino a linee elettriche o infrastrutture elettriche, gli intensi campi elettromagnetici associati alla scarica del fulmine inducono picchi di tensione nei conduttori vicini. Queste tensioni indotte si propagano attraverso la rete elettrica, entrando negli edifici e nelle apparecchiature collegate alla rete elettrica.
Il rapido aumento e diminuzione di questa sovratensione provocata dai fulmini può superare i normali livelli di tensione operativa dei sistemi elettrici. Queste sovratensioni possono stressare i materiali isolanti e causare danni ai componenti elettronici sensibili.
Le sovratensioni provocate dai fulmini possono manifestarsi in vari modi, a seconda di fattori quali la vicinanza del fulmine, l’intensità dei campi elettromagnetici e le caratteristiche dell’impianto elettrico. Potrebbero causare guasti all’isolamento, malfunzionamento delle apparecchiature, perdita di dati e persino incendi in casi estremi.
Forme d’onda della fulminazione
La fulminazione, diretta od indiretta, viene rappresentata tramite delle forme d’onda che hanno delle caratteristiche ben precise. Il modello tipicamente utilizzato per rappresentare matematicamente il fenomeno elettrico dovuto alla fulminazione è la funzione di Heidler. Questo modello matematico è utilizzato per verificare la tenuta di apparecchiature e dispositivi agli impulsi detti surge. Tutti le apparecchiature elettriche, infatti, per poter essere immesse sul mercato, devono essere adeguate ai requisiti della compatibilità elettromagnetica. Tra tali requisiti vi è un test denominato “prova di surge” in cui si verifica che l’apparecchiatura sia in grado di sostenere, senza danneggiarsi, un eventuale impulso dovuto, ad esempio, a fulminazione. Per provare l’immunità di una apparecchiatura a tale disturbo, viene applicato, tramite un apposito generatore, un impulso di corrente sull’alimentazione. La forma d’onda di tale impulso di corrente è la funzione di Heidler, ed è data dalla seguente equazione:
dove
isurge: corrente di fulmine
Ipeak : corrente di picco della corrente di fulmine
𝜏1 : tempo del fronte pari a 1,25 volte il tempo per passare dal 10% al 90% del valore di picco della corrente
𝜏2 : tempo dell’emivalore pari al tempo tra l’origine dell’impulso e l’instante in cui la corrente è tornata al 50% del valore di picco
k, η : coefficienti di correzione della forma d’onda
Tipicamente si considera che la fulminazione diretta porti ad un primo impulso positivo con forma d’onda 10/350 µs (oppure un primo impulso negativo con forma d’onda 1/200 µs) seguito da impulsi negativi con forma d’onda 0,25/100 µs. La fulminazione indiretta, ovvero quella che può verificarsi nel caso di commutazione di grandi carichi o eventi similari, è invece rappresentata con forma d’onda 8/120 µs.
Una forma d’onda 10/350 µs è rappresentata dalla funzione di Heidler con parametri 𝜏1 (tempo di fronte) pari a 10 µs e 𝜏2 (tempo dell’emivalore) pari a 350 µs. Nella figura seguente si può notare l’andamento di tale curva.
Una forma d’onda 8/20 µs è rappresentata dalla funzione di Heidler con parametri 𝜏1 (tempo di fronte) pari a 8 µs e 𝜏2 (tempo dell’emivalore) pari a 20 µs. Nella figura seguente si può notare l’andamento di tale curva.
La forma d’onda 8/20 µs è utilizzata per rappresentare gli impulsi dovuti a fulminazione indiretta che sono impulsi ad energia inferiore rispetto a quelli rappresentati con la forma d’onda 10/350 µs.
Nell’immagine sopra vediamo l’andamento delle forme d’onda 10/350 µs e 8/20 µs poste sulla stessa scala di riferimento. Da questo confronto è possibile notare come la forma d’onda 10/350 µs abbia una ampiezza di molto superiore rispetto alla forma d’onda 8/20 µs ed un decadimento più lento. Considerando che l’energia della forma d’onda è rappresentata dall’area sottesa dalla curva, è evidente come la forma d’onda 10/350 µs abbia una energia superiore rispetto alla forma d’onda 8/20 µs ed infatti viene utilizzata per simulare l’azione di una fulminazione che colpisce direttamente le linee di distribuzione elettrica.
Come proteggersi da una sovratensione?
La protezione dei sistemi e delle apparecchiature elettriche dalle sovratensioni richiede l’implementazione di una combinazione di misure preventive e dispositivi di protezione. Ecco alcuni metodi comuni per proteggersi dalle sovratensioni:
Limitatori di sovratensione: i limitatori di sovratensione, noti anche come soppressori di sovratensione, sono dispositivi progettati per deviare la tensione in eccesso lontano dalle apparecchiature sensibili. Vengono collegati a monte dell’alimentazione di un dispositivo o impianto e forniscono protezione ai dispositivi collegati bloccando i picchi di tensione e deviando l’energia in eccesso a terra.
Stabilizzatori di tensione: gli stabilizzatori di tensione aiutano a mantenere livelli di tensione stabili entro un intervallo predefinito, proteggendo le apparecchiature sia da sovratensioni che da sottotensioni. Gli stabilizzatori di tensione sono esempi di dispositivi in grado di regolare i livelli di tensione per garantire un’alimentazione coerente alle apparecchiature collegate.
Trasformatori di isolamento: i trasformatori di isolamento forniscono isolamento elettrico tra i lati di ingresso e di uscita, contribuendo a proteggere le apparecchiature dai transitori di tensione e dal rumore elettrico. Possono anche mitigare gli effetti dei guasti a terra e ridurre il rischio di scosse elettriche.
Messa a terra e collegamento equipotenziale: una messa a terra e un collegamento equipotenziale adeguati dei sistemi elettrici sono essenziali per dissipare la tensione in eccesso e garantire la sicurezza elettrica. Le aste di messa a terra ed i conduttori di messa a terra aiutano a stabilire percorsi a bassa resistenza verso terra, riducendo il rischio di sovratensioni e rischi elettrici.
Interruttori automatici e fusibili: gli interruttori automatici e i fusibili fungono da dispositivi di protezione interrompendo il flusso di corrente in caso di condizioni di sovracorrente, che possono essere causate da sovratensioni. Aiutano a prevenire danni alle apparecchiature elettriche e al cablaggio scollegando il circuito quando vengono rilevate condizioni anomale.
La protezione dalle sovratensioni causate dai fulmini richiede l’implementazione di solide strategie di mitigazione, inclusa l’installazione di dispositivi di protezione da sovratensione, parafulmini e adeguati sistemi di messa a terra. Dissipando l’energia in eccesso e deviando le sovratensioni indotte dai fulmini lontano dalle apparecchiature sensibili, queste misure di protezione aiutano a mitigare i rischi associati alle sovratensioni indotte dai fulmini e garantiscono l’affidabilità e la sicurezza dei sistemi elettrici.
Incorporando queste misure e dispositivi di protezione nei sistemi elettrici, è possibile ridurre al minimo il rischio di danni da sovratensioni e garantire il funzionamento sicuro e affidabile delle apparecchiature.